Si costrinse a prendere un respiro profondo, senza smettere di camminare. Sapeva che, se avesse smesso di mettere un piede davanti all'altro, semplicemente, non avrebbe più ricominciato. E sarebbe rimasta lì, ferma, sola, in mezzo al parco, a due passi dai pavoni. Era ancora furiosa con Ted, e anche con sé stessa. Non aveva chiuso occhio, per quanto era furiosa. Era furiosa con Ted per aver detto ciò che aveva detto, per aver insinuato che lei non fosse più lei, che avesse perso la sua spavalda spontaneità, che fosse meno sé stessa dopo che Edward se ne era andato. Ed era furiosa con sé stessa perché se una volta non ci avrebbe pensato due volte prima di mangiare la faccia del suo migliore amico, aveva dovuto abbassare lo sguardo e ammettere che aveva ragione.
Anche volendo, non sarebbe riuscita a pensare a nulla se non a quanto fosse furiosa.
Così, aveva fatto ciò che le diceva la testa, terrorizzata dalle parole di Ted, terrorizzata dall'idea che Draco Malfoy potesse anche solo pensare di non piacerle esattamente così com'era. Draco non poteva sapere che non era colpa sua, ma lei aveva perso dei pezzetti di sé.
E non se n'era accorta, fino a che non era arrivato lui a farglielo capire, senza saperlo.
Così, aveva fatto ciò che la vecchia Anastasia avrebbe fatto.
Era corsa da lui per dare loro ciò che gli spettava, quel bacio mancato che le aveva fatto perdere il sonno. Per dirgli che sì, era gelosa, perché essere gelosi significava avere paura di perdere qualcuno a cui si tiene, avere paura di non essere abbastanza per poter rimanere accanto a qualcuno, e lei aveva paura, oh se ne aveva.
Ammettere di avere così tanta paura era stato tanto semplice quanto difficile. Semplice, perché era palese: era ovvio, quasi scontato. Era lì, da vedere. Difficile, perché significava ammettere di avere torto, e di esserci cascata con tutte le scarpe.
Raggiunti gli scalini di pietra, li salì due a due, sapendo che da un momento all'altro Kora avrebbe aperto la porta. Quando l'elfa la vide, le rivolte il suo solito sorriso gentile.
«Buongiorno, signorina Anastasia» le disse.
Normalmente, le avrebbe risposto con altrettanto garbo. Ma quel giorno, persino Kora le dava sui nervi.
Entrò nella Malfoy Manor senza aspettare che Kora la invitasse a farlo, senza curarsi delle buone maniere che sua madre le aveva insegnato con tanto impegno. Kora rimase spiazzata da quel suo nuovo modo di agire, e quando attraversò l'atrio a grandi passi, lei iniziò a saltellarle dietro con aria preoccupata.
«Padron Draco è ancora nelle sue stanze, signorina Anastasia, ma se la signorina lo desidera, Kora la può annunciare e ...»
«Conosco la strada, Kora» le disse, accorgendosi di avere il fiato corto.
«Kora non ha dubbi, signorina Anastasia, ma Kora ci tiene a dirle che il padrone ...» Di nuovo, salì le scale due a due, mettendo l'elfa in evidente difficoltà. « ... ha appena finito il suo allenamento mattutino, e ...» Si destreggiò tra i corridoio con estrema maestria, fino ad arrivare alla doppia porta di legno che proteggeva la stanza patronale.
«Gradirei un minuto di privacy, Kora»
Di nuovo, Kora parve spiazzata, ma con estrema naturalezza, smise di cercare di correrle dietro.
Allora Anya, con il cuore in gola, spalancò la doppia porta.
Non era mai entrata nella stanza patronale. Avrebbe giurato di sapere cosa aspettarsi, ma si trovò davanti all'ennesimo camino attorniato da poltrone di pelle nera, finestre grandi quanto quelle del salone, una sfilza di librerie stracolme, un tappeto a pelliccia d'orso, un letto a baldacchino sfatto da un solo lato che avrebbe comodamente ospitato quattro persone, e almeno altre due porte.
Al centro di tutto questo, Draco Malfoy, con addosso solo l'accappatoio e un sigaro acceso in mano, si voltò di scatto appena sentì la porta aprirsi rivelando un'espressione tanto cupa quanto sorpresa.
«Anya» sospirò.
Ma lei non lo stava ascoltando.
Recuperando il passo svelto con cui aveva attraversato tutta la tenuta, coprì la distanza che li separava, arrivando ad essergli così vicina come non era mai stata. Se l'atteggiamento con cui si era avvicinata era colmo di prepotenza, il modo in cui gli accarezzò il viso e gli regalò un bacio a fior di labbra fu così dolce e delicato da sorprendere persino lei.
Draco chiuse gli occhi, incredulo, quasi contento di lasciarla fare, di dare corda a quel colpo di testa. Stava per stringerla a sé, quando lei si staccò e premette la fronte contro la sua.
«Ascoltami bene, perché lo dirò soltanto una volta» sussurrò, ma a lui sembrava che stesse gridando. «Non pensare mai, e dico mai, che io non ti voglia, non ti desideri, dal primo istante, fino alla fine dei miei giorni. Mi hai capita? Mai. Qualsiasi cosa succeda»
Lui, di nuovo, rimase senza parole, completamente disarmato davanti alla più belle della ovvietà.
E, veloce come era arrivata lì, si voltò e se ne andò, lasciandolo con le braccia aperte, il cuore in gola e sulle labbra il sapore del bacio più bello che avesse mai ricevuto.
Mentre la sentiva scendere le scale di fretta, sentì nel petto una cosa nuova, e non si accorse del sorriso che gli stava nascendo sulle labbra; corse in bagno per recuperare un paio di boxer e i pantaloni della tuta che aveva spogliato prima di lavarsi, e se li infilò saltellando fuori dalla stanza. Stava scendendo le scale più che consapevole delle altissime probabilità di scivolare e spaccarsi di nuovo il naso, ma la sola cosa che gli importava era quel vortice che sentiva nel petto. Udì chiaramente la porta d'ingresso aprirsi e poi chiudersi con violenza dopo dei freddi saluti all'elfa, quindi con un salto scese gli ultimi sei gradini, sentendo Kora urlare di paura, e ordinandole di riaprire la porta mentre si metteva a correre scalzo sulla moquette.
L'elfa eseguì, non riuscendo a non ridacchiare, e nel momento in cui uscì di casa, vide Anastasia allontanarsi a passo svelto verso il cancello, pronta a sviare i pavoni che sembravano volerla salutare, straniti anche loro da quella sua nuova aria da arrogante.
«Anastasia!»
Si maledisse: era ovvio, che non si sarebbe girata. La conosceva ormai fin troppo bene, per sperare che si girasse. Così, ricominciò a correre, ignorando il dolore dei piedi scalzi sui ciottoli che riempivano il viale. Seguì quella folta chioma nera ancora per una manciata di metri. Quando l'ebbe raggiunta, le posò una mano sulla spalla per costringerla a girarsi.
Non le diede neanche il tempo di rendersi conto di averlo davanti di nuovo.
Di scatto, le afferrò il viso tra le mani ormai sudate e la baciò di nuovo, con tutta la prepotenza che solo Draco Malfoy sapeva avere, giocando con la sua lingua come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Lei rimase spiazzata, ma fu contenta di lasciarlo fare e rispondere al bacio, perché, doveva ammetterlo, le sembrava di non aver mai baciato nessuno in quel modo. Lasciò cadere la sua borsa e a terra e sentì gli occhiali da sole scivolarle dalla testa, ma sapeva benissimo che se anche i pavoni glieli avessero mangiati, non le sarebbe importato niente. Le importava solo di stringerlo a sé, avvertendo dei brividi nuovi percorrerle la schiena quando posò la mano sulla sua schiena per trovarla nuda e muscolosa. Lui si accorse del suo tremito e, sorridendo, le morse il labbro inferiore, e entrambi ne approfittarono per recuperare fiato. Lui riprese a baciarla, ma prima che riuscissero a recuperare la foga appena abbandonata, lei si staccò.
«Draco, credo ...»
«Non dire niente» la interruppe subito lui, rifiutando di staccare la mani dal suo viso o di aprire gli occhi. Non gli serviva avere gli occhi aperti per sentirla sorridere, stringerlo a sé più forte e poi sussurargli all'orecchio: «Fammi parlare, una dannata volta» approfittò della vicinanza con il lobo per mordicchiarglielo con malizia, e lui, in tutta risposta, fece scivolare rapidamente le mani verso il suo sedere per costringerla a saltargli in braccio, sentendosi ancora più eccitato ed euforico quando lei allacciò le gambe attorno alla sua vita. «Davvero, vuoi parlare?» le chiese, in un sussurro.
«Credo che tua madre ci stia guardando dalle finestre del salone» concluse lei, allacciando anche le braccia attorno al suo collo, mentre lui realizzava di avere finalmente posato le mani su quel sedere.
«Salutamela» ridacchiò allora, prima di fare una mezza giravolta su sé stesso per voltarsi a guardare verso la casa. Una volta constatato che Narcissa fosse effettivamente affacciata alle grandi vetrato del salone, normalmente coperte dalle apposite tende scure, gli bastò un abile gesto per Smaterializzarsi al centro della stanza patronale in cui il sigaro ancora acceso riposava in attesa, gettato sul posacenere d'argento.
Si sarebbe aspettato di vederla spaventarsi o arrabbiarsi per quel gesto, ma si strinse a lui più forte con le gambe e riprese a baciarlo, mentre passava le mani tra i suoi capelli soffici e ancora umidi dalla doccia e lui si sedeva su una delle poltrone di pelle, ben attento a sedersi sull'orlo per non farle male ai piedi o alle ginocchia.
«Fermati» ordinò, a fatica.
Lei si separò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, riservandogli uno sguardo anche più intimo di tutti quei baci.
Non disse niente. Rimase a guardarlo, obbedendo alla sua richiesta, ma senza slacciare le dita dai suoi capelli, senza lasciare intuire di volersi davvero fermare.
«Ripeti quello che hai detto prima» disse lui allora.
«Allora è proprio vero che non mi ascolti» sorrise lei. «Ho detto che lo avrei detto una volta sola»
«Ma io ho bisogno di sentirtelo ripetere» ammise lui riavvicinandosi a lei, posando praticamente le labbra sulle sue, ma ignorando il suo tentativo di continuare a baciarlo. «Poi magari mi spiegherai anche perché hai fatto irruzione in casa mia per dirmi una cosa del genere»
«Ero arrabbiata» ammise lei. In quel momento, quel suo essere così furiosa le sembrò lontano anni luce.
«Con me?»
«Con me, e con Ted»
«Oh, benedetto ragazzo» sospirò lui. «Cosa può mai averti fatta arrabbiare così tanto?»
«Mi ha detto la verità»
«La verità?»
«Che ... mi sono comportata come una che non ti vuole» ammise, con tono di colpa, accarezzandogli i capelli e premendo la fronte contro la sua. Allora lui le baciò di nuovo le labbra con dolcezza, lasciando che fosse lei a dare via al gioco di lingue. Si lasciò cadere sullo schienale della poltrona, tenendola stretta a sé, quasi impaurito che potesse sparire da un momento all'altro.
«Anastasia eccetera eccetera Black» la fermò di nuovo.
Anya rimase a guardarlo.
«Vale lo stesso» aggiunse.
Continuò a guardarlo senza capire.
«Quello che hai detto, insomma»
Allora lei accennò un sorriso e si avvicinò di nuovo per posargli un nuovo bacio tra il collo ed il viso, mordicchiando la pelle. Poi avvicinò la bocca al suo orecchio, come poco prima.
«Dillo» chiese con timore.
Draco le accarezzò di nuovo il viso e sorrise come non aveva mai fatto. In uno scatto si alzò, e a grandi passi raggiunse il letto a baldacchino, senza smettere di accarezzarle la schiena o di baciarle ogni centimetro del viso. Poi, allargato il suo sorriso in modo inaspettato, la lasciò cadere per buttarla tra le lenzuola ancora disordinate. Rimase in piedi davanti a lei, quasi volendola ammirare.
« Non pensare mai, e dico mai, che io non ti voglia, non ti desideri, dal primo istante, fino alla fine dei miei giorni»
Allora Anya, con lo sguardo più malizioso che lui avesse mai potuto immaginare, l'attirò a sé, tirandolo per l'elastico della tuta, per farlo stendere sopra di lei.
E non si staccarono più.Draco sapeva che si trattava di un sogno. Lo sapeva, era un sogno che aveva fatto centinaia di volte. Era lui che correva in un labirinto buio, mentre qualcuno lo chiamava a gran voce, chiedendogli aiuto. E lui correva, correva fino a non avere più fiato, ma non trovava mai la fine del labirinto o la persona che lo stava chiamando.
Quella notte, a chiamarlo a gran voce, era Anastasia.
Certo, si disse, svegliandosi di scatto. Spalancò gli occhi e la trovò lì, accanto a lui, stesa a pancia in giù, la trapunta di lino che le accarezzava le spalle nude e i capelli sparsi sul cuscino.
Certo.
Certo che era Anastasia. Si coprì gli occhi con una mano.
Allora era stato tutto vero?
Avevano davvero passato una giornata a letto insieme, a fare l'amore come due ragazzini in giro per la stanza per poi addormentarsi sfiniti ancora nudi?
Aprì un occhio e la sbirciò, sentendosi quasi in colpa.
Chissà cosa le aveva detto poi Ted, per farla infuriare al punto di farla correre lì alle nove del mattino. Non gli importava: anzi, felice com'era, in quel momento, aveva persino voglia di ringraziarlo. Ringraziare Ted Lupin. Il che era tutto dire.
Aveva quasi timore, nel guardarla dormire: aveva paura che svanisse. Che le coperte si sistemassero ed il cuscino riprendesse la sua forma immacolata, e che lui si rendesse conto di essersi immaginato tutto, nei minimi dettagli. Come se fosse la prima volta, poi. Sorrise, pensando che aveva pensato di avere paura che sparisse anche la prima volta che si erano visti. Già allora, gli pareva impossibile che una persona potesse essere così bella e così dolce, e soprattutto, che conscia di quelle qualità, se ne andasse a spasso per la Londra babbana a ricordare a lui che non aveva senso ostentare il proprio passato o rifugiarsi in esso, soprattutto se si trattava di un passato come il suo.
Ma non gli importava, ora.
L'unico passato a cui volesse pensare era quello più prossimo, quello popolato da quella improbabile strega che, Merlino, non faceva altro che sorprenderlo.
Anastasia strizzò gli occhi e li aprì, sorridendo come una bambina felice trovando Draco accanto a lei, seduto sul letto, che la guardava sognante con la forma del cuscino ancora impressa sulla guancia.
«Stavi di nuovo spiando tra i miei sogni?» chiese, in un sussurro.
Prima che lui potesse rispondere, si coprì la bocca con una mano e lo guardò con aria spaventata.
«Tutto bene?» non riuscì a non chiedere lui.
«Ho un alito pessimo» sussurrò lei, senza levare le mani dalla bocca. «Non voglio che tu lo senta»
Lui sorrise così tanto che a lei sembrò illuminare l'intera Malfoy Manor. Le si avvicinò e le baciò la punta del naso. «No» replicò lei. «Alito pessimo!»
Lui scosse la testa e la baciò di nuovo, convincendola a togliersi le mani dal viso e a baciarlo di nuovo.
«Mago avvisato, mezzo salvato» gli disse, mentre lui la stringeva per farla stendere sopra di lui. «Ma non ti stanchi mai?» chiese poi, levandogli i suoi capelli scuri dalla faccia.
«Mai» le sussurrò, baciandola di nuovo. Afferrò la trapunta e la portò sopra le loro teste.
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cascasse il mondo
Romance(SEQUEL DI PIU DI IERI) «Anastasia Black» «Sì?» «Rifammi la domanda» Lei inclinò la testa di lato, fingendosi scocciata. «Quale?» «La prima, del primo giorno» rispose lui sicuro. «Sai cosa è una Marlboro?» domandò di nuovo, senza capire. «Non q...