Sette.

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Io e Bea ci siamo conosciuti a quella che doveva essere una semplice cena di lavoro, e invece sembrava più un party in piscina di un film americano. C'erano le ragazze, la droga, i leccaculo che mi venivano incontro come se fossimo amici da una vita, che mi stringevano la mano e mi mettevano in tasca il loro biglietto da visita, proponendomi sottovoce ruoli per il cinema o di fare il modello per qualche campagna pubblicitaria. Tutta gente che non conoscevo.

Quando la situazione è diventata insostenibile, sono sgattaiolato fuori, sul giardino anteriore e ho acceso una sigaretta. Stavo pianificando la mia fuga, poi ho visto Leo venirmi incontro, seguito da una ragazza carina e dall'aria vagamente familiare. Leo aveva da poco iniziato la sua carriera da manager e già frequentava questi ambienti, e mi costringeva ad accompagnarlo, così magari avrei trovato anch'io la mia occasione.

«Dam, ti presento Beatrice, ma forse la conosci già, visto che ha recitato in diversi film.»

Feci di non con la testa. Non tanto per dire di non averla mai vista prima, ma perché sapevo che me l'avrebbe lasciata in pasto, mentre lui se ne andava con una pessima scusa.

E così è andata.

Restammo un attimo in silenzio. Le offrii una sigaretta, ma lei rifiutò, guardandomi con quegli occhi di un verde disarmante.

«Era tutto organizzato, se te lo stessi chiedendo», sorrise.

«In effetti me lo stavo chiedendo...»

«Ho detto a Leonardo che ti trovavo interessante, così ha preso in mano la situazione», disse per niente imbarazzata.

Sorrideva e continuava a fissarmi.

«Stavi scappando, vero? Se vuoi, vengo con te.»

Non avevo altro in mente, se non tornarmene a casa. Invece andai con Bea, che tirò fuori le chiavi del suo SUV e me le lanciò. Guidai in direzione della costa, diretto ad una spiaggia a nord. Ci fermammo anche a prendere una bottiglia di vino e a mangiare del sushi.

Quando arrivammo alla spiaggia, il buio della notte iniziava a sfumare, lasciando il posto allo spettacolo di un'alba mozzafiato.

Bea tremava nel suo vestitino verde senza spalline.

«Non ce l'hai una giubbotto o una felpa?»

«No, stonava col vestito.»

«Tieni.»

Le allungai la mia giacca.

«Un vero gentiluomo.»

Ci sedemmo sulla sabbia a bere il vino direttamente dalla bottiglia. Mi raccontò del film che aveva appena finito di girare e di quello che avrebbe iniziato il mese prossimo.

«Sono cresciuta in un posto sperduto in Abruzzo, con mia madre che continuava a ripetermi che ero carina, che avrei dovuto fare la modella o l'attrice, mentre io volevo studiare legge. Dopo le superiori mi sono trasferita a Roma per l'università e mi sono ritrovata a fare la modella per pagarmi gli studi. Poi ho iniziato anche a fare l'attrice e, tra una cosa e l'altra, non ho mai concluso l'università.»

«A volte è la vita a decidere per noi.»

Aveva lo sguardo fisso sull'orizzonte e giocava con le dita dei piedi infossate nella sabbia fredda. Effettivamente era carina.

«Ho letto parecchie cose su di te. Mi dispiace tanto per la tua band.»

Il vino mi andò di traverso.

«Scusami, è che... Vorrei solo... Non arrenderti, okay?»

Sentirlo dire a voce alta, in quel modo esplicito e diretto che nessuno aveva mai usato prima, senza troppi discorsi filosofici sulla vita che fa il suo corso, in modo schietto e diretto, mi fece innamorare un po' di lei.

Quella sera andai a casa sua. Per tutto il mese successivo andai a trovarla sul set, pur di scappare dalla mia quotidianità malata. Ormai mi ero affezionato a quella ragazza dolce e bellissima. E quella stessa estate, mi propose di andare a vivere con lei.

«Ho una stanza per gli ospiti che non uso mai. Ci potremmo fare un piccolo studio di registrazione, tutto per te.»

L'idea di fuggire da quell'appartamento degli orrori e di ricominciare in una casa piena di finestre e di luce, e di un ipotetico futuro insieme a Bea, mi era sembrata la cosa più giusta da fare. Pensavo che questo fosse sufficiente, che le emozioni che provavo per lei sarebbero sbocciate fino a raggiungere la stessa intensità dell'amore che avevo provato per Victoria.

«Perché non te ne torni da lei?», mi chiede acida, ogni volta che ci urliamo contro per la più piccola sciocchezza. «Sono stufa di dover competere con lei.»

«Nessuno può competere con te», le rispondo io, baciandola sulla guancia.

Ma penso che entrambi sappiamo che mento.

Bea è abituata a dormire con il suo telefono accanto al cuscino, io dormo con i frammenti dei suoi ricordi dietro le palpebre abbassate.

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