Jane
"In three words I can sum up everything I've learned about life: it goes on."
Robert Lee Frost
Tra non molto arriverò a Stanford, la strada è deserta e leggermente illuminata dai primi bagliori del Sole. Ho deciso di partire presto per avere il tempo di meditare su tutta questa straziante situazione e preparami ad affrontare ciò che ho rimandato per troppo tempo.
Non è stato semplice lasciare Cathy per la seconda volta, non dopo la comprensione e la premura che ha rivolto nei miei confronti. Abbiamo pianto mentre ci salutavamo, consapevoli entrambe che non ci saremmo riviste tanto presto. Ci siamo abbracciate con affetto e necessità, un contatto insolito per noi, ma profondamente sentito.
La prima persona che vedrò una volta arrivata sarà sicuramente Kira, considerando che il Martedì ha lezione nel pomeriggio.
Questi due giorni di inferno mi sono serviti anche per riflettere. Ho compreso, anche grazie a Cathy, che non posso continuare a nascondermi, non posso fuggire dalle persone che si dimostrano realmente interessate a me. Non posso più farmi trascinare nell'abisso di un oceano pericoloso e soffocante. Devo andare avanti e abbracciare la luce che si affaccia in superficie, invitandomi a tornare nuovamente a respirare.
Durante il tragitto i pensieri frullano nella mia testa a una velocità tale da stordirmi e provocarmi un'emicrania assurda.
Penso a mia madre, a quanto sarebbe stato più facile condividere questa vita con lei, a come sarebbero andate le cose se non mi avesse lasciato.
Per anni mi sono sentita colpevole di averla fatta scappare, sbagliata fino al punto da costringere la persona che mi ha messo al mondo a respingermi.
Ripeto nella testa le stesse parole pronunciate da mio padre in questi anni. Ogni pugno era accompagnato da una frase che riguardava mia madre, ogni schiaffo serviva a ricordarmi le mie colpe, ogni calcio sprigionava il dolore che avevo, involontariamente, causato dalla mia nascita.
Pensieri che mi hanno perseguitato fino ad oggi, annientandomi giorno dopo giorno e spingendomi a rinunciare alla felicità.
Dal finestrino scorgo i paesaggi familiari di Stanford, il posto che mai in vita mia avrei pensato di chiamare "casa". Il luogo che ha accolto la mia fragilità, le mie insicurezze e il mio dolore. Il luogo che mi ha permesso di sperare in un futuro migliore.
Busso alla porta di Kira con il cappuccio della felpa sulla testa e una tuta nera che copre tutto il mio corpo.
Kira apre la porta, assonnata e sfatta.
"Ehi, ma che ore sono?" Chiede facendomi spazio per entrare.
"Le nove, sono partita molto presto" specifico.
"Mi spieghi cosa sta succedendo?" Kira sembra essere nervosa, lo percepisco dal tono incerto con il quale pronuncia ogni parola.
"Devo farmi una doccia prima. Vieni nel mio appartamento tra 10 minuti. " e senza aspettare risposta mi dirigo verso casa per pulire con l'acqua gelida i segni indelebili collezionati negli anni.
Torno in soggiorno dopo 15 minuti con addosso solo un asciugamano che permette al mio corpo di essere spoglio da ogni corazza. Mi metto a nudo per la mia amica, lasciandola entrare nei meandri del mio cuore e mostrandole il fardello che mi ha logorato per anni.
Kira, notando la mia presenza, alza lo sguardo e, vedendo le condizioni in cui sono ridotta, mette una mano sulla bocca per lo stupore.
Capisco che questo è il momento giusto per parlare. Questo è il momento perfetto per iniziare il monologo sulla vera Jane.
"Vuoi sapere cosa è successo? Ti accontento subito.
La mia vita è stata sempre complicata.
Non ho mai conosciuto mia madre, mi ha abbandonata dopo neanche due ore dalla mia nascita. Non so quale sia stato il motivo reale, se per mancanza di senso materno o per la paura di crescere una bambina. E' andata via senza mai voltarsi indietro.
Sono cresciuta con i miei nonni, che, per quanto amore e attenzioni potessero darmi, erano insufficienti a colmare il vuoto che avevo. Mio padre, invece, di avere una bambina da accudire non ne voleva sapere.
Quando la mamma ci abbandonò mio padre iniziò a diventare aggressivo e a bere. All'inizio si limitava a insultarmi o a non considerami proprio, ma una volta arrivati i miei 13 anni vidi tutto l'odio e il rancore che covava nei miei confronti.
Avevo 13 anni quando mi picchiò per la prima volta e non parlo di due schiaffi per mancata educazione o per aver disobbedito ad una sua richiesta.
No, io ero una brava bambina, studiosa, rispettosa e mai invadente.
Ricordo ancora la prima volta che le sue mani si posarono sul mio corpo, la paura che cresceva e la delusione che neutralizzava ogni forma di emozione.
Compresi che la stessa persona che mi aveva messo al mondo era la stessa che, in realtà, non mi voleva. Che l'uomo che avrebbe dovuto amarmi e proteggermi provava piacere nel vedermi soffrire.
Dopo quella prima volta andai a vivere dai nonni con la speranza di non incontrarlo più.
La pace durò pochi anni perché quando sei destinata a soffrire non puoi scappare a lungo. La sfortuna bussò ancora alla mia porta, portandosi in cielo i miei nonni, morti sul colpo di un terribile incidente stradale.
Ritornai a vivere con mio padre e fu sempre peggio. Le aggressioni diventarono sempre più frequenti e con maggior vigore e intensità.
Una volta terminata la scuola superiore mi trovai dei lavoretti. Era l'unica valvola di sfogo che potessi permettermi e che mi garantisse un'imminente via di fuga."
La reazione di Kira non mi stupisce per niente, anche io al suo posto mi comporterei nella stessa maniera, anche io avrei pianto per un'amica nella mia stessa condizione e anche io l'avrei guardata con compassione.
"Mi sono messa un po' di soldi da parte e con quello che i nonni mi hanno lasciato mi sono trasferita a Stanford, senza dire niente a nessuno, senza lasciare traccia. Era tutto programmato e quando con la macchina ho salutato Cape Cod per dare inizio ad una nuova vita mi sono sentita finalmente libera.
Ma anche in questo caso, il destino non mi ha sorriso.
La sera che saremmo dovute andare a cena da Berry, mio padre è venuto a Stanford a cercarmi. Era riuscito a trovarmi, non so ancora come, ma ci era riuscito. In quel momento mi sono sentita morire, e sai perché? Non era per paura di sprofondare ancora una volta nell'oscurità, ma per il timore che se tu fossi arrivata da un momento all'altro, avrebbe potuto fare male anche a te.
Così, per evitare di mettere in pericolo le persone a cui voglio bene, ho acconsentito ad andare a Cape Cod ogni volta che avesse voluto, ogni volta che avesse sentito il bisogno di farmi del male."
Sento le braccia di Kira stringermi con forza, le sue lacrime scivolano sulla mia spalla, bagnandomi della sua sofferenza.
"Jane perché non l'hai denunciato? Perché gli permetti ancora di farti questo?" Chiede osservando i lividi sul mio corpo.
"Perché pensavo di meritarlo, mi sentivo così in colpa per l'abbandono di mia madre che ho iniziato a credere di dover sopportare e accettare tutto questo dolore, lo stesso dolore che avevo procurato a mio padre venendo al mondo" sussurro.
"Jane ma cosa dici? Non ci pensare nemmeno, tu non hai nessuna colpa, sei solo una vittima in questa situazione. Che hai intenzione di fare adesso?" Mi chiede guardandomi dritta negli occhi.
"Ho intenzione di andare avanti."
💫Spazio autrice 💫
Jane è tornata più decisa che mai.
Dopo essersi aperta con Kira, le resta solo una cosa da fare...affrontare Tom. ❤️
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Way out
Romance[COMPLETA] Non avevo niente. Navigavo nella notte in cerca di uno spiraglio di luce. Poi ho incontrato lui. Due occhi verdi petrolio che mi hanno destabilizzato, mettendo tutto quando in discussione. Tom Brown ha sconvolto il mio mondo ma purtr...