Capitolo 46

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Mattia pov
Continuavo a giocherellare annoiato con il cibo ormai freddo nel mio piatto, e la mia mente non smetteva di fabbricare pensieri su di lei, e al fatto di averla veramente lasciata.
Avevo provato più volte a pizzicarmi il braccio per avere la consapevolezza di star sognando, per convincermi che la realtà in fondo non era così buia e triste.
Ma non stavo sognando, no, tutto ciò era la pura realtà, una schifosa realtà.
Avevo reagito per impulso, forse perché effettivamente non avevo le palle per dirle che dovevo andarmene in Italia per chissà quanto, ero un fottuto senza palle.
Come un codardo avevo preferito non affrontare l'imminente realtà, cioè vedere martina che faceva di tutto per tenere in piedi una relazione a distanza, e stare male perché non poteva abbracciarmi quando voleva.
Ma sapevo di non aver migliorato la situazione, come potevo pensare che lasciarla sarebbe stata l'opzione più giusta?, ormai avevo dubbi su qualsiasi cosa.
Mi chiedevo come stesse, anche se la risposta mi balzava nella mia stupida testa, me la immaginavo piangere fino a rimanere senza fiato, e a darsi colpe che in realtà non aveva, perché lei non aveva sbagliato, ero io quello sbagliato.
Ed era proprio per questo che non meritavo di stare con lei, perché ero certo che se lei si fosse trovata nella mia stessa posizione scomoda, avrebbe fatto di tutto per trovare una soluzione, perché lei era una persona perseverante e coraggiosa.
Mentre io cosa ero?, uno stupido che aveva preferito scappare, invece che affrontare.
L'ennesimo sbuffo affranto che aveva abbandonato la mia bocca suscitò l'interesse di mia madre, che come mio padre, non aveva ancora proferito parola dopo la nostra discussione.
"Mattia è tutto okay?", ebbe il coraggio di chiedermi, tenendo un tono tranquillo e morbido
"Si mamma tutto ok", mentii, cercando di essere il più convincente possibile, ma ahimè ero un pessimo bugiardo.
"Sicuro?", provò nuovamente a farsi esplicare ciò che mi aveva provocato una costante assenza, durante quella cena
"Non hai toccato cibo, non è da te", aggiunse dopo aver bevuto un sorso d'acqua per schiarirsi la voce
"Non ho semplicemente fame", risposi spingendo con delicatezza il piatto contenente la pasta davanti a me, per allontanarlo.
"Se non ti va la pasta, posso sempre prepararti altro", replicò, facendo uscire in lei la dolcezza di madre che aveva nei miei confronti.
"Semplicemente, non ho fame mamma", sbuffai per il suo troppo riguardo verso di me
"Non essere maleducato con tua madre", sentenziò mio padre, dopo aver ascoltato in silenzio la nostra conversazione parecchio tesa
"E tu non impormi ciò che non voglio fare", risposi arrabbiato, per la sua noncuranza verso i miei sentimenti
"Mattia!", mi avvertì, probabilmente infastidito dalla mia arroganza adolescenziale
"Cosa?, non è per caso la verità?", mi ritrovai ad urlare queste due domande, ormai noncurante della mia rabbia repressa esplosa.
"Calmati", mi avvertì nuovamente, non curandosi di ciò che gli avevo appena domandato
"No non mi calmo, non potete pretendere che io lasci tutto ciò che ho qua, per andare in Italia per non si sa quanto!", sbottai battendo i pugni sulla tavola, la rabbia cercava e io non ero in grado di fermarla.
"Basta mattia, smettila di comportanti come un bambino viziato", mi ammonì mio padre, alzando la voce per potermi sottomettere, come faceva sempre quando si litigava.
"Non sono un bambino viziato!, sono semplicemente un ragazzo che ha una vita, e che non può privarsene per voi", risposi, mandando a puttane il piano di mio padre di vincere la discussione, io dovevo dire cosa provavo e loro, questa volta, dovevano ascoltarmi.
"Ti stai comportando da tale, tua nonna è malata, ho bisogno di te per prendermi cura di lei, non dirmi che non ti interessa almeno di tua nonna", rispose lui, cercando di farmi sentire in colpa, anche se di colpe io non ne volevo, e non avevo.
"Della nonna mi importa, sono arrabbiato perché non so quanto tempo dovrò stare con te in Italia", sputai fuori tutto ciò che mi preoccupava e che mi faceva infuriare.
"Come puoi pretendere di sapere quando dovremmo stare?!, non c'è un limite di tempo mattia, ma che hai in testa?!", mio padre sbottò dopo che avevo messo a dura prova la sua pazienza, sbattendo violentemente la mano sul tavolo.
"Verrai con me in Italia, che ti piaccia o no!", aggiunse tenendo il tono di voce sempre molto alto.
"Vaffanculo", dissi tra i denti, cercando di non farmi sentire
"Ti ho sentito, ora vai in camera tua e rifletti sul tuo stupido egoismo", disse mio padre puntando il dito verso le scale che portavano alla mia camera.
Non risposi, ma mi alzai strisciando la sedia e facendola cadere dietro di me, la conversazione era finita, ma non come volevo io.
Dopo essermi alzato andai verso le scale e iniziai a salirle, sbattendo i piedi per la mia evidente rabbia.
Entrai in camera e dopodiché chiusi la porta alle mie spalle, facendola sbattere violentemente.
Ero arrabbiato, deluso e triste.
Non mi sentivo meglio dopo quella conversazione, anzi mi sentivo ancora peggio, litigare così pesantemente con i miei genitori non era il mio obbiettivo.
Io volevo solo che capissero il mio "egoismo", e che mi dicessero che non era necessario partire, perché per me non lo era, e questa situazione mi stava distruggendo.
Mi ero ritrovato solo, senza nessuno e non avevo ancora detto a kairi, Alvaro e roshaun che sarei partito, e non mi andava di vedere i loro visi tristi.
Non potevo sopportare di provocare delusione ai miei amici, anche se immaginavo di averlo già fatto, non dando una spiegazione della mia rabbia mentre sferravo pugni all'albero il giorno precedente.
Avevo tradito la loro fiducia, oltre che quella della mia ragazza.
O forse ex ragazza, perché l'avevo lasciata di punto in bianco, senza una fottuta spiegazione plausibile.
Avevo procurato tristezza a tutti, ero uno stupido coglione.
Io avevo bisogno di martina, in quel preciso istante, avevo bisogno di dirle che l'amo, e che dovrò andarmene, avevo bisogno di sentirla sbraitarmi addosso, solo al costo di sentire ancora una volta la sua splendida voce.
Così, senza pensarci, uscii dalla mia camera più velocemente possibile, violando la mia presunta "punizione", che mi era stata assegnata da mio padre.
Potetti notare l'evidente rabbia crescente nei miei confronti, quando mio padre si rese conto delle mie intenzioni.
Ignorai qualsiasi commento o richiesta di spiegazione, e finalmente uscii da quella trappola piena di rabbia e tensioni, ovvero la mia casa.
Sapevo che non stavo ragionando a mente lucida, e che ciò mi avrebbe fatto partorire frasi senza un senso, portando martina ad una confusione ancora più calcata.
Non sapevo nemmeno se quando l'avrei rivista, avrei potuto resistere all'impulso di scoparmela, per farla sentire meglio.
Finalmente diedi uno stop ai miei pensieri, visto che ero davanti alla sua porta di casa, con la coda in mezzo alle gambe.
Questo mi fece capire nuovamente che ero un senza palle, che lei in qualche modo aveva il potere di attrarmi e di farmi stare tranquillo.
Bussai con poca insistenza, non sapendo nemmeno se la sottoscritta fosse a casa.
Mordicchiavo il mio labbro inferiore mentre aspettavo che la ragazza di cui ero pazzamente innamorato aprisse la porta.
Quando finalmente potetti vederla aprire la porta, mi sentii quasi soffocare.
Era vestita con una felpa grigia, dei pantaloncini da calcio e aveva i capelli sciolti che le cadevano sulle spalle.
Mi guardò senza dire una parola, senza lasciarsi andare in sguardi che l'avrebbero fatta sembrare debole, anche se le sue guance erano rosse e aveva delle piccole borse sotto gli occhi, che constatavano il suo pianto.
Mi sentivo così piccolo davanti a lei, mi sentivo uno stronzo, perché più la guardavo e più mi rendevo conto che a farla diventare così ero stato io.
Rimanemmo a fissarci imbarazzati per qualche minuto, fino a che la sua voce piccola non arrivò alle mie orecchie.
"Vuoi entrare?", chiese gentilmente, trattandomi come se fossi io quello ferito in tutto ciò.
"Ehm, si", risposi impacciato, mentre lei si era scostata per farmi passare
Capii il suo segnale e entrai in casa, passandole accanto per una frazione di secondo, che mi bastò per farmi sentire ancora di più la mancanza di noi.
"Posso offrirti qualcosa?", chiese dopo essersi chiusa la porta alle spalle, e avviandosi verso la sua cucina
"Un bicchiere d'acqua va bene", risposi, esitando nel mettermi comodo sul suo divano, rimanendo lì in piedi a fissarlo
"Accomodati pure", disse, notando la mia esitazione stupida
Feci un lieve cenno con la testa e mi sedetti, affondando leggermente nel divano.
Lei aveva avuto una reazione strana nei miei confronti, come se sapesse già che sarei tornato, o come se lo sperasse.
Come se non volesse pressarmi con le troppe domande sputate fuori con acidità e confusione, tenendo semplicemente un'atteggiamento maturo e pacato.
Teneva semplicemente una corazza, come facevo io.
Dopo qualche minuto arrivò davanti a me, con un bicchiere d'acqua nella sua mano, e me lo porse abbozzando un piccolo sorriso.
Dopo averlo preso mormorai un "grazie" e iniziai a sorseggiare.
"Come mai sei qui?", si premurò di chiedermi, sempre con tono calmo dopo essersi seduta sul divano, leggermente distante da me.
"Devo parlarti", risposi dopo aver ingoiato l'ennesimo sorso
"Ti ascolto", rispose dopo aver incrociato le gambe, mettendosi comoda, e notai dai suoi movimenti; imbarazzo e rabbia, che ahimè nascondeva.
"Mia nonna è gravemente malata, ed essendo la madre di mio papà, deve prendersene cura-"
"Mi dispiace tanto mattia", mi interruppe, ed era visibilmente triste e dispiaciuta per me, ma per quanto volessi sprofondare nelle sua braccia e sciogliermici dentro, dovevo dirle tutta la verità.
"-E io devo andare con lui, non so per quanto tempo", ripresi a parlare, facendo cambiare completamente espressione nel viso della ragazza di fronte a me.
Era un'espressione confusa e stranita, così smisi di continuare a confonderla, rimanendo in silenzio aspettando una sua risposta.
Ma più che una risposta, fu una domanda;
"Perché mi hai lasciata?", da come queste parole uscirono dalla sua bocca potetti dedurre che le aveva già pronte, e io sapevo già che prima o poi l'avrebbe chiesto.
"Perché non voglio una relazione a distanza", risposi, mentre facevo girare l'acqua in senso circolare nel bicchiere
"E perché non vuoi una relazione a distanza?", chiese infastidita per il fatto che non davo delle vere risposte sensate.
"Perché non sono in grado di mantenerle, e soprattutto non posso chiederti di aspettarmi", risposi senza guardarla, avevo paura di guardare la tristezza che aveva negli occhi.
Volevo baciarla e dirle che andava tutto bene, volevo permetterle di bagnare la mia felpa con le sue lacrime, mentre le accarezzavo i capelli e le sussurravo quando l'amavo, ma non potevo farlo, perciò mi limitai a guardare il pavimento in attesa della sua reazione.
"Mattia, come fai a sapere che io non ti aspetterò", parlò dopo qualche minuto di silenzio, e sentì dal tono di voce che era sull'orlo del pianto.
"Perché si, non so nemmeno io quanto dovrò starci cazzo!", sbottai per cercare di frenare l'impulso di baciarla, che si faceva sempre più vivo in me.
"Io ti aspetterò, perché io ti amo e perché so che ne vale la pena per il nostro amore", rispose, e finalmente incontrai il mio sguardo con il suo.
L'amore puro e sincero, lo avevo e lo stavo provando per una persona, che per me avrebbe lottato perché si, martina per me lo avrebbe fatto.
"Come posso chiederti di farlo", dissi guardandola ancora nei suoi occhi, che ogni tanto si facevano scappare qualche lacrima traditrice.
"È questo il punto, non devi chiederlo", rispose, ammorbidendo il tono di voce, come se ci fosse qualcosa di vittorioso in questa conversazione.
Non c'era, non potevo.
"Sono venuto qua per parlare, per farti sapere la verità, ma questo non vuol dire che torneremo assieme", sputai, e mi chiesi se fossi io veramente ad aver parlato.
La sua espressione cambiò di nuovo, questa volta avevo preso il suo cuore e l'avevo buttato nel cestino, e la cosa che faceva più ridere era che l'avevo fatto per il suo bene.
Ma il bene non c'era, e lo capii quando lei si alzò velocemente e disse;
"Io ho lottato per te, ci ho provato, perché io ho i ciglioni per farlo, ma tu no.
Tu stai semplicemente scappando, e se oltrepasserai quella porta, mi metterò l'anima in pace e ti lascerò andare, ma se deciderai di rimanere lotterò per te", parlò sconfortata, puntando con il suo dito la porta d'entrata.
Mi alzai dal divano, sotto lo guardo attento di martina, che cercò di decifrare ogni mio movimento, che le desse una risposta.
Mi avvicinai a lei, sentendo già il calore e il mio cuore uscire dal petto.
Presi il suo viso tra le mani, e sentii le sue mani appoggiarsi ai miei fianchi stringendoli lievemente.
Avvicinai la mia bocca alla sua, ma prima che potessi toccare le sua labbra deviai e mi appoggiai con le labbra alla sua fronte, schioccandole un bacio.
Dopodiché mi allontanai, mentre lei iniziava a capire le mie intenzioni, piangendo a dirotto.
La scostai e successivamente appoggiai la mano alla maniglia della porta, tirandola e aprendola.
Uscii da casa sua, senza guardare tutto il dolore che le stavo provocando.

E quando mi ritrovai nel suo viale con la porta chiusa dietro alle mie spalle, mi resi conto che;
Avevo perso l'amore della mia vita
Per sempre.

  Fine.

⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️
-Just kidding!!!
La storia è appena cominciata ragazzi, tenetevi pronti❤️
Ho deciso che farò un sequel (che arriverà tra poco, questo capitolo non è il finale)
Però invece di dividerlo, farò tutto nello stesso libro( ovvero questo)
Così da non farvi spostare
Va bene?❤️-
⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️⚠️

Spazio autrice
Ciao ragazzi, come state?
Ammettetelo vi ho spaventati con la parola "fine", ma non vi preoccupate, non è ancora finita❤️
Comunque, vi piace il nuovo aggiornamento di Wattpad con la dark mode?, a me si un sacco😍
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e un commento.
Un bacio💜

M.M mattia polibio💜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora