Notti fragili

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Rey sbattè piano le palpebre e mise a fuoco il soffitto dei suoi alloggi.
Poi chiuse di nuovo gli occhi e si girò su un lato in un groviglio di coperte.

Era da molto tempo che non riusciva a chiudere occhio di notte. Quando il sole spariva all'orizzonte, il cielo appariva sempre più punteggiato di stelle e la Base alpha imperiale annegava nel silenzio, le ombre non vagavano solo per Atzerri, ma anche nella sua testa.
Quando si abbandonava tra le lenzuola e chiudeva gli occhi per cadere tra le braccia di Morfeo, i fantasmi della sua vita tornavano per lei.

Nella fredda notte dal cielo punteggiato di stelle che Rey non poteva vedere, nella fragile notte che le mostrava tutte le sue incrinature, nella sua testa si susseguivano immagini, scorci di vite passate e future.

Vedeva il cimitero di rottami su Jakku, i granelli di sabbia portati via dal vento torrido, una bambola su uno scaffale abbandonata, un vecchio casco arrugginito da pilota, un deserto crudele in cui morire.

Vedeva un'immensa distesa di verde, un uomo che lei avrebbe voluto come padre, un anello con due opali blu, speranza e determinazione nel petto, fantasmi di una vita appena assaporata e che le sarebbe potuta appartenere.

Vedeva un'isola tra flutti maligni, una sensazione di equilibrio, un luogo buio in cui la sua luce era stata oscurata, un uomo che lei avrebbe voluto come maestro, due mani nemiche che si toccano.

Rey aprì gli occhi, il respiro pesante.
Non voleva quei ricordi, eppure c'erano, erano sempre lì, con lei.
Li odiava, perché la tenevano ancorata ad un'altra Rey, una Rey che aveva sepolto da tanto tempo ormai.

Sbuffando sonoramente, fece leva su di un gomito e si mise a sedere.

Quel letto le sembrava vuoto e pungente come un cespuglio di rovi ora che l'unica persona che avrebbe voluto lì, con lei, sotto le coperte, era rinchiusa lontano da lei.
Una fitta dolorosa al petto le fece digrignare i denti.
Erano passati cinque giorni dalla mancata esecuzione, cinque giorni di supplizio e tormento. Anche lui ora era una di quelle ombre che venivano a cercarla di notte. Come un fantasma, si aggirava nella sua mente e rendeva il suo cuore pesante come un macigno.

Con uno scatto felino, Rey si alzò dal letto e si affrettò a coprire le gambe nude.
Non prese la propria spada laser. Non ne sentì né il bisogno né il richiamo.
Lentamente, si avviò verso la porta, la aprì ed uscì sul corridoio.

L'unico rumore che si udiva era il suo respiro e il cigolio meccanico di alcuni droidi da manutenzione. La Base era immersa nell'oscurità rotta in alcuni punti solo dai freddi led ausiliari, e annegava nel silenzio della notte, un silenzio opprimente e sconosciuto.

L'ultima volta che Rey aveva visto la luce del sole era stato il giorno dell'esecuzione. Ricordava ancora bene come i tiepidi raggi solari l'avevano fatta sentire vera, come le nuvole candide l'avevano fatta sentire meno sola, come la vita oltre l'Impero aveva risvegliato in lei una parte di sé che aveva dimenticato.

Mentre attraversava velocemente il corridoio principale per raggiungere il montacarichi, si chiuse alla Forza. Almeno per una notte sarebbe stata quella Rey che aveva sepolto sotto la sabbia di Jakku tanto tempo prima.

Quando udì dei passi provenienti dalla direzione opposta alla sua, si appiattì contro la parete e trattenne il respiro. Per un attimo ebbe come la sensazione di star vivendo un déjà vu. Non poté impedire ai propri ricordi di riaffiorare, prepotenti e brutalmente sinceri. Per una frazione di secondo, vide lo stesso corridoio ma una Rey diversa, appiattita contro la parete proprio come lei adesso, che stringeva tra le braccia un blaster, terrorizzata, mentre cercava una via d'uscita dallo stesso luogo che le sarebbe appartenuto solo pochi anni dopo, scappando dalla creatura con una maschera da cui non era poi così differente.
Si riscosse dai propri pensieri e proseguì con cautela lungo il corridoio.

The Empress - ReyloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora