Diciannove

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Quando mi sveglio, Victoria non è nel suo letto. Mi rigiro tra le lenzuola che profumano di lei e ripenso alla notte trascorsa. La amo, Dio solo sa quanto la amo. Abbiamo provato a voltare pagina, ma ovviamente non ha funzionato.

Mi alzo dal letto e infilo i pantaloni e gli anfibi. La trovo in piedi appoggiata al bancone della cucina, con una tazza in mano.

«Dobbiamo parlare.»

Ecco, ci risiamo. Neanche si volta a guardarmi ed io resto lì, fermo e immobile, e non mi aspetto niente di buono.

«Niente di tutto questo sarebbe dovuto succedere.»

«Questo... cosa?»

«Io, te, tutto.»

Vorrei dirle che non è successo niente, se è quello che vuole sentire, ma tirar fuori le parole è più difficile del previsto.

«Ci siamo cascati di nuovo. E stiamo per rovinare il nostro rapporto, di nuovo. E non so perché.»

«Sposami.»

Le cade la tazza dalle mani e il poco caffè all'interno si versa sul pavimento. Vado verso di lei, fregandomi dei pezzi di ceramica che scricchiolano sotto i miei piedi. Prendo le sue mani e mi inginocchio davanti a lei.

«Sposami, Vic. Ho io i soldi per pagare il matrimonio. Possiamo organizzarlo dove e quando vuoi. Puoi scegliere il vestito più costoso, i fiori più belli, mi andrà bene qualsiasi cosa.»

C'è solo la disperazione nella mia voce, nei suoi occhi grandi è invece dipinto il panico. Il senso di vuoto cresce dentro di me con il passare degli infiniti minuti di silenzio.

«Sposami, Vic», le ripeto. «Per favore, sposami. So che noi due siamo diversi, non siamo due persone normali, ma...»

«Guardaci!», mi interrompe. «Mi dispiace di complicarti la vita in questo modo, mi dispiace per questi tira e molla che servono solo ad accrescere l'illusione di poter essere una coppia come le altre.»

«Possiamo farcela!»

«No, non possiamo!»

«Non posso stare senza di te.»

«Ma io sono qui! E ci sarò sempre per te!»

Sto esaurendo la pazienza. Mi alzo e comincio a girare per la stanza per calmarmi.

«Ti amo, ti amerò per sempre, ma... è come se avessi finito le energie. Abbiamo sempre lottato, io e te.»

Mi guardo intorno. La prima cosa idonea che trovo, una lampada, finisce contro il muro, andando in mille pezzi. Lei non si muove, non batte neanche le palpebre, non credo nemmeno si sia accorta che dai suoi occhi stanno scendendo fiumi di lacrime. Io non posso consolarla, non posso abbracciarla e sussurrarle all'orecchio che andrà tutto bene, perché io sono il primo a non credere più a questa enorme stronzata.

«Ho bisogno di te nella mia vita.»

«Ma io resterò nella tua vita! Solo non come vuoi tu.»

«Mi stai seriamente proponendo di rimanere amici? Di nuovo?»

Non le lascio il tempo di rispondere, però.

«Non potrei mai stare nella stessa stanza con te e non stare con te.»

«L'abbiamo sempre fatto!», sbotta lei.

Non voglio farla soffrire, non voglio farla arrabbiare. Voglio solo che sia felice. Ma cosa ne sarà di me?

«Andrà tutto bene. Staremo bene quando finalmente avremo realizzato che questa è la cosa giusta da fare.»

Non ci credo.

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