24. maledizione

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Draco fu svegliato dal suo stesso alito, e questo, si disse, non poteva che essere di pessimo auspicio. Mentre strizzava gli occhi e si rendeva conto di quanto fosse difficile avere a che fare con tutta quella luce, realizzò di sapere di vomito e di avere un mal di testa terribile, che mai aveva avuto in anni di onorevoli e più che rispettose sbronze. Mentre raccoglieva tutte le sue forze per mettersi a sedere, realizzò di non essere a casa sua, e che i colori che riempivano quelle pareti erano ben diversi da quelli che invece riempivano le mura della Malfoy Manor. Prima di potersi mostrare schifato dagli stemmi rossi e oro o dai poster di modelle babbane o dal disordine, si impegnò a mettere a fuoco la figura seduta ai piedi del letto in cui aveva dormito per un numero indefinito di ore.
Sebbene sentisse di poter giurare di aver visto Anastasia arrabbiata varie volte, la versione della piccola Black che si trovò davanti era decisamente peggio di ogni suo ricordo o aspettativa. Braccia conserte, sguardo fisso, e una netta delusione stampata in fronte. Quella faccia, pensò, avrebbe decisamente spaventato anche Voldemort in persona.
Cercò di dire qualcosa, ma mentre si sforzava di ricordare come mutare i pensieri in suoni, sentì un bruciore in gola – oh, ci mancava solo questa!
«Se ciò che hai da dire non sono scuse o spiegazioni» disse allora lei. «Puoi decisamente risparmiarti il fiato, stupido troll»
Draco corrucciò la fronte senza rendersene conto. Quel tono freddo non le apparteneva, e per un secondo gli parve di non riconoscerla. Si schiarì di nuovo la voce e riuscì a sussurrare un «Che ore sono?» mettendosi seduto e cercando disperatamente un orologio.
«È l'ora delle spiegazioni» sputò di nuovo lei, senza mutare espressione. «Sei sparito per tre giorni, tre giorni!» Anya si alzò dal letto e si posò una mano sul fianco per mettersi a guardare fuori dalla finestra.
Draco, sul comodino, anziché un orologio trovò una foto magica – quello era Harry Potter? No, niente cicatrice. Si avvicinò per vederla meglio. Quattro ragazzi si abbracciavano ridendo nel cortile di Hogwarts. In uno riconobbe Robert, Kayla e Anya in ugual misura, e vide anche delle tracce di sua madre e sua zia Bellatrix. Il giovane Sirius passava un braccio attorno ad un Harry Potter senza cicatrice e con gli occhi scuri, mentre un giovane ma già patito Remus Lupin alzava le sopracciglia e diceva qualcosa a quello che, senza dubbio, era un versione felice e mano-munito di Peter Minus. Istintivamente, fece per allungare la mano verso la foto, ma vide Anya afferrarla con più velocità.
«Loro non ti riguardano» ringhiò di nuovo, appoggiando con cura la foto ad una cassettiera piena di polvere e tornando a guardare fuori dalla finestra, passandosi una mano sul viso. «Hai intenzione di dirmi qualcosa, o ti devo Maledire?»
«Non-»
«Non mi sfidare» rispose di scatto lei voltandosi. «Perché ho passato più di dieci ore guardandoti dormire, e ho ripassato tutte le maledizioni che conosco»
«Anastasia ...» sospirò mettendosi di nuovo seduto. «Cosa ... cosa è successo?»
«Ti sei scolato più Whiskey Incendiario di ogni altro mago nella storia» spiegò lei con disappunto. «Aberforth era preoccupato, ma non so come tu sei riuscito a telefonarmi e siamo corsi a prenderti»
«Siamo
«Io, Fred e Blaise»
«Blaise?!»
«Ero da lui, quando mi hai chiamata»
«Eri ... eri da Blaise? E perché mai?»
«Ero venuta a cercarti, razza di scemo!» alzò i toni lei allargando le braccia. «Tre giorni senza sapere dove fossi! Tre dannati giorni! Kora non poteva dirmi niente, a casa non c'eri, al telefono non rispondevi mai e io avevo quel dannato esame! Ero disperata!» scosse la testa e allacciò di nuovo le braccia sul petto, lasciando il peso su un fianco per battere sul vecchio pavimento di legno con il tallone.
«Siete venuti a prendermi?» domandò lui con un filo di voce.
«Credimi, vedendoti adesso, avrei preferito lasciarti lì a morire nel tuo stesso vomito»
«Ho vomitato» concluse lui, trovando una spiegazione a quell'alitosi.
«Avevi già vomitato quando siamo arrivati, ma Fred ti ha fatto vomitare di nuovo per sicurezza»
«Fred
«Fred!» affermò lei spalancando gli occhi. «Dopo che siamo fuggiti dalla cena a casa mia per venirti a cercare da Blaise!» sbraitò. «Per le mutande di Merlino, Draco, perché la diciottenne sono io ma quello che si ubriaca nei pub sei tu
Lui prese un respiro profondo. «Avevo ... avuto una terribile giornata. Più di una, in effetti. E avevo molto ... a cui pensare»
Nel momento in cui lo disse, si rese conto di averla ferita ancora di più. Anya scosse la testa impercettibilmente e lui fu sicuro di vedere un velo di lacrime dietro i suoi occhi.
«Draco, te lo chiedo per l'ultima volta» disse allora in un soffio. «Dove sei stato?»
Fu lui, allora, a cercare il suo sguardo per scuotere la testa e sentì che anche dietro i suoi occhi c'erano delle lacrime di puro e straziante dispiacere.
Anastasia, del tutto inaspettatamente, tornò verso il letto di fretta per sedersi davanti a lui. «Draco, non ... non c'è niente di cui tu non possa parlare con me. Niente, te lo giuro» a quel punto, una lacrima le rigò il viso angelico, e lui sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi davanti alla consapevolezza di essere l'artefice di quel dolore. «Io voglio ... voglio rimanerti accanto, qualsiasi cosa accada. Possiamo andare dove vuoi, possiamo fuggire anche subito e ...» lui fece per asciugarle la guancia e lei lo precedette, come per volersi scusare di quel pianto. «Non posso aiutarti, se non so cosa succede» disse. «Ha a che fare con me? Ho fatto qualcos-»
«No» la fermò allora lui. «No, Anya, io ... non ha niente a che fare con te, e io non voglio che abbia niente a che fare con te» una frase tanto lunga gli sembrò costare uno sforzo immenso.
«E allora?» domandò lei. «Possiamo affrontare tutto. Tutto! Lo sai. E se è per ... per i bambini, o per i miei, o per i miei fratelli, glielo dirò oggi stesso, e gli farò cambiare idea su di te, e ...»
Lui, di nuovo, scosse la testa con aria mortificata.
«Draco, te ne prego» lo implorò di nuovo allora lei. «Cosa sta succedendo?»
Draco sospirò e si avvicinò a lei per pulirle la guancia. Anastasia, però, si alzò di nuovo e si allontanò dal letto. «Hai fatto qualcosa di male?»
Draco scosse la testa.
«Sei ... sei in pericolo?»
Di nuovo, lui negò con un cenno.
«E non me lo vuoi dire»
«Non posso»
«Potresti, invece» sospirò lei.
«No, amore mio» anche il suo tono si spezzò. «Vorrei, ma non posso»
«Potresti, ma non vuoi» ritrattò lei. «Perché non c'è niente che tu non possa dirmi, e lo sai. Io ... ti ho presentato i miei nipoti, ti ho portato al castello con i Lupin e Nicole, e ... ti ho cantato la canzone di Rose» accennò un sorriso che non aveva niente di felice. «Pensavo ... che fossimo allo stesso punto»
«Sai che è così»
«No» rispose lei secca, voltandosi di nuovo verso la finestra. «Esci»
«Non stavo cercando di Leggerti»
«Esci da casa mia, stronzo»
Draco ci mise qualche secondo per uscire da quel letto, cercando di non soffermarsi a pensare che fosse il letto di gioventù di Sirius Black. Finse di sistemarsi la camicia, raccolse le scarpe ai piedi del letto, e con un colpo di bacchetta sistemò la questione dell'alito. Fece attenzione a fare tutto con meticolosa attenzione, mentre Anastasia rimaneva immobile a guardare fuori dalla finestra, trattenendo il pianto ed il respiro. Quando recuperò il maglione, si voltò a guardare la sagoma di Anastasia e rimase qualche secondo immobile come lo era lei, come per volersi mettere sulla stessa linea d'onda e farle capire che, per quanto a lei potesse apparire sbagliato quello che in quel momento lui le stava facendo, in realtà ai suoi occhi fosse la cosa più giusta, leale e protettiva che avesse mai fatto in più di trent'anni.
«Anastasia Elizabeth Helen Black» disse, sulla soglia.
Lei si voltò lentamente, mostrando senza timore uno sguardo pieno di dolore. «Dimmi cosa sta succedendo»
«Non posso»
Anya si coprì naso e bocca con le mani. «Ci sono ... ci sono innumerevoli cose che non mi sarei mai aspettata, da questa vita. E tu fai parte di moltissime di queste. Non mi sarei mai aspettata di trovarti, di trovarmi in te e di regalarti così ... così tanti piccoli pezzi di me, che adesso mi guardo allo specchio e vedo anche te, e se ti guardo, vedo anche me. Però mi sarei aspettata di valere per te quello che tu vali per me» guardò verso il soffitto per ricacciare indietro le lacrime.
Draco sentì il chiaro istinto di fermarla. «Tu sei – sei la cosa più bella che mi sia successa negli ultimi trent'anni, Anastasia»
«Eppure, non sono abbastanza per sapere cosa fai o dove sei» sospirò lei. «Ecco, un'altra cosa che non mi sarei mai aspettata è ...» lo guardò dritto negli occhi così intensamente che gli fece male. «è di innamorarmi di te, eppure ... di odiarti così tanto in questo momento da non poter sopportare di averti davanti agli occhi»
Draco sentì quelle parole, così semplici e così importanti, colpirgli il cuore come una freccia, e si trovò ad ammettere che avrebbe preferito una di quelle maledizioni da lei menzionate poco prima. Almeno, per quelle c'era rimedio – quasi tutte, quantomeno. Ma quelle parole erano peggio di tutte le maledizioni che conoscesse, perché era la sola maledizione a ledere entrambi, e in modi irreparabili.
Avrebbe voluto rispondere, sentiva che avrebbe dovuto e voluto farlo, sentiva di doverglielo, ma sentiva anche che c'erano delle promesse fatte a sé stesso pochi giorni prima che andavano mantenute, e la più importante di queste era lasciare fuori Anastasia da tutta questa storia.
Così, promettendosi per l'ennesima volta di tenere fede solo a sé stesso, prese un respiro profondo, e piegò gli angoli della bocca in un velo di tristezza. Scosse la testa, si infilò il soprabito di renna e voltò le spalle a quella stanza rossa e oro, e a quella ragazza a cui avrebbe voluto dire troppe cose, ma se c'era una cosa che aveva imparato quella mattina, era che trasformare i pensieri in parole era davvero, davvero complicato.
Lasciò la stanza sentendo il cuore e la testa oltremodo pesanti, e sicuramente non era colpa dei postumi. Si costrinse a mettere un piede dietro l'altro, scendere le scale senza cadere, urlare, inciampare, piangere, sbraitare o addirittura radere la suolo quella casa vecchia di secoli. Raggiunto l'ultimo gradino, dalla cucina vide uscire Blaise, che gli mostrò un'espressione scocciata.
«Non dire niente» gli chiese il biondo in un sussurro.
«Oh, amico, non c'è niente che io ti possa dire» rispose Blaise. «Credimi, fai già abbastanza pena senza che io dica niente. Hai preso tutto? Ti porto a casa»
Draco non riuscì ad obbiettare. Abbassò la testa e aspettò che Blaise gli facesse strada, non riuscendo a non guardare su per le scale, ma trovando solo polvere e teste di elfi.

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