Venti.

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Luglio.


Quando prendo il mio iPhone, alla fine del concerto, trovo otto chiamate perse di Victoria.

«Cazzo Vic!», grido non appena mi risponde. «Che c'è?»

«Ehi Dam.»

Le basta pronunciare quelle due semplici parole che dalla voce impastata capisco subito che ha bevuto.

«Che succede?»

«Niente, sto guardando un film.»

«Dove sei?»

«A casa. Sai, ora che sono abituata a quel piccolo appartamento di Londra, mi sembra che casa mia sia gigantesca. E poi mi sento sola. Mio padre è via per lavoro e mia sorella è in Grecia con le amiche. Uffa!», piagnucola.

«Vic, perché sei tornata a Roma? Cos'è successo?»

Sospira e poi la sento bere.

«Vic, rispondimi, cazzo!»

«Sto bene, tu non ti preoccupare. Com'è andato il concerto?»

«Quanto hai bevuto?»

Nel frattempo ho trovato Leo e gli faccio cenno di prestarmi la sua macchina. E, come al solito, mi accontenta senza fare troppe domande.

«Tu avrai sicuramente il record mondiale di chilometri percorsi per rincorrere una ragazza», dice soltanto.

«Vic, ci sei ancora?»

«Sai una cosa?»

«Cosa?»

Incrocio Thomas che mi chiede perché sto correndo, ma lo oltrepasso senza rispondere.

«Okay. C'entra Vic, vero?», mi urla dietro.

«Io ci provo, ma non ce la faccio. Non riesco a smettere.»

La sua voce è così disperata da non sembrare lei.

«Smettere cosa? Vic, perché sei tornata a Roma? Cos'è successo?»

«Niente», mente.

«Vic, dimmi qual è il problema. Per favore.»

«Niente. È solo la mia vita che è un completo disastro. Mi sembra di vivere in un eterno déjà vu.»

Sento che si versa qualcosa nel bicchiere e poi beve ancora.

«Vic, credo che dovresti smettere di bere. Sto venendo da te, okay?»

«Okay.»

«Sto arrivando. Tu intanto prenditi una bottiglietta d'acqua e bevila tutta a piccoli sorsi, va bene?»

«Bottiglietta d'acqua. Piccoli sorsi. Va bene.»

Ci metto due ore e mezzo e non so quante multe per fare Firenze-Roma. Victoria non ha più risposto alle mie chiamate. Spero solo di non essere costretto a buttar giù la porta di casa. Ma quando arrivo, le chiavi sono appese alla serratura del portone. Entro, attraverso il salotto, dove noto due bottiglie di vino vuote, poi il corridoio e arrivo in camera sua. Quando vedo che il suo letto è vuoto, l'ansia mi assale di colpo.

"Ti prego, dimmi che non sei uscita", mi dico. Stupida ragazza.

«Vic!»

Entro in bagno, poi in camera di sua sorella.

«Victoria!», urlo più forte.

Dopo aver girato tutta la casa diverse volte non riesco quasi a respirare per il panico. Ma poi penso al balcone. Apro la finestra e la trovo raggomitolata su uno sdraio. L'ansia si dissolve, mi metto in ginocchio davanti a lei, le scosto i capelli biondi dal viso, ma mi trattengo dal baciarle la fronte.

«Ehi, Vic.»

Fa una smorfia appena sente la mia voce.

«Mi hai fatto preoccupare.»

Si alza a sedere e si passa una mano sul viso.

«Damiano?»

«Damiano un cazzo.»

«Come sei arrivato fin qui?», biascica.

«In macchina.»

«Ma che ore sono?»

La guardo e solo ora mi accorgo che indossa una mia maglietta. Non riesco a trattenere un sorriso. Neanche ricordavo ce l'avesse lei quella maglia. Si alza in piedi e si appoggia alla ringhiera, fissando l'oscurità che ha davanti. Il suo volto è più pallido del solito. Vorrei che mi raccontasse che cosa le è successo, ma sembra essere ancora abbastanza ubriaca per parlare di qualcosa di serio. Si prende la testa tra le mani e comincia a piangere, lasciandosi andare contro la ringhiera, fino a sedersi sul pavimento freddo. Mi metto in ginocchio accanto a lei e la abbraccio quando inizia a singhiozzare.

«Leo mi ha detto che Sara è incinta», sussurra sul mio petto.

«Sì, lo so. E allora? Cosa c'è da piangere?»

«E tu lo vorresti?», mi chiede qualche minuto dopo.

«Cosa?»

«Avere un bambino.»

Porca puttana. Mi sta quasi per prendere un colpo.

«Be'... sì, ma non ora.»

Sono decisamente confuso. Cosa c'entra questa storia, adesso?

«Fa freddo.»

La tengo stretta a la faccio alzare insieme a me, poi la prendo in braccio ed entro in casa.

«Quindi Marlena torna a casa che il freddo qua si fa sentire

«Sssh. Canteremo quando sarai sobria, okay?»

«Perché ti sento lontana, lontana da me

La faccio sdraiare sul letto e aspetto finché non si addormenta. Ma quando mi alzo, mi afferra per il polso.

«Rimani con me?»

Tolgo le scarpe e mi sdraio al suo fianco. Lei si gira verso di me e appoggia la sua coscia nuda sulle mie gambe.

Ho paura che domani mattina si arrabbi con me per l'ennesima volta, ma non riesco a non stringerla a me.

«Mi dispiace di averti fatto preoccupare. Domani ti racconto tutto, promesso.»

«Va bene. Ora dormi.»

La calma, però, non dura per molto.

«Mi viene da vomitare.»

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