7. le istruzioni del gioco

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La notte avvolgeva Villa Black con delicatezza. Ogni oggetto, magico o babbano, dormiva da ore. Il ritratto di Phineas Nigellus, che Kayla e Martha avevano insistito per salvare dalla polvere di Grimmauld Place, dormiva beato. Era strano, pensò Anastasia passandoci davanti per andare verso la spaziosa cucina, che fosse in quella cornice: solitamente, anche nei mesi estivi, preferiva di gran lunga spiare l'ufficio della Preside ed i suoi infiniti pettegolezzi. Superata la sua mania per il sangue puro, Anastasia era riuscita ad instaurarci un rapporto quasi amichevole. Sirius sosteneva che Anastasia fosse così buona e gentile che sarebbe andata d'accordo anche con un Berretto Rosso, se se ne fosse trovata uno davanti.
Mentre il gatto la seguiva fedele, entrò in cucina con passo leggero e sistemò il necessario per una tisana. L'orologio sul muro segnava le quattro e ventidue del mattino, lei era tornata da più di tre ore, e tutto quello che era riuscita a fare era stato rigirarsi nel letto, sentire le parole di Draco riecheggiarle nella testa e le sue espressioni riempirle la mente, sospirare e coprirsi la testa con il cuscino, nella vana speranza di coprire così ogni pensiero.
Raccolse la sua tazza preferita e vi versò l'infuso bollente, sorridendo notando che Martha aveva già sistemato sul tavolo il necessario per la colazione, come d'abitudine. Maledicendosi perché stringere la tazza bollente tra le due mani non era stata una buona idea, con un leggero balzo si sedette sul bancone pulito e incrociò le gambe, ripromettendosi che avrebbe accettato, la prossima volta che nonna Andromeda si fosse proposta di insegnarle un po' di yoga.
Non sarei stato in grado di uccidere Silente, neanche se avessi avuto tutto il tempo del mondo, o almeno credo.
Chiuse gli occhi lasciando che la voce di Draco allontanasse ogni immagine di lei e nonna Andromeda che fanno yoga in salotto. Quei pensieri erano lì, a tormentarla, e non se ne sarebbero andati. Tanto valeva lasciarli fare.
Ho capito che io non ero come loro, io non ero ... non ero ciò che loro avevano deciso che io fossi.
La cena appena conclusasi sembrava destinata a tormentarla.
Aveva sentito ogni storia di guerra che la sua famiglia potesse offrire. Ne aveva sentite così tante e così tante volte, che a volte sentiva di averle vissute anche lei.
Eppure, nessuna storia le aveva mai lasciato quel senso di angoscia e pietà. Si sentiva il cuore in una morsa, e riusciva solo ad immaginare Draco che punta la bacchetta contro Albus Silente.
Albus Silente, o meglio il suo ritratto, le aveva sorriso con complicità ogni volta che a scuola si era messa nei guai. E quando, al sesto anno, aveva lanciato un Everte Statim coi fiocchi a Morgan Copper, che stava lanciando insulti omofobi a Teddy da dieci minuti, quell'uomo con i capelli argentei e uno sguardo commosso, le aveva detto: «Anastasia Black, tu superi ogni mia più rosea aspettativa sul tuo conto». Lei aveva sorriso sinceramente compiaciuta, e aveva afferrato la gonna della divisa per fare una riverenza. Minerva le era sembrata furiosa, ma lei aveva deciso che Albus Silente sarebbe stato il suo quadro preferito – ma la voce non sarebbe mai dovuta arrivare a Phineas Nigellus, perché sapeva essere davvero permaloso.
Nessuno merita di morire, in effetti, ma ci sono arrivato solo con il tempo.
Avvicinò la tazza alle labbra e soffiò, illudendosi di soffiare via anche i pensieri e i ricordi di tutti i racconti di Harry e Robert su tutti i guai che avevano passato per colpa di Draco Malfoy, tutti i punti che aveva sottratto loro inutilmente e persino quella volta in cui Hermione gli aveva tirato un sinistro degno di nota.
Possibile che quello fosse lo stesso Draco che conosceva lei?
Quando Sirius apparve all'ingresso della cucina, lei non riuscì a nascondere un sussulto.
Lui le sorrise e le fece l'occhiolino, avvicinandosi con tranquillità. «Sei qui» concluse, sistemandosi la vestaglia. Anya sorrise notando come la vestaglia portasse i colori di Serpeverde e le iniziali di Regulus Arcturus Black cucite sulla tasca sul petto.
«Che ci fai sveglio?» chiese con un sorriso.
«Potrei farti la stessa domanda» rispose lui avvicinandosi ai fornelli. «Ma te ne faccio un'altra: è avanzata un po' di tisana per il tuo vecchio?»
Lei annuì e soffiò di nuovo, mentre lui Appellava una tazza e la riempiva. Poi, si appoggiò al banco da cucina e incrociò i piedi, perdendosi a fissare lo stesso punto nel vuoto della figlia. «Ho avuto un incubo» spiegò, dopo aver soffiato anche lui sulla tazza. «E sai, quando faccio questo genere di incubi, ho bisogno di alzarmi e rendermi conto di quello che c'è davvero accanto a me»
Anya annuì. «Azkaban?» domandò, alludendo all'incubo.
«Azkaban» confermò lui. «Quindi mi sono dovuto mettere seduto, controllare che Martha fosse davvero Martha e non una qualche illusione e poi sono venuto a controllare che tu ci fossi»
Anastasia piegò la testa. «Che ci fossi?»
«Che esistessi, che fossi reale. Quando ero ad Azkaban, eri solo un sogno. Ma non temere, prima che quei disgraziati dei tuoi fratelli si sposassero e lasciassero il nido, controllavo anche loro»
«Che ci fossero?»
«Che ci fossero, sì» confermò di nuovo. «Okay, ora tocca a te»
Lei scosse la testa e sorseggiò la tisana.
Lui la osservò con sguardo dolce.
«Papà, secondo te ... se una persona fa delle cose cattive, è cattiva?»
Lui aggrottò le sopracciglia.
«Voglio dire, non è detto, no?» continuò lei. «Il fatto che qualcuno agisca in un certo modo, non ne determina la natura. Insomma, a tutto c'è una spiegazione, anche alla cattiveria!»
«Abbassa la voce» la rimproverò subito lui in un sussurro. «Se svegli tua madre o Phineas, è la fine» poi sospirò. «Nessuno è solo buono o solo cattivo, Anastasia. Vorrei che fosse così, vorrei considerarmi assolutamente buono e considerare Orion e Walburga assolutamente cattivi, senza possibilità di replica» spiegò. «Ma non è così. Nessuno è solo bianco o solo nero, ecco» si prese qualche secondo per scrutare l'espressione pensierosa della figlia. «E nessuno ha in mano le istruzioni del gioco fin da subito, se sai cosa intendo. Ci vuole un po' di astuzia e di fortuna per trovarsi in mano le carte giuste»
La ragazza annuì, sorseggiando di nuovo la tisana. «Grazie, papà» sussurrò poi, con lo sguardo ancora colmo di pensieri.
Lui le prese il naso tra indice e pollice. «Sei sempre il mio mostriciattolo»
Lei sorrise di cuore e posò la tazza per allargare le braccia. Il padre raccolse quell'abbraccio con delicatezza e dedizione.


I corridoio di Hogwarts l'accolsero con naturalezza, come se non fosse stata costretta a dire loro addio solo due mesi prima. con i jeans più sobri che era riuscita a trovare, si dirigeva a grandi passi verso il Gargoyle, mentre Nick-Quasi-Senza-Testa le fluttuava accanto, assettato di informazioni.
«Vostro fratello Robert, allora, forse?»
«No, Sir Nicholas» sbuffò lei.
«Non posso nascondere una certa gioia nel rivederla, dovrò avvisare il Frate Grasso quanto prima, ma ...»
«Sono solo di passaggio, Sir Nicholas» spiegò lei. «Devo parlare con ... un quadro»
«Un quadro! Perché mai, un quadro? Io le consiglierei di parlare con un fantasma! I fantasmi sanno molte, molte più cose, e sono decisamente più vecchi!»
Lei alzò gli occhi al cielo. Maledetto il momento in cui aveva accettato di consolarlo quando nessuno era andato alla sua festa di complemorte, al suo quarto anno. Da allora, era diventato una cozza. Era convinto di doverle restituire un favore, o forse mille, o comunque di avere diritto a sapere tutto sulla sua vita.
«La ringrazio, Sir Nicholas, farò volentieri quattro chiacchiere con lei e gli altri fantasmi in un altro momento» Svoltare l'angolo e trovare il Gargoyle fu quasi una liberazione. «Succo all'ananas» lui immediatamente si spostò, e prima che potesse accorgersene, era nell'ufficio della Preside.
Minerva era seduta alla scrivania, con il capo chino su un libro grande quando un calderone. «Anastasia!» sorrise, vedendola. «Qual buon vento!»
«Perdona l'intrusione» esordì lei. «Ho chiesto a Phineas di avvisarti»
«Certamente» rispose la Preside. «Ma non credo di aver compreso a pieno il messaggio del vecchio Phineas, diceva che avresti bisogno di parlare con ...»
«Albus Silente, sì» concluse la ragazza. «Credi sia possibile?» domandò poi timidamente, indicando il ritratto alle sue spalle.
«Senza dubbio, Anastasia, senza dubbio» rispose Minerva alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a lei. «Credo sia comunque mio dovere informarti, però, che quello non è Albus Silente» le disse, posandole una mano sulla spalla e abbassando sensibilmente il tono della voce. «Per quanto Albus possa aver istruito il ritratto quando era in vita – e ti assicuro che lo ha fatto più che bene – Albus Silente è morto»
Anastasia strizzò l'occhio con complicità alla sua madrina. «Lo so. E so anche che tu non stai nella pelle all'idea di sapere cosa mai potrei dovergli dire»
Minerva cercò di nascondere un sorriso.
«Siediti lì» acconsentì la ragazza, indicando la poltrona più vicina alla finestra. «Per favore, fingi di non esserci e non farne mai parola con nessuno» si guardò attorno. «Lo stesso vale per voi che fate finta di dormire» un paio dei Presidi ritratti, in segno di protesta, abbandonarono la cornice, mentre lei si avvicinava ad Albus Silente e Minerva prendeva posto dove le era stato indicato.
Albus Silente la osservava con saggia dolcezza.
Capì immediatamente cosa intendesse Draco quando aveva descritto i suoi modi come "dannatamente gentili". Fece per parlare, ma richiuse immediatamente la bocca, provocando nell'anziano Preside un mezzo sorriso.
«Sapeva che sarei arrivata, non è vero?» domandò, quindi.
«Lo sospettavo, sì» confermò lui. «Cosa posso fare per te?»
«Lui ... credeva che lui sarebbe mai riuscito, ad ucciderla?»
Silente abbassò la testa per riuscire a guardarla senza dover filtrare lo sguardo attraverso le lenti degli occhiali a mezzaluna. «Nemmeno se avesse avuto a disposizione una notte lunga cento anni, mia dolce Anastasia»
Con la coda dell'occhio, vide Phineas aprire un occhio, spinto dalla troppa curiosità.
«E lasciami aggiungere» continuò Albus. «Che non so come lui sia entrato nella tua vita o tu nella sua, ma so per certo che una cosa del genere, ad un'anima tormentata come la sua, porterà solo benefici»
Sentì Minerva trattenersi dal parlare, ma fu distratta dal fatto che, per la prima volta, vide riempirsi una cornice che era sempre stata vuota. In un abito da mago nero e con un pallore quasi preoccupante, un naso aquilino ormai leggendario e uno sguardo inquisitore, la guardava letteralmente dall'alto verso il basso.
E così, quello era Severus Piton.
Lo osservò per qualche secondo, sentendo riecheggiare le parole di Draco: non ti perdi granché.
Quello sguardo serio e severo, specie se messo a confronto con quello dolce e saggio di Albus Silente o con quello materno e accudente di Minerva, la metteva in soggezione, facendola sentire più vulnerabile di quanto la facesse sentire l'intera questione che l'aveva portata ad essere di nuovo lì.
«Lei è d'accordo?» chiese, con un filo di voce.
Il ritratto di Piton non si degnò di cambiare espressione o dare voce a qualsiasi forma di risposta. Si limitò ad annuire lentamente, ma con decisione.
Allora, si voltò verso la sua madrina.
Con le mani giunte in grembo, sedeva dove le era stato chiesto, con sguardo serio.
«E tu?» chiese, di nuovo.
Minerva la osservò attentamente per qualche secondo, senza muovere un muscolo. «Sono pienamente d'accordo con Albus, Anastasia» rispose, poi. Si alzò, e con passo deciso coprì la distanza con la figlioccia. «Tuttavia ...»
Anastasia non riuscì ad evitare di sospirare e alzare gli occhi al cielo.
«Evita certe espressioni, signorina Black»
«Non mi piacciono i tuoi discorsi che cominciano con "tuttavia", Minnie»
«E invece, dovrai sorbirti anche questo» sorrise la Preside. «Come tutti gli altri»
Anastasia allargò le braccia e mosse qualche passo all'indietro, per sedersi sulla sedia che stava davanti all'imponente scrivania. «Lo sai che ti ascolto sempre» sorrise. «E poi» aggiunse, con un sorriso più che malandrino. «Sarà il primo discorso che mi fai che non finisce con una punizione o una quantità eccessiva di punti sottratta a Tassorosso»
«Non sono ancora convinta che tu non sia, in realtà, una Grifondoro» sospirò Minerva. «Dunque, dove eravamo?»
«Stavi partendo con il tuo solito "tuttavia"»
«Oh, giusto»

Draco se ne stava fermo nell'androne.
Le mani in tasca, le scarpe ben allacciate, i capelli perfettamente pettinati.
Lo sguardo fisso davanti a lui, le spalle all'imponente porta d'ingresso. Impercettibilmente, scosse la testa.
Avrebbe solo voluto avere il coraggio per entrare di nuovo in quella cantina.
Avrebbe voluto avere il coraggio per fronteggiare una cantina apparentemente vuota, ma piena di sensi di colpa. Avrebbe voluto essere una persona abbastanza coraggiosa da potersi permettere di convivere pacificamente con i propri rimorsi ed i propri rimpianti.
Invece, si trovava costretto a passare le ore ad osservare la porta che nascondeva le scale che portavano a quella dannata cantina.
Come un codardo qualsiasi.
Come il codardo che sentiva di essere.
Si sforzò di muovere un passo, uno soltanto, in più verso quella porta. Un passo. Non sarebbe arrivato ad aprirla o addirittura a scendere le scale. Voleva solo compiere un passo, uno di più, rispetto alla distanza massima che sentiva di poter sopportare. Un passo più in là di quello che si era sempre concesso.
Rimase immobile.
Avrebbe voluto compierlo, quel passo. E poi aggiungerne un altro il giorno seguente, in una settimana arrivare ad aprire la porta, in due a scendere le scale, e magari in un mese riuscire a pensare a quella cantina come a una semplice cantina, nulla di più, nulla di meno.
Rimase immobile.
Come un codardo qualsiasi.
Come il codardo che sentiva di essere.

Anastasia si incastrò la matita nei capelli con disinvoltura e posò i gomiti sulla scrivania, mentre la pioggia picchiettava sui vetri delle finestre. Si passò una mano sul viso, passando lo sguardo dal libro che aveva davanti al giardino di Villa Black al di là della finestra. Raccolse le gambe sulla sedia e iniziò a girare su sé stessa, grata a quell'arredamento Babbano che popolava la casa. Dopo un paio di giri, decise di averne abbastanza e tornò ad osservare quel manuale di Magisprudenza.
Chiuso.
Si passò di nuovo una mano sul viso e si strofinò gli occhi, imponendosi di smettere di pensare ai quadri, a Minerva, alla cena con Draco e a tutto il resto. Le era già successo di far ruotare tutta la sua vita attorno ad un mago che l'aveva stordita con qualche parola gentile e una manciata di attenzioni. E si era trovata sola, sperduta, vuota e spenta. E aveva giurato che mai, mai sarebbe tornata a commettere gli stessi errori. Mai.
Allora perché non riusciva ad aprire quel libro e iniziare a studiare?
Perché non riusciva a concentrarsi sulla sua vita e sul suo futuro?
Ebbe la tentazione di cercare la lettera con cui Edward le annunciava che non sarebbe più tornato, solo per averla tra le mani e ricordarsi perché avesse scelto di non innamorarsi mai più. No. Edward non si meritava neanche quello. Aveva scelto, e tra le cose che aveva scelto, lei non c'era. Il minimo che potesse fare, era comportarsi allo stesso modo. Non permettergli di avere più influenza o importanza nella sua vita. Anzi, forse quella lettera un giorno l'avrebbe buttata.
Forse.
Un giorno.
Mentre stava per fare un altro giro sulla sedia, qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse, senza pensarci.
Ad aprire la porta fu Harry, con in mano una Pluffa e indosso una tuta. «Fai una partita?» domandò, sorridendo. «Io te e Robert contro i tuoi nipoti»
Anastasia si alzò dalla sedia con un balzo e corse verso Harry per scompigliargli i capelli per dispetto. «Sarà un onore» sorrise.
Senz'altro, quello era un bel modo per concentrarsi sulla sua vita. 

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