1. testa di zucca

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La porta si aprì, provocando il solito tintinnio.
Il Paiolo Magico non era pieno, ed il brusio non era soffocante come al solito. Era tutto perfettamente normale, per essere un mercoledì sera di luglio: di lì a un paio di settimane, si sarebbe riempito di studenti di ogni età con le loro famiglie, pronti ad attraversare il passaggio per Diagon Alley ed acquistare tutto il necessario per procurarsi la fondata illusione di iniziare al meglio quell'anno scolastico.
Hannah Abbott aveva preso il posto di Tom, conosciuto semplicemente come "Tom il barista", e si diceva che fosse stato proprio lui, ormai prossimo alla pensione, a sceglierla e istruirla su come tirare avanti quello che aveva la fama di essere il pub più vecchio di Londra. Lei stava dietro il bancone a sistemare le solite cose, e al tintinnio della porta alzò lo sguardo più per abitudine che per curiosità. Non appena, però, ebbe modo di mettere a fuoco la persona appena entrata, non poté fare a meno di sorriderle.
La ragazza, dal canto suo, fece lo stesso: imitando una riverenza, sorrise alla barista con disarmante sincerità, per poi allargare le braccia e aspettare che si pulisse rapidamente le mani nel grembiule che portava legato in vita per poi correrle incontro e stringerla in un abbraccio colmo d'affetto.
«Quando sei tornata?» le chiese, dondolando a destra e a sinistra.
«Stamattina» rispose la ragazza, subito, sciogliendo l'abbraccio per levarsi gli occhiali da sole e sistemarseli sopra la testa.
Era stupido, pensò lui, tenere gli occhiali scusi sul naso, visto che il sole era già tramontato da un pezzo e Londra, in quella zona, era tutt'altro che luminosa.
Ma, nel momento in cui si sistemò gli occhiali tra i capelli, senza smettere di sorridere, raccontando apparentemente un viaggio appena concluso, fu tutto più chiaro persino a lui, seduto da solo ad un tavolo davanti a due bicchieri vuoti di Whiskey Incendiario.
Quella, si disse, era senza dubbio una Black.
Era chiaro come avesse cercato di nascondere il suo sangue reale, il suo naturale portamento elegante, la sua innata grazia. Forse solo per quel viaggio, forse solo per un periodo. Non le si addicevano le scarpe da ginnastica babbane, i jeans scoloriti e larghi non riuscivano a nascondere il suo fisico scolpito e il suo sedere mozzafiato, e quella vecchia maglietta con il logo di una band babbana annodata sopra all'ombelico sembrava quasi stonare, addosso a lei, e, agli occhi di lui, non faceva che richiamare un'altra Black, che a suo tempo aveva portato abiti babbani e annodato le magliette sopra all'ombelico.
Ma no, lei era troppo giovane, per essere Kayla.
Draco si lasciò cadere sulla sedia, desiderando che quel bicchiere si potesse riempire nuovamente, perché improvvisamente sentiva di averne un disperato bisogno.
Quella non era Kayla Black: Kayla era un pezzo più grande di lei, sicuramente un poco più bassa, non aveva quei capelli biondi e aveva un seno molto più prosperoso.
Quella non poteva essere Kayla.
Quella era Anastasia Elizabeth Helen Black, quartogenita della coppia più chiacchierata, invidiata e spiata del mondo magico, anche più di un decennio dopo la fine della guerra.
Si sedette al bancone, lanciando un veloce sguardo al locale alle sue spalle, mentre raccontava ad Hannah di come suo fratello fosse riuscito ad arrivare in ritardo e di come lei fosse rimasta più di mezz'ora fuori dalla stazione ad aspettarlo.
Non c'è da stupirsi, pensò lui. Di qualunque tuo fratello stia parlando.
Hannah lo stava giustificando, dicendo cose che lui non riusciva a sentire, ed ebbe come l'impressione che quasi facesse apposta, a parlare ad un tono tale che lui non riuscisse a sentirla. Scosse la testa e finse di guardarsi attorno: quindici anni dopo la guerra, la caduta di Voldemort, la morte di sua zia e la cattura di suo padre, ancora qualcuno abbassava la voce per evitare che lui sentisse cosa si stesse dicendo.
Fissò per qualche secondo la sedia vuota davanti a lui.
Astoria non sarebbe venuta, lo sapeva.
Forse lo sapeva fin dall'inizio.
Si era alzato quella mattina, era uscito di casa e si era sforzato di essere gentile con le persone che aveva incontrato nel corso della sua giornata, perché aveva letto da qualche parte che le cose ch fai, poi ti tornano indietro, e lui aveva bisogno che quella giornata con lui fosse gentile. Al calare del sole si era recato lì, dove si erano dati appuntamento, sapendo che si sarebbe trovato a bere da solo, che lei non si sarebbe presentata.
Non aveva nessuna intenzione di tornare insieme a lui.
D'altro canto, come biasimarla?
Neanche lui, se avesse potuto, avrebbe scelto di continuare a stare con lui.
Eppure, era condannato a passare il resto della vita con lo stronzo che vedeva nello specchio ogni mattina.
Il pub si stava svuotando, Astoria era in ritardo di quasi tre ore – ammesso che avesse mai considerato di presentarsi – e lui iniziava a sentirsi quasi fuori luogo, lì, a quel tavolo e davanti a quella sedia vuota. Inspiegabilmente, però, la giovane bionda seduta al bancone aveva dato a quel posto una luce nuova, spingendolo a restare lì seduto ad ascoltare solo il suono della sua voce melodica, perché anche lei aveva iniziato a parlare con un tono basso e non gli era possibile sentire cosa stesse raccontando ad Hannah Abbott, ma era sicuro che fosse qualcosa di davvero bello, vista l'enfasi che ci stava mettendo.
Si trovò ad alzare lo sguardo di nascosto, trovandola a gesticolare davanti ad uno sciroppo di ciliegia che a Draco ricordò i tempi delle feste di Horace Lumacorno. Si grattò il naso e si sforzò di ripromettersi di andarlo a trovare, il vecchio Horace, perché era una delle poche persone a trattarlo ancora con inspiegabile rispetto.
Le persone che uscivano dal pub salutavano la quartogenita Black con calore quasi inatteso, e lei rispondeva a tutti con un sorriso genuino. Chi la salutava le chiedeva di portare i propri saluti a qualche membro della sua famiglia, che fossero i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi nipoti o i suoi cognati, e lei annuiva dicendo che avrebbe senz'altro riferito, e Draco ebbe l'impressione che fosse vero, che non stesse mentendo, che non avesse mai mentito in vita sua.
Fece roteare il bicchiere sul tavolo, bagnandone la superficie e senza sentirsi dispiaciuto per questo. Poi, raccolse le poche energie che gli rimanevano per alzarsi da quella vecchia sedia di legno e cercare di specchiarsi in qualche finestra, sperando di non sembrare disperato e triste come in realtà era.
Normalmente, avrebbe salutato Hannah con un cenno, o forse anche meno di un cenno, e sarebbe uscito. La presenza della ragazza, invece, con cui tutti erano stati così gentili, cordiali e sorridenti, lo spinse a fermarsi davanti al bancone, con il reale desiderio di ringraziare Hannah.
«Ehm ...» si trovò a dire, impacciato.
Hannah lo guardò quasi preoccupata.
«Grazie, Hannah. Tutto squisito»
Si vergognò immediatamente per quello che aveva appena fatto.
Ringraziare? Fare un complimento? Lui? Che cosa stava succedendo?
«Non dire sciocchezze, fermati a mangiare qualcosa» rispose immediatamente la donna. «Hai la faccia di un uomo distrutto»
Lui avrebbe voluto rispondere, ma la ragazza si era voltata e lo aveva guardato dritto negli occhi.
E lui, vedendola da vicino, con quei buffi occhiali fermi sopra la testa ed il viso elegante che solo una Black poteva avere, si trovò incatenato a quegli occhi grigi.
«Draco Malfoy» sorrise lei, come se quel nome non fosse sempre stato accompagnato da qualche forma di odio o paura.
Abbassò la testa come se fosse stato accusato di qualcosa, e dopo meno di un secondo, la alzò per mostrare un ghigno divertito. «La giovane Black»
«Non credo di aver mai avuto l'onore di vederti in carne ed ossa» La ragazza continuò a sorridere e tese la mano destra, passandosi la lingua sui denti. «Anastasia» disse, allora. «Molto lieta»
Draco esitò, ma poi con il solito sprezzo accolse la stretta di mano, trovandosi spiazzato dalla forza che vi trovò.
«Draco Malfoy, per servirla»
Draco accennò un sorriso, convincendosi che la giovane emanasse buon umore – a questo punto, non c'era altra spiegazione -, e lei gli fece segno di sedersi, indicando con gentilezza lo sgabello accanto al suo.
Lui sembrò rifletterci: tutta quella gentilezza lo spiazzava.
E poi, la situazione era paradossale: non solo Anastasia Elizabeth Helen Black era estremamente giovane, bella e sexy, ma era la sorella minore di Kayla Lily Black, definita da Astoria "la sola donna che riusciresti mai ad amare davvero" solo qualche settimana prima, la sorella minore di Harry James Potter e Robert Sirius Black, con i quali non aveva un passato esattamente brillante, nonostante adesso i rapporti tra loro risultassero essere civili e cordiali; e senza contare tutta la questione "Bellatrix", a cui preferiva evitare di pensare, perché tutte le volte che per sbaglio finiva con il pensare a sua zia, poi perdeva il sonno per una settimana o anche di più.
«Guarda che non ti mangio» sorrise lei, strappandolo con dolcezza dai suoi pensieri.
Il fatto che lei, probabilmente consapevole di tutti i motivi per cui lui stava valutando di non sedersi, gli sorridesse con tanta naturalezza, lo spinse ad accettare l'invito, rendendosi conto di non essere minimamente imbarazzato da quella situazione.
«Ti ringrazio» sorrise il biondo.
«Hannah, cosa possiamo offrire al nostro ospite per cena?»
«Non ho fame, sinceramente» declinò in fretta lui.
«Oh, ti sei calato quei due Whiskey a stomaco vuoto, certo che non hai fame! Ma devi mangiare qualcosa per riuscire a tornare a casa tutto intero!»
Anastasia allargò il suo sorriso. «Sai, non credo che questo bel biondo debba mettersi al volante di qualche Mercedes stasera, o sbaglio?»
Draco cercò di fare mente locale il più in fretta possibile. Mercedes. Non era affatto un nome nuovo. Il fatto che poi la giovane Black avesse accennato anche ad un volante, gli fece intuire che si trattasse di un modello particolare di auto babbana.
«Non sai cosa sia una Mercedes, non è vero?» continuò a sorridere lei, sorseggiando la sua bevanda da una cannuccia colorata. Che Anastasia Black fosse una Legilimens, come la sorella?
«Certo che lo so: è un'automobile»rispose allora lui con il suo solito tono.
L'espressione di finto stupore sul viso della ragazza lo fece sorridere di nuovo, costringendolo a voltare la testa per il gusto di non darle la soddisfazione della certezza di averlo fatto sorridere per tre volte in meno di cinque minuti.
«I miei complimenti, signor Malfoy: non sei affatto come ti descrivono» posò il bicchiere ormai vuoto sul bancone e raccolse dall'altro sgabello vuoto accanto a lei un giubbotto di pelle, se lo posò sulle spalle e si alzò, mostrando di essere probabilmente, il più alto esemplare di Black di sesso femminile esistito fino ad allora. «Vieni, Purosangue dei miei stivali» rivolse ad Hannah lo stesso sguardo colmo di affetto che le aveva riservato al suo ingresso. «Dì a Neville che ho qualcosa per lui, glielo darò alla prima occasione»
Hannah sembrò illuminarsi. «Oh, ne sarà davvero felice!» con un colpo di bacchetta, ripulì il bicchiere lasciato da Anastasia e si concesse di lanciare uno sguardo sospettoso a Draco. «Grazie per essere passata» continuò. «E grazie anche a te, Draco, non ti si vedeva sorridere dai tempi di Allock»
Draco le tese la mano, assumendo nuovamente la sua posa rigida e fredda. «Ottimo Whiskey, Abbott» le disse. «E non credevo che qualcuno potesse gestire questo posto meglio del vecchio Tom»
Lei s'illuminò di nuovo, riprendendo a pulire con più allegria.
Draco stava per voltarsi ed aprire galantemente la porta ad Anastasia, ma, in tempo record, lo stava già facendo lei. «Se ti offro una Marlboro, sai di che parlo?»
«So che preferisco le Pall Mall o le Winston» rispose lui, attraversando la porta sentendosi ancora addosso lo sguardo di Hannah Abbott.
Intanto, guardò Anastasia sorridere e chiudere la porta dietro di sé prestando attenzione a non farla sbattere, mentre rovistava nella tasca del giubbino che teneva ancora posato sulle spalle per estrarne un pacchetto bianco e rosso.
«Le Winston? Quanti anni hai, dodici?» si stupì di nuovo.
«Merlino, no» rispose quasi con disgusto, ripensando a quell'età.
Lei si portò una sigaretta alle labbra e poi gli offrì il pacchetto. «Prova» lo invitò, e trovandolo di nuovo poco convinto, aggiunse: «Non le ho avvelenate, giuro»
Draco piegò gli angoli della bocca e accettò il dono.
«Posso sapere perché sei così diffidente?»
«Ho i miei motivi»
Lei sorrise di cuore e si accese la sigaretta. «Ma non mi conosci» con la stessa gentilezza di poco prima, gli passò l'accendino.
Lui stava per rifiutarlo, quando lei, con un solo cenno del capo, portò l'attenzione ad un dettaglio a cui lui non aveva fatto caso: essendo usciti dalla porta principale, erano in mezzo alla Londra babbana. Di conseguenza, accendere la sigaretta con la bacchetta magica non sarebbe stata la più brillante delle sue idee – non che di idee brillanti ne avesse molte, in effetti. Lei notò la sua difficoltà ad usare quel banale aggeggio babbano, e senza fingere di non esserne divertita, si avvicinò con naturalezza per aiutarlo.
«Grazie» disse lui, nascondendo un sospiro di sollievo in una tirata di fumo.
«Sei molto più educato di quanto i pettegolezzi non riescano a dire» sorrise lei, concedendosi di voltare la testa per guardarlo. Lui le lanciò un'occhiata più che rapida e tornò a fingere di guardare la strada semideserta davanti a loro: erano anni che non passeggiava per la Londra babbana. Anzi, forse non lo aveva mai fatto. Sicuramente, non respirando quella tranquillità e spensieratezza quasi palpabile.
«Come se di me si dicesse in giro solo questo» sbuffò lui.
«In giro si dicono troppe cose, Draco Malfoy» spiegò lei. «E non tutte sono vere»
«Anche su di te?»
«Anche su di me»
«Quindi non è vero che la McGranitt è la tua madrina?»
«Oh, questo è vero»
«E che ti ha quasi espulsa?»
«Vero anche questo, ma me lo meritavo» ammise. «Okay, tocca a me: che ci facevi al Paiolo Magico il mercoledì sera tutto solo?»
Lui scosse la testa. Questa, pensò, era la sola domanda a cui non aveva voglia di rispondere.
«Oh, non fare quella faccia!» esclamò lei, facendogli segno di voltare a sinistra per continuare a rimanere su quel marciapiede. «L'altra domanda che potrei farti è perché si parla sempre di te come di un mostro senza cuore»
«Probabilmente sarei più a mio agio a rispondere a questa, di domanda» si trovò ad ammettere con spiazzante sincerità e semplicità.
Lei scosse la testa e gli posò una mano sul petto per impedirgli di continuare a camminare, costringendolo ad alzare lo sguardo per rendersi conto di essere davanti a quello che i babbani chiamavano "attraversamento pedonale", e che quello che, secondo la sua memoria, doveva essere un semaforo, gli indicava di rimanere fermo per un'altra manciata di secondi.
«Oh, andiamo, non c'è nessuno!» esclamò.
In quel momento, una macchina sfrecciò ad altissima velocità davanti a loro.
«Sai che ridere, biondo? Il famigerato e spietato Draco Malfoy schiacciato da un taxi babbano all'incrocio di Charing Cross Road insieme ad Anastasia eccetera eccetera Black»
«Anastasia Elizabeth Helen, giusto?» domandò, appena il semaforo divenne verde.
«Credevo avessimo smesso con le domande su di me»
Lui alzò gli occhi al cielo, attraversando la strada con noncuranza, mentre lei gli indicava una panchina di metallo e lui, senza riflettere, vi si sedette portandosi di nuovo la sigaretta alle labbra. Lei, con tutta la sua regalità, prese posto accanto a lui, incrociando le gambe e sistemandosi di lato, in modo da poterlo guardare senza sforzi.
«Quanti anni hai, Anastasia eccetera eccetera Black?»
«Perché me lo chiedi?»
«Per capire cosa sai di me»
Lei gli sorrise di nuovo, e nonostante lui non capisse cosa ci fosse di divertente in questo, trovò estremamente gradevole quel sorriso sincero.
«So che sei tu che hai trovato Fred, dopo la battaglia»
Draco quasi si strozzò con il fumo della sigaretta.
Di tutte le cose terribili che avrebbe potuto scegliere di dire, di tutte le cose che aveva fatto o che avrebbe dovuto fare negli anni della guerra e in quelli ad essa precedenti, lei aveva scelto quella: hai trovato Fred.
Si trovò a dover annuire, mostrandole lo sguardo più sincero che avesse mostrato a qualcuno da anni.
«Oh ma non temere, so anche un sacco di cose molto meno lusinghiere» continuò subito lei. «Per esempio, so che durante il Torneo Tremaghi avevi messo in giro delle spille terribili su mio fratello Harry. Qualcosa come "Potter fa pena", o mi sbaglio?»
Lui non mutò il suo sguardo: la guardava come se non fosse vera – con profonda ammirazione e gratitudine.
Non sorrise, nonostante fosse chiaro il tentativo della ragazza di strappargli nuovamente un ghigno.
«E questa è la cosa meno lusinghiera che sai di me?» domandò, quasi in un sussurro.
«So molte cose tutt'altro che lusinghiere sul tuo conto, Draco Malfoy» ammise lei, assumendo, per la prima volta, lo stesso tono serio e distaccato del mago che aveva davanti.
«E perché non le dici?»
«Non credo abbia senso ricordarle»
«Ma neanche dimenticarle»
«C'è una netta differenza tra dimenticare e ostentare»
«Non le sto di certo ostentando»
«Beh, volere assolutamente essere ricordato come il giovane Mangiamorte a cui fu commissionato l'omicidio di Albus Silente, a quasi quindici anni di distanza, a me sa di ostentazione»
Draco non si mosse. Aveva inconsciamente paura che, ad un suo minimo movimento, la ragazza si sarebbe dissolta nel nulla. Niente di lei sembrava essere reale: la sua genetica eleganza e la sua somiglianza con Kayla, il suo look improbabile, il fatto che avesse ancora quei terribili occhiali da sole sopra la testa, la sua bontà disarmante.
«Sto per dirti una cosa, biondo, una cosa pazzesca, incredibile, rivoluzionaria, che forse nessuno ti ha mai detto: sei pronto?»
Lui, a quel punto, si concesse di accennare un sorriso. Buttò a terra la sigaretta, e annuì.
Lei, con tutta la sua naturalezza, gli fece segno di avvicinarsi e lui capì che questa cosa pazzesca, incredibile e rivoluzionaria, gliel'avrebbe sussurrata all'orecchio, e avvertì un improvviso brivido lungo la schiena davanti a quella consapevolezza.
Si avvicinò a lei, porgendole l'orecchio.
Lei avvicinò una mano alle sue labbra.
«Tu non sei il tuo passato!»
Draco si lasciò cadere dall'altra parte della panchina, scoppiando a ridere, e portandosi una mano all'orecchio in cui la ragazza aveva appena strillato. «Testa di zucca! Sono sordo! Sordo
«Testa di zucca?!» rimase basita lei, senza trattenere le risate. «Ti prego, neanche mio zio Remus dice "testa di zucca"!»
Lui si tirò in piedi per rimanere fermo davanti a lei. «E invece tu sei proprio una testa di zucca» sentenziò. «Perché Salazar mi hai urlato così forte nell'orecchio?!»
«Perché così il concetto ti entra meglio in testa: tu non sei il tuo passato. Nessuno lo è, per inciso»
«Non c'era bisogno di farlo sapere anche a tutta la Londra babbana!»
«Oh, i babbani hanno una memoria storica davvero pessima: tutta la storia di Silente se la sarebbero già dimenticata da un pezzo, ma di sicuro non si dimenticherebbero mai la storia delle spille» sminuì lei. «Vuoi tornare a sederti o pensi di stare lì a guardarmi come un troll per tutta la notte?»
«Troll chiamaci qualcun altro, Anastasia eccetera eccetera»
«E invece ho scelto di chiamarci te, pensa che onore»
«Non dovresti tornare a casa, a un certo punto?»
Lei si strinse nelle spalle. «A un certo punto» ripeté.
«Tuo padre sarà preoccupato»
«Non finiva con "lo verrà a sapere", il tuo tormentone?»
Lui si mise le mani nella tasca e si guardò attorno. «Probabilmente non eri neanche nata»
«Stando ai miei fratelli e ai Weasley, l'hai detta talmente tante volte che probabilmente io già camminavo»
«Oh, beh» ironizzò lui. «Se già camminavi, allora è tutt'altra storia! Cambia tutto!»
Lei rise con lui e sollevò una gamba per abbracciarsi un ginocchio, mentre si mordeva il labbro e lo guardava in silenzio.
«Puoi dirmi quanti anni hai, ora?» domandò lui, smettendo di guardarsi attorno per tornare a guardare lei.
Lei lasciò che lui la guardasse, per qualche secondo, lasciando che la mente vagasse sull'assurdità di quella situazione tanto da non permetterle di smettere di sorridere.
«Sono nata l'anno delle spille con scritto "Potter fa pena"»
«Schifo»
«Prego?»
«Era "Potter fa schifo
«Oh, allora è tutt'altra storia!» gli fece il verso lei. «Cambia tutto!»
«E in che giorno sei nata?» domandò di nuovo lui, ignorando le sue prese in giro, ma accorciando lo spazio tra lui e la panchina su cui lei era rimasta.
«Non mi dirai che credi nell'Oroscopo»
«Non mi dirai che sei nata il giorno esatto in cui io mi sono messo a distribuire quelle dannate spille»
«Perché, ti ricordi il giorno esatto?»
«Io mi ricordo tutto: è il difetto di chi ostenta il proprio passato»
La ragazza scosse la testa, mentre lui muoveva un altro passo verso la panchina. «Il cinque giugno»
Lui, di nuovo, rimase impassibile. «Stai bleffando»
«Giuro su mia madre» replicò lei, alzando un sopracciglio.
«No, no, stai bleffando perché il cinque giugno è il giorno del mio compleanno»
Lei accennò un sorriso. «Kayla lo sa?»
«Certo che lo sa» ammise lui.
Lei scosse la testa, pensierosa. «Non me ne ha mai fatto parola»
Lui la guardò: era chiaro che stesse rovistando nei suoi compleanni a ritroso in cerca di qualche informazione utile. Trovò meraviglioso come le si potesse leggere tutto in faccia.
«Davvero?»
Lei si trovò ad annuire.
«E che ti dice di me?» domandò timidamente, raggiungendo la panchina.
«Che non è vero che sei un mostro senza cuore»
«Questo non so se sia vero»
«Io credo che non lo sia»
«Tu non mi conosci, Anastasia»
«E tu non conosci me»
«Sei troppo giovane per avere questo tono arrogante»
«Potrei ritrattare sul mostro senza cuore»
«Faresti bene» ammise lui, mostrandole un sorriso che diceva tutt'altro. «Ora, di grazia, non credi sia ora di tornare a casa?»
«Dì, biondo: è perché ho nominato mia sorella o per la storia del mostro senza cuore?»
«È perché tuo padre mi odia già a sufficienza anche senza che tu faccia tardi per me a ...» si guardò attorno perplesso. «... in giro per Londra, insomma»
Lei allargò il suo sorriso. «Non conosci Londra?»
«Conosco Londra»
«Però non sai dove siamo!»
«Non questa Londra»
«Te l'ho detto prima: Charing Cross Road. E lì» e indico un punto alla sua sinistra. «c'è Oxford Street: hai almeno vagamente idea di cosa sia?»
«Immagino nulla che possa realmente interessarmi»
«È dove dovresti rifarti il guardaroba, ecco cos'è»
Lui, istintivamente, si portò una mano sulla camicia scura e si guardò i pantaloni eleganti e le scarpe lucide. «Non ci vedo nulla di male»
«Ti devi svecchiare, sembri mio nonno»
«Tuo nonno era un uomo di gran classe»
«Non puoi saperlo, e non vale dirlo sulla fiducia solo perché era un purista come te. O parli di Robert Redfort
Draco parve incupirsi, nuovamente, questa volta in modo irreversibile. La guardò un'ultima volta, improvvisamente malinconico. «Ti accompagno a casa o ci vai da sola?»
«Potrei farti la stessa domanda»
«Bene» si guardò attorno con aria furtiva, e poi con un sonoro POP, scomparve, lasciandola a fissare l'incrocio con Oxford Street con aria perplessa.

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