.Capitolo 12.

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Convinsi, con molta retorica, Lawrence ad iscriversi all'università di storia dell'arte, per imparare nuovi stili e tecniche, come per ampliare il suo pool di conoscenze in campo artistico, così da poter promuovere in futuro il suo lavoro. Ci mettemmo seduti sul tappeto e la schiena contro al divano, con il computer sul tavolo da caffè. Più stavo con lui, più mi rendevo conto di quanto innocente e spaesato fosse nei confronti del mondo, e di come questo lo frenasse.

Avevo scoperto, parlando con il ragazzo, che ai ragazzi avevano già staccato la luce e l'acqua perchè si erano persi il pagamento delle bollette, che era il loro secondo appartamento quello in cui vivevano, poichè dal primo erano stati sfrattati, non riuscendo a pagare, e che alcuni mesi, solo di spese necessarie, avevano superato il budget di molto, dovendo tagliare il mese dopo. Insomma, dal punto di vista finanziario erano molto incasinati come smarriti, non sapendo come funzionassero quelle cose.

Imparare a gestire cose come bollette, benzina, affitto, Mav univeristari, bollettini postali, conti in banca e le spese in generale, era già un'impresa di per sé, ma senza un punto di riferimento nel mondo dei grandi che ti insegnasse, era praticamente impossibile. Mi misi con pazienza a spiegargli come spendere i soldi correttamente, avendo sia lui che Marcus un guadagno buono, l'uno con la galleria e l'altro con la Croce Bianca, ma che necessitava di essere gestito con attenzione per coprire tutte le spese, magari mettendo anche qualcosa da parte, ma soprattutto, gli promisi che ci avrei prestato attenzione anche io, nel caso si dimenticassero, come se davvero ne avessero avuto bisogno, di anticipargli qualcosa pur di non farli morire di fame o al buio.

Sentivo Lawrence quasi a disagio davanti alla mia disponibilità e gentilezza, ritengo abituato com'era da quello che era stato costretto a passare, ma piano piano iniziò a legarsi a me, ascoltarmi fidandosi delle mie parole, e quando mi accorsi di ciò, sentii una stretta al cuore, ma di gioia. Vedere come il mio modo di fare e il mio comportamento riuscissero a trapelare nel cuore di una persona che aveva praticamente perso il rispetto nell'umanità, portandola a fidarsi di me, era ina una sensazione.............. beh.........era quello che successe tra me e Selene, tempo addietro.

Quando la incontrai la prima volta, avevo 20 anni, ed era il dicembre del 1992, facevo il militare. Lei era prigioniera, insieme altre donne, dei soldati serbi. Erano carne da macello quelle ragazze, trattate come prostitute ed oggetti, la loro resistenza era stata soppressa e la loro vita resa invivibile a furia di stupri. La loro innocenza... le loro famiglie.... lei aveva perso tutto: suo fratello e suo padre erano stati uccisi all'inizio della guerra dai soldati, e lei e sua madre erano state rinchiuse in questa sottospecie di campo di concentramento. Sua madre era stata uccisa perché si era ribellata ai soprusi. La guardai, i suoi occhi erano azzurri come il mare più profondo, e la sua pelle bianca e candida, nonostante i lividi e i graffi, lì un batuffolo di stracci dai capelli dorati in messo la neve. Ma il suo sguardo era vuoto, spaventato, lo sguardo di chi non si sarebbe mai più fidato dell'uomo, lontano dallo sguardo che anni dopo, imparerà ad amarmi e a fidarsi di me.
Sentii una forza nascermi dal petto, e il desiderio di poterla togliere dalle grinfie di quei bruti, di poterla proteggere, di poterla salvare.
Prima ancora di poterle parlare, e già l'amavo....

<<Sirio, va tutto bene?>> sentii la voce di Lawrence riportarmi alla realtà, delicata e gentile, quasi impaurita di disturbarmi. Scossi rapidamente la testa, mi ero incantato, perso nei ricordi e nei miei pensieri. Quegli occhi azzurri.... me li ritrovai di nuovo davanti. Sorrisi annuendo, cercando di non far vedere dove la mia testa era andata:<< Sì, sì, scusami! Mi ero imbambolato! !>> dissi, cercando di far cadere la cosa.

Ma lui era come Selene, mi leggeva senza dovermi parlare. Mi guardò attentamente, prima di abbracciarmi, senza preavviso. Sentii le sue braccina magre stingermi e la sua testa appoggiarsi al mio petto, sul mio cuore. Aspettò un secondo o poco più, prima di dirmi:<<.... so che ti manca..... e so che fa male....mi dispiace tantissimo.....>>.
Lo abbracciai, senza dire nulla. Empatia. Pura e innicente empatia era quello che da sempre avevo chiesto e mai mi era stato dato: la comprensione del mio dolore, del mio stato d'animo, e di quanto facesse male continuare a vivere senza di lei.

Saudade: &quot;L'amore che resta&quot;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora