Bugie

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Rey mentiva.
Lo faceva da sempre, spesso senza nemmeno rendersene conto, ed era talmente brava nel farlo da cambiare totalmente la realtà a suo piacimento.

Cresciuta in un ambiente ostile in ci aveva sempre dovuto lottare da sola e per se stessa, avendo vissuto all' avamposto di Niima, su Jakku, in cui la regola vigente era fregare prima di essere fregato, avendo trascorso tutti gli anni di cui aveva memoria su un pianeta che odiava ed era odiato, Rey aveva dovuto imparare a mentire.
Mentire è un'arte, e a lei era stata insegnata bene e dalla più eccelsa delle maestre: la vita.

Aveva preso la realtà, come si prende un tassello di un puzzle, se l'era rigirata tra le dita e ne aveva fatto ciò che voleva. Era diventata brava nel mentire, talmente brava da farlo di continuo, senza nemmeno accorgersene.
E se prima mentiva ad Unkar Plutt o a Luke Skywalker o a Leia Organa o a Finn, ora mentiva a se stessa.
Da brava bugiarda lei stessa era diventata la sua più bella bugia.

In quel momento Rey non riuscì a pensare al presente. Nel momento in cui veicolava la Forza per allontanare tutto e tutti dall'uomo che amava, la sua mente si allontanò dalla realtà circostante.

Le tornò alla memoria un ricordo che era ignara di conservare, un ricordo appartenente alla sua vita su Jakku.
Le parve strano che in un frangente così assurdo della sua vita l'unica cosa a cui la sua mente la portava era uno sprazzo di una vita che sembrava appartenere ormai ad un'altra persona.
Ma non poté in alcun modo evitare che i ricordi affiorassero, prepotenti, con violenza e brutale sincerità - la stessa sincerità che Rey negava.

Le tornò in mente un frammento della sua infanzia su Jakku.
L'avamposto di Niima non era un posto per bambini, e per Unkar Plutt era estremamente svantaggioso provvedere a Rey che non era ancora in grado di andare a caccia di rottami lungo il deserto. Per questo motivo aveva deciso di venderla a degli schiavisti di passaggio per il pianeta.
Rey aveva undici anni, a quel tempo. Aveva undici anni e tanta speranza. Era sicura che la sua famiglia sarebbe tornata per lei - una certezza che l'avrebbe accompagnata per tutti gli anni successivi. Per questo motivo si era ribellata ad Unkar Plutt e alla sua decisione. Lui l'aveva picchiata, giorno e notte, fino a farla svenire per le percosse. Allora Rey aveva deciso di fuggire il più lontano possibile, e chiedere aiuto. Quando erano giunti gli schiavisti, lei era già bell'e lontana. Era giunta ad un altro avamposto di cui ignorava il nome, si era seduta sulla terra arida e spaccata ed era scoppiata in lacrime. Un uomo le si era avvicinato offrendole il proprio aiuto e lei gli aveva confidato tutto, senza porre alcuna barriera e senza nascondere niente. L'uomo le aveva detto: "Tranquilla, adesso ci penso io a te", e si era allontanato per poi tornare due ore dopo con Unkar Plutt al suo fianco.
Unkar l'aveva trascinata fino all'avamposto di Niima, le lacrime che scorrevano copiose lungo le sue guance. Non l'aveva picchiata. L'aveva costretta a trasportare una cassa nel deserto, arrancando duna dopo duna, poi l'aveva costretta a scavare una fossa nella sabbia. Rey tremava e piangeva e scavava, troppo terrorizzata per pensare razionalmente.
Unkar Plutt l'aveva sepolta viva nel deserto di Jakku per punirla. Una volta che lei era entrata nella cassa, a tre metri di profondità, le aveva gettato addosso tutta la sabbia circostante. Rey da dentro la cassa di legno aveva udito ogni manciata di sabbia che le cadeva addosso e per ogni minuto che passava si era sentita soffocare.
Unkar Plutt l'aveva lasciata lì, a soffocare nella sabbia che paradossalmente non la sfiorava nemmeno, l'aveva lasciata lì a morire protetta dentro una cassa di legno, l'aveva lasciata lì per due ore.
Dentro quella cassa Rey aveva pensato che sarebbe stato meglio morire e basta. Lì dentro le era mancato il respiro e il tempo. Aveva pianto, pietrificata dalla paura. Aveva colpito le pareti della cassa con i pugni e urlato e chiamato il nome del suo boia e pregato e domandato scusa e richiesto pietà.

Poi il sole era sorto e Unkar Plutt aveva deciso che poteva bastare così. L'aveva tirata fuori dalla sua tomba e le aveva messo tra le mani che ancora tremavano un bastone.
"Tieni" aveva detto. "D'ora in poi, te la caverai da sola".
E l'aveva lasciata lì, a versare le ultime lacrime rimaste sulla sabbia.

The Empress - ReyloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora