18. stare con me

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Destinazione, determinazione, decisione.
A volte aveva ancora bisogno di ripetersele, quelle dannate tre D. Quando era agitata, insicura, in ansia. Aveva bisogno di ripassare le cose certe della sua vita. La regola delle tre D che serve a Materializzarsi era una di quelle. Si trovò davanti al pesante cancello scuro e capì perché fosse così agitata da dover ripassare quella regola: le cose sicure la aiutavano, quando quello che aveva davanti era tutt'altro che sicuro.
Fece un respiro profondo e si sforzò di mettere un piede dietro l'altro, sorridendo ai pavoni con garbo mentre si rendeva conto che non sapeva assolutamente cosa dire, come iniziare, come porsi, se lasciarsi annunciare da Kora o fare come qualche settimana prima, entrando con passo deciso e spalancando le porte della stanza patronale.
Che cosa poteva dirgli? Come si inizia un discorso del genere?
Per fortuna, lui l'anticipò.
Mancavano una dozzina di metri alla porta della Malfoy Manor, quando fu lo stesso Draco a spalancarle e guardarla da lontano, con la camicia bianca abbottonata fino all'ultimo bottone e i capelli pieni di gel, i pantaloni fatti su misura e quello sguardo gelido che lei aveva imparato ad adorare.
Cotta e ferita.
Ecco le uniche parole che aveva in mente.
Cotta e ferita.
Da quando quello ad avere ragione era Lyall?
Forse ce l'aveva un po' di quel dannato orgoglio Grifondoro, pensò, rendendosi conto che stava continuando a camminare verso di lui solo per non dare l'idea di non sapere cosa dire.
«Pensavo non tornassi più» esordì lui, non appena lei fu abbastanza vicino da permettergli di non alzare troppo la voce.
Ti ringrazio, Draco, ora non dovrò pensare a come salutarti. «Hai invaso casa mia di gufi» disse allora, senza pensare. «Non ho mai ricevuto così tante lettere» aggiunse. «Nessuno ha mai ricevuto così tante lettere»
«Le hai anche aperte, magari?»
«No» ammise. «Avrei dovuto?» chiese, rendendosi conto che forse, se non furbo, sarebbe stato quantomeno educato. E se in una di quelle lettere l'avesse lasciata? Se le avesse scritto che non la voleva più vedere, che la odiava? Complimenti, Anastasia. Dieci punti a Tassorosso!
Lui sporse il labbro inferiore e scosse la testa. «Alcune erano pergamene vuote» le disse. «Posso invitarti ad entrare?»
Fu lei a scuotere la testa. «Sono cotta e ferita»
«Prego
«Lo ha detto Lyall. E ha ragione, cazzo, ha ragione, ma non dirgli mai che ho detto una cosa del genere. Però è così: sono cotta e ferita»
«Tu hai sempre bisogno di un Lupin, per ragionare?» sorrise lui. «Ah, e per la cronaca: sono cotto e ferito anche io» Scese i gradini di pietra che lo separavano da lei. «Una settimana senza avere tue notizie» le disse, con aria davvero ferita. «Stavo per andare ai Tiri Vispi o dalla McGranitt»
«Questa si chiama propensione all'auto sabotaggio, biondo» rispose lei, mentre lui si posava le mani sui fianchi e la guardava con aria tesa.
«A te va ancora?»
Lei incarnò un sopracciglio.
«Questa cosa, intendo. Di me e te. Stare con me, ecco. Ti va ancora?»
La sua voce nascondeva nervosismo, emozione, paura e parecchie, forse troppe, ore passate a rifletterci su.
«Certo» ammise allora lei. «Se no perché sarei qui?»
«Propensione all'auto sabotaggio» ripeté lui. «E perché sei cotta e ferita. O forse ferita e cotta»
Anastasia scosse la testa. «Prima cotta, e poi ferita»
«Quindi sono assolto da tutte le accuse?» domandò lui. «Mi perdoni?»
«Chiedimelo»
«Come?»
«Chiedimelo, di perdonarti» spiegò lei.
Lui si guardò di nuovo intorno. Poi, fece quello che aveva già fatto tempo prima. Si avvicinò a lei e le prese le mani con dolcezza, arrivando con la punta del naso a sfiorare il suo e a poter sentire il suo cuore battere decisamente troppo veloce. «Perdonami» sussurrò quindi. «E sappi che è una cosa che ho detto davvero pochissime volte, e quasi mai sinceramente. Ma non sono mai stato così sincero. Sono stato un troll, ecco. Perdona questo vecchio troll che ti adora»
Riuscì a strapparle un sorriso e se ne compiacque.
«La verità, Anastasia eccetera eccetera Black, è che non so spiegarti quanto mi senta fortunato ad averti incontrata. Mi stai rendendo un uomo migliore, e vorrei sapertelo raccontare, ma ... non ci riesco. Certe cose, vedi, non si possono spiegare a parole. E mi dispiace anche per questo, perché se vedessi il bene che mi fai, capiresti moltissime cose. Ma sono comunque un vecchio troll che si dimentica le cose, però ti giuro che mai, mai avrei voluto ferirti o dimenticarmi del nostro pranzo o di qualsiasi cosa che riguardi noi. E soprattutto, mai avrei voluto vederti fare quella faccia in mezzo alla strada e non poterti spiegare. Sono un troll, un troll che implora il tuo perdono»
Lei premette la fronte contro la sua. Poi, lentamente, si avvicinò di più per poterlo baciare con dolcezza ma con una determinazione che costrinse Draco a lasciarle le mani per afferrarla per i fianchi e permise a lei di posare le mani sul suo viso.
«Perdono accordato» gli disse dopo una manciata di secondi. «Ma mi devi un pranzo»
Lui annuì e la baciò di nuovo, per poi abbracciarla ridendo e baciarle i capelli. «Vieni» le disse poi, facendole segno di entrare. «Rimedio subito»
Le afferrò la mano e, insieme, entrarono nella Malfoy Manor, ridendo come bambini.

Anastasia se ne stava seduta a gambe incrociate su uno dei divanetti di pelle della stanza patronale, con espressione corrucciata, una matita nei capelli, gli occhiali da vista sul naso e addosso solo il completo intimo scuro come la sua chioma. Sulle gambe, un libro che aveva tutta l'aria di essere antico, pesante e complicato.
A qualche metro da lei, nel letto a baldacchino dalle tonalità cupe, Draco si svegliò di colpo. Si mise seduto, rendendosi conto di essere sudato, spettinato e di avere il respiro corto. Si mise una mano sul petto, avvertendo la palpabile paura che il cuore gli uscisse dal petto, per quanto forte batteva.
Poi la vide lì, seduta con quell'aria di normalità, e il cuore parve fermarsi. Del tutto.
«Ciao» gli disse lei con estrema tranquillità. «Hai avuto un sacco di incubi» lo informò, levandosi gli occhiali per guardarlo meglio.
«C-che ore sono?» chiese allora lui, rendendosi conto di essere al centro del letto e che quindi, probabilmente, l'aveva costretta a svegliarsi ed alzarsi.
«Le nove ...» gettò un'occhiata probabilmente al telefono cellulare posato sul divano, lui da lì non riusciva a vedere. «... e trenta»
«Non sei tornata a casa» notò lui.
Anastasia si strinse nelle spalle e accennò un sorriso. «Hai avuto un sacco di incubi» ripeté.
«E sei rimasta ... per questo?»
Lei lo guardò per qualche secondo, sentendosi dannatamente felice di trovarlo sincero, senza maschere, spettinato e vero. Lentamente, annuì.
Anche lui, allora, si perse a guardarla. E avrebbe voluto ringraziarla, ringraziarla come un romanticone senza dignità, per essere semplicemente così sé stessa, così Anastasia, da farlo sentire disarmato. E poi avrebbe voluto anche ringraziarla per avergli insegnato che disarmato non significa indifeso, che insieme non significa deboli, che anche uno come lui poteva aspirare a sentirsi buono, o avere dei giorni in cui avere la presunzione di considerarsi tale. Grazie, Anastasia, per essere te, per essere arrivata e avermi fatto vedere tutte le cose che prima non sapevo neanche potessero esistere, e per avermele regalata come se fossero sempre state mie.
Grazie.
«Anastasia Black»
«Sì?»
«Rifammi la domanda»
Lei inclinò la testa di lato, fingendosi scocciata. «Quale?»
«La prima, del primo giorno» rispose lui sicuro.
Lei ci pensò per qualche secondo.«Sai cosa è una Marlboro?» domandò di nuovo, senza capire.
«Non quella» sbuffò. «L'altra»
«Che ci facevi tutto solo al Paiolo Magico di mercoledì sera?»
«Aspettavo te»
Grazie.
Lei sembrò spiazzata da quelle parole. Fece per parlare, ma serrò subito le labbra. Lo guardava con un sorriso nuovo, sincero, basito. «Ho una domanda» concluse, poi.
«Dimmi»
«Tu ieri hai detto ... "stare con me
«Questa non è una domanda, signorina Black: cinque punti in meno a ...» esitò.
«Tassorosso» sorrise lei. «Incredibile che tu non lo avessi capito»
«Sto ancora aspettando la tua domanda» si giustificò lui.
«Per fortuna che la pazienza è una cosa che riguarda me e non te» sorrise di nuovo lei, chiudendo il libro che aveva ancora posato sulle gambe.
«Lo avevo capito, comunque, andando per esclusione» si giustificò lui in fretta. «Allora, la tua domanda?»
«Hai detto "stare con me"» ripeté lei. «Noi ... insomma, per te noi stiamo insieme?»
«Vedi? Per esclusione, non sei una Corvonero» sorrise lui.
«Non hai risposto»
«E tu dovresti essere quella paziente?!» sorrise lui, scendendo dal letto con un balzo. Si parò davanti a lei con addosso solo i boxer. Portò le mani sui fianchi e la guardò torvo. «Non credo ci sia altro modo per descrivere il nostro ... legame, ecco» spiegò, con sorprendente calma. «Ma non temere, non ho intenzione di chiederti di sposarmi o di presentarti a mia madre, anche se lei vorrebbe, e non ho intenzione di andare da tuo padre e a chiedere la tua mano, perché ho cara la pelle»
«Nel tuo mondo si fanno ancora queste cose, vero?»
«Esatto» si vantò lui. «E niente sesso prima del matrimonio!» scherzò poi.
Lei tirò il collo in una finta espressione di dolore. «E non sei stato neanche il primo! Che scempio
Draco scosse la testa sorridendo. «Non lo avevi mai fatto, se non lo avevi fatto con me»
Anastasia finse di ridere e scosse la testa, per poi riaprire il libro e rimettersi gli occhiali sul naso. «Neanche tu potresti essere un Corvonero. O un Tassorosso, anche. Forse un Grifondoro»
«Non dirlo neanche per scherzo»
Lei rise di nuovo, tornando a leggere con concentrazione.
«Studi?» domandò quindi lui.
«Oh!» sembrò ricordarsi lei. «Mentre ero impegnata a tenerti il broncio, ho capito cosa fare nella mia vita» spiegò. «Studierò Magisprudenza»
Lui annuì soddisfatto. «Mi sembra un'ottima soluzione»
«Tu che faresti, se dovessi scegliere?»
Lui rimase a guardarla qualche secondo, di nuovo. Con tutta la naturalezza del caso, gli aveva appena fatto la domanda più difficile di sempre.
«Vuoi fare colazione?»
Lei capì, e annuendo, tornò a guardare il libro. Lui slacciò le mani dai fianchi per avviarsi verso la porta, e quando le passò accanto lei sporse il viso quel poco che bastò a lui per capire la tacita richiesta, e le posò un bacio leggero sulla tempia.

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