Prologo

4.6K 71 24
                                    

Apro gli occhi, sento la bocca impastata e la testa pesante. Mi sono svegliato troppo in fretta, non sentivo il cuore battermi così forte da mesi, una tachicardia che mi toglie il fiato e mi fa sentire il cuore in gola. Vabbè, di certo, per quanto male andasse nei mesi subito successivi al funerale, non ero caduto mai così in basso.
Mi metto a sedere sul divano di pelle, preso da un giramento di testa e lentamente i contorni della stanza prendono forma. Fuori è buoio pesto, le poche luci notturne della città illuminano lo squallore dove vivo: bottiglie vuote sparse in giro, custodie di pillole messe lì, a casaccio, tutti i miei libri e appunti sono alla rinfusa, gettati in fondo alla stanza.

"Che cazzo stai facendo della tua vita, Sirio?" Mi dice una vocina in testa, ma non l'ascolto, e tracanno gli ultimi sorsi del liquore che ho davanti, per zittirla, mandandomi a fuoco la gola. Quale vita? Senza di lei non c'è vita.... ho lottato al suo fianco e con lei per 5 anni, ma non è bastato. Mi è strata strappata via, ancora me lo ricordo...

Si era finalmente svegliata dal coma, dopo settimane, mi avvicinai a lei, la presi tra le mie braccia e le sorrisi. Mi sorrise e mi tirò a lei debolmente, ci baciammo. Poi lei spirò.....vidi i suoi occhi diventare vacui e sentii il suo ultimo respiro, la sua vita lasciarla, sulle mie labbra...

Scossi la testa, per mandare via quei ricordi, dolorosi come ferro rovente sulla pelle, cercando qualcosa che bruciasse più forte. Cazzo, avevo di nuovo finito da bere. Mi costrinsi al alzarmi dal divano, instabile e barcollante, mi vestii dei primi stracci che mi capitarono sotto mano.

Indossai il soprabito e uscii di casa; unica meta, il super market dell'indiano all'angolo che vendeva alcolici a prezzi bassi, ma ero quasi certo che metà fossero acqua, spirito per pulire i vetri e piscio, solo per fregare i barboni e i disperati, bramanti alcol. Io non so di quale delle due categorie faccia parte...

Stavo per dirigermi verso il negozio quando mi ricordai le parole del mio terapeuta:"quando stai male, cammina, solo cammina, perditi nel cuore della città, riscoprila, piuttosto darti all'alcol, cammina. Anche quando le gambe ti faranno male, e i piedi a ogni passo ti sembreranno sul fuoco, continua. Se devi proprio farti del male per sovrastare un male peggiore, allora non bere, cammina." E così feci....

Solo cammina.

Andai dalla parte opposta, quella notte, e mi addentrai nella periferia di Milano. Passai davanti al liceo dove lavoravamo....volevo dire lavoro.... e ripensai al vice preside, quella mattina. Mi aveva dato un ultimatum, se mi fossi ancora ripresentato in classe in quella condizione indecente mi avrebbe buttato fuori. Che vada a farsi fottere dal professore di motoria... quell'edificio era freddo e inospitale di giorno, ma di notte dava i brividi.

Le finestre buie, piene di disegni incollati sui vetri, con la luce traballante dei lampioni, facevano si che le forme infantili e i colori si distorcessero e sembrassero moniti a stare lontano da quel posto. La struttura di cemento pendente e corrotta, lo faceva sembrare un lager. Non molto distante dalla mia realtà. Attraversare ogni giorno quei corridoi e quei luoghi che per 15 anni avevo vissuto con lei, non era facile.

Passai oltre, trovandomi in un'altra zona, che a dirla tutta non conoscevo. Attaversai la strada facendo il dito medio al tram che mi aveva suonato, e ripresi a vagare tra il freddo e l'umido della notte.

Solo cammina.

Mi aprii la giacca e ne estrassi fuori una sigaretta, non una di quelle così, che si fumerebbero in 30 secondi di boccate date di fretta, senza neanche sentirne il sapore. No, era un mezzo-sigaro, una sigaretta con sopra la cartina una foglia di tabacco.

In mezzo al buio vidi la fiamma dell'accendino prendere forma, incendiando l'estremità opposta alla mia bocca. Presi un respiro, il sapore forte del tabacco mi riempì la bocca, e godetti di quel sapore amaro. Le Leaf (marca di sigarette) erano le mie preferite, duravano di più delle sigarette normali, erano dal gusto forte e deciso, ma non erano sigari.

Ripresi a camminare lasciando dietro di me una nuvola di fumo. Camminai forse per 3 ore, senza scosta, finché le mie gambe non cedettero, constringendomi ad arrancare su una panchina. Quel vecchio stronzo di Luis, il mio terapeuta, aveva ragione. Se dovevo cercare qualcosa di più forte per coprire il mio dolore, quello era il metodo giusto. Arriverò alla fine del mio percorso di terapia con due gambe da atleta, pensai rifacchiando.

Mi sdraiai sulla panchina, bagnata dalla rugiada. Erano le 3 del mattino, l'ora del diavolo! Mi riaccesi un'altra sigaretta, e la fumai in pace, nel silenzio della sera e della metropoli. Mi guardai attorno, dove cazzo ero? Presi il cellulare, ero lontanissimo da casa, avevo fatto praticamente Milano da un capo all'altro. Prenderò un taxi... mi toccai le tasche e trovai un po' di banconote stropicciate, sarebbero bastate.

Guardai di fronte a me, e vidi un super market di cinesi ancora aperto. Magari una bottiglia me la potevo concedere. Mi alzai con un mugugno, dolorante e stanco, per dirigermi verso il negozio, quando qualcosa attirò la mia attenzione.... una galleria d'arte minuscola, con un cartellone mezzo svolazzante attaccato alla porta. Per la prima volta, dopo mesi, ci fu qualcosa ad attirarmi più dell'alcol, mi avvicinai cercando di mettere a fuoco.

Guardai attraverso il vetro e vidi un paio di opere, carine, di buon gusto e manufattura. Mi diressi verso il cartellone, invitava ad unirsi a un aperitivo, l'indomani, per una "open-night" della galleria. Feci una smorfia, magari... non partecipavo a un qualcosa che fosse diverso da visite ospedaliere da anni ormai, preso com'ero stato dalla salute della mia Selene.

Sorrisi triste, le sarebbe piaciuto.... sospirai e chiamai un taxi per farmi portare a casa. Mentre le luci dei lampioni volavano al di là del finestrino, pensai:"nessuno mi vieta di camminare fino a qui anche domani sera...".

Saudade: "L'amore che resta"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora