4. è sempre lui a guardare me

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«Nemmeno un succo di zucca?»
Lui, con i capelli umidi e una camicia grigio topo, tre bottoni slacciati, appoggiato allo stipite della porta, l'espressione più sincera che lei gli avesse mai visto dipinta sul viso.
«Tu leggi solo mattoni?» domandò di rimando. «Neanche un romanzetto frivolo per prendere sonno la sera o un grande classico da leggere la domenica davanti al camino?» con un gesto, indicò l'enorme libreria alle sue spalle.
«Non c'è niente di mio in questo studio, Black» si trovò ad ammettere lui abbassando la testa, mentre lei continuava a scrutare quella libreria colma di libri d'epoca, che, a pensarci bene, avrebbe preferito sapere ben lontani dalla sua casa e dalla sua vita.
«Ah no?» domandò lei.
Lui scosse la testa. «Questo era il regno di Lucius» le spiegò quasi con aria colpevole e, al contempo, di disprezzo. Lei si voltò di nuovo ad osservare lo studio alle sue spalle, con la scrivania, il camino, la poltrona e tutto il resto, come se volesse guardarlo con occhi diversi.
«E il tuo regno invece quale sarebbe?» domandò con finta innocenza.
Draco, intanto, ben ancorato allo stipite della porta, si era perso ad osservare quella strana tuta che indossava, con la vita altissima e lo scollo a barchetta che le lasciava scoperte le spalle, imponendosi di non chiedersi se fosse effettivamente una tuta o fossero una maglietta e dei pantaloni, perché chiederselo significava accarezzare l'idea di scoprirlo e durante l'allenamento aveva perso il conto dei motivi per cui accarezzare un'idea del genere fosse tremendamente sbagliato.
«Credevo fossi qui per il salotto grande»
«Ero qui per il tuo naso» specificò lei. «Avevo anche preso dall'orto di Ted un po' del migliore antidolorifico esistente»
«Ai miei tempi si chiamavano semplicemente 'canne'» sorrise, facendole segno di seguirlo.
«A me piace dare vari nomi alle cose» si giustificò in fretta lei, seguendolo in un labirinto di corridoi così cupi da farle quasi paura.
«Non lo trovi scomodo?» le chiese.
«Non quanto vivere in un labirinto»
Lui sogghignò e, con un colpo di bacchetta, spalancò una doppia porta che dava sul salotto più grande che lei avesse mai visto. Lo stile non era troppo diverso da quello dello studio in cui lo aveva aspettato: divani in pelle nera, un caminetto alto quanto un essere umano, librerie che arrivavano al soffitto, decorato con vari motivi verdi scuri, neri, e argentei, tre lampadari apparentemente d'argento, un pianoforte a corda che pareva non venire usato da secoli e una porta spalancata su una sala da pranzo per almeno una trentina di persone, le cui finestre erano chiuse e in cui sembrava che nessuno mettesse piede da anni.
Mentre si lasciava incuriosire proprio da quella sala da pranzo, Draco ne chiuse la porta con un cenno della bacchetta, provocando un rumore che la fece sobbalzare.
«Non vuoi sapere cosa è successo lì dentro» si giustificò abbassando la testa ed il tono di voce.
«Forse lo so ma tu non me lo vuoi raccontare» rispose lei, avvicinandosi al pianoforte.
«Forse» si trovò ad ammettere. «Suoni?»
Lei annuì, accarezzando i tasti bianchi e neri e trovandoli pieni di polvere. «Tu no, evidentemente»
Lui annuì di rimando. «Non lo uso da prima di andare a Hogwarts»
«Però lo hai usato»
«Mia madre ha cercato per anni di insegnarmi a suonarlo» sorrise lui, avvicinandosi. «Ma non ci ho mai capito niente»
«E allora hai smesso di tentare?»
Draco si scoprì nuovo a quella visione della faccenda, e non lo nascose. Così, con un altro passo, si avvicinò a lei e a quel piano.
Aspettò che lei lo guardasse per stringersi nelle spalle e strapparle un sorriso.
Poi, con noncuranza totale, alzò le braccia per indicare il salotto. «Che ne pensi?»
«Cupo quasi quanto il quadro» ridacchiò lei, allontanandosi dal quadro per avvicinarsi alla grande finestra accanto al camino. «Il parco è tutto tuo?»
«Tutto quanto»
«Persino la parte con i pavoni?»
«Soprattutto la parte con i pavoni»




«Non puoi non avergli mai dato dei nomi!»
Lui rise di gusto, lasciandosi cadere su quella panchina di pietra per guardare il cielo pieno di nuvole scure mentre fumava quello che lei aveva chiamato "antidolorifico" e che lui avrebbe definito più come "il bello della gioventù".
«Ma hai visto quanti sono?» si lamentò. «Non mi verrebbero mai in mente così tanti nomi. E poi comunque non li riuscirei a distinguere»
Lei raccolse la canna che lui le stava passando per chinarsi ad osservare il pavone che stava a pochi metri da lei. «Insomma, guardalo» gli impose.
Lui spostò lo sguardo da lei al pavone.
«Ti dovrà venire in mente almeno un nome, guardandolo»
Draco si concesse qualche secondo.
«Edgar» decise.
«Ecco!» esclamò lei con tanto entusiasmo da spaventare il pavone. «E quello là?» chiese di nuovo, indicando a Draco un punto alla sua sinistra, sfiorandogli la spalla.
«Quello sceglilo tu» sorrise lui.
Lei strizzò gli occhi. «Albert» decretò.
«E siamo a due» Ridacchiò lui. «Dai, te ne mancano solo una trentina!»
Lei scosse la testa e rise. «Quello» e ne indicò un terzo. «Quello ha proprio la faccia da Oliver»
Draco cercò di capire quale pavone avesse indicato. «Certo, come ho fatto a non pensarci?» poi indicò un esemplare femmina. «E lei è Olivia»
«Non potresti essere un pochino più fantasioso?» si lamentò allora la giovane. «Voglio dire: Olivia e Oliver?»
Draco annuì aspirando il fumo. «Così staranno insieme tutta la vita»
«Che noia» sbuffò. Con lo sguardo, cercò un altro esemplare femmina. «Lei si chiama Abigail» decretò, mentre il pavone sembrava guardarla. «E trova che passare tutta la vita con un solo pavone sia da bigotti»
«E allora lui è William» decise allora Draco. «E Abigail gli spezzerà il cuore»
Anastasia rise mentre faceva gli ultimi tiri. «Serve un brindisi»
«Eccome, se serve» disse, cercando di nascondere la tosse di chi non è abituato a fumare cose troppo pesanti. «Kora? Kora, dobbiamo fare un brindisi!»

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