9. quello che gli altri non farebbero

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Anya se ne stava seduta a gambe incrociate su una panchina di St. James's Park, dando le spalle a Buckingham Palace e a un chiosco che vendeva hot dogs dai colori sgargianti. Quello era, senza dubbio, il suo parco preferito, anche se era sempre il più affollato. Da bambina, si divertiva a rincorrere le anatre, che puntualmente si gettavano nel piccolo fiume artificiale per sfuggirle. E poi, ogni panchina vantava un'incisione romantica, dedicata da qualche speranzoso.
Quella su cui sedeva, recitava: "per aspera ad astra – Edward".
Per quanto si sforzasse, era sempre lì che tornava a sedersi.
Gli occhiali da vista sulla punta del naso, una rivista aperta poco prima della metà, con la copertina piegata all'indietro, la più concentrata delle espressioni e una matita in mano. Un improbabile t-shirt dei Cannoni (di nuovo) annodata sopra l'ombelico, degli shorts a vita alta neri, larghi, strappati, e quelle dannate parigine.
Di nuovo.
«Che cosa sarebbero, quelli?»
Alzò gli occhi e sorrise. Draco Malfoy sembrava ancora più biondo sotto alle nuvole grigie di Londra.
«Parole crociate»
«No, Black» sbuffò lui. «Gli occhiali!»
«Beh, ti sei risposto da solo» replicò allora lei. «Sono occhiali»
«Da vista?»
«No, da sci, naturalmente!»
Draco si guardò attorno e si coprì il viso con una mano per cercare di celare il sorriso divertito. «Pensavo avessi solo occhiali da sole»
«Tu pensi troppo, biondo» sorrise lei, facendogli segno di sederle accanto.
Lui esitò, guardandosi attorno di nuovo.
«Dai, dillo» lo invitò allora lei.
«Che cosa?»
«Quello che stai pensando»
«Non sto pensando a niente»
«Va bene, allora lo dico io, visto che ti si legge in faccia»
«Dillo» la sfidò.
«Quanti babbani!»esclamò lei, in una mal riuscita imitazione del suo tono grave, fingendo di non stare trattenendo delle risate di puro divertimento. Draco cercò di nuovo di nascondere il sorriso. Scosse la testa, e prese posto accanto a lei.
Attorno a loro, era effettivamente pieno di babbani. Turisti di ogni genere e specie, inglesi che fingevano di fare jogging, altri inglesi o presunti tali che portavano a spasso il cane, coppiette di innamorati che passeggiavano mano nella mano appellandosi con i più improbabili nomignoli, studenti che fingevano di studiare seduti nell'erba.
«E nemmeno tutti inglesi!» continuò la ragazza, avvicinando il ginocchio al viso per posarvi la rivista. «Come farà il mio nobile culo Purosangue a sopravvivere
«Per le prime due frasi, saresti stata quasi credibile» rispose lui saccente. «Ma è gradevole sapere che tu rivolga pensieri al mio fondoschiena»
Lei gli rivolse uno sguardo malizioso e lui fu costretto a distogliere lo sguardo e a tentare (invano) di nascondere un nuovo sorriso, malizioso tanto quanto il suo.
«Cinge il dito» lesse allora lei, senza smettere di sorridere, ma ben attenta a non guardarlo negli occhi.
«Prego?»
«Gioca con me: cinge il dito»
«Ma giocare a che cosa, esattamente?»
«Alle parole crociate!» sbuffò Anastasia. «Ma non mi ascolti mai?»
«A giorni alterni» ammise il biondo. «Ripeti la domanda» ordinò poi, sistemandosi le maniche della camicia fin sopra il gomito, e lei finse di non notare il Marchio Nero che giaceva indisturbato sul suo avambraccio.
«No, così impari a non ascoltarmi. Era anello, comunque. Prova questa: il percorso verso l'alto»
«Salita» rispose lui con la sua nota sicurezza.
Le sembrò che stesse contando qualche cosa.
«Sei intelligente, qualche volta» sorrise, scrivendo le lettere di salita nelle caselle. «No, non è vero. Si interseca con la tre verticale che è ... vice. Non può essere salita, se la tre verticale è vice»
«Forse la tre verticale non è vice»
«Ne dubito, la definizione è: sostituisce il capo, e ha quattro lettere»
Lui corrucciò la fronte qualche secondo. «Okay, è vice» gettò una rapida occhiata alla rivista di cruciverba. «Allora, il percorso verso l'alto è ascesa»
Lei contò di nuovo. «Cinque punti a Serpeverde!»
«Perché solo cinque?»
«Perché prima hai detto salita» Anya scosse la testa. «Sei lettere, uccello rapace» gli disse allora. «Aquila» risposero all'unisono.
Anastasia abbassò gli occhi e sorrise, lui scosse la testa con lo stesso sorriso, cingendo la panchina con un braccio. «Che diamine fanno?» chiese poi, indicando un gruppo di turisti intenti a farsi un selfie di gruppo con lo sfondo di Buckingham Palace.
«Una foto ricordo» spiegò lei. «Sai, » e indicò la residenza reale. «Ci abita la regina babbana»
Lui annuì con sufficienza, piegando le labbra in giù. Anya sbuffò e scosse la testa, raccogliendo la borsa che stava tra di loro e sfilandosi gli occhiali da vista, gettandoli così rapidamente nella borsa che sembrò volerli nascondere. «A proposito» disse, estraendone una macchina Polaroid di tutto rispetto. «Avvicinati»
«Perché?»
«Perché facciamo anche noi una foto ricordo»
«Con quella
«Oh, e fidati, una buona volta!» si lamentò lei. Con un colpo di reni, si avvicinò a lui, posando la guancia sulla sua, e realizzando che non solo non erano mai stati così vicini, ma non avrebbe mai pensato che, a quel contatto – con il braccio di lui che continuava a cingere la panchina – nel suo stomaco sarebbe iniziato un rave party.
Puntò la Polaroid verso di loro, alzando le braccia al cielo. «Sorridi, biondo»
Lui si sforzò seriamente di sorridere. Primo, perché con lei gli veniva dannatamente semplice, e secondo, perché lei sembrava tenerci davvero.
Scattò la foto, e prima ancora che l'istantanea si potesse sviluppare, lei si era allontanata. Appena la macchina le regalò la cartina, lei istintivamente ci soffiò.
«Ma cosa diavolo ...»
«Un attimo di pazienza» lo richiamò Anastasia. «Ammesso che tu sappia cosa significa» Soffiò di nuovo sulla foto, e poi mosse velocemente il polso per farle prendere più aria. La guardò, ci soffiò una terza volta, e poi sorrise soddisfatta. «Ecco!» esclamò, allungandola verso di lui.
Lui l'afferrò e la scrutò.
Ci mise qualche secondo per riconoscersi.
Poi, notò una cosa che gli diede tremendamente fastidio.
«È immobile! Merlino, perché questa foto è immobile?!»
Anastasia rise di gusto, mentre lui si rivoltava tra le dita quell'istantanea.
«Perché le foto babbane non si muovono!» spiegò, con tutta la sua naturalezza.
Lui sbuffò, tornando a guardare l'immagine appena scattata. Lei, con il suo solito sorriso colmo di sincerità, e lui, con la faccia di chi non ha ancora capito che cosa ci faccia lì, ma questo non significa che non gli piaccia.
«A mio modesto parere, è meglio così»
«Così come, immobile?»
«Sì!» esclamò lei. «Così, è un solo istante, fermo su carta, per sempre. Uno solo, e solo quello»
«Ecco perché preferisco le foto dei maghi»
Lei alzò gli occhi al cielo, e lui non poté fare a meno di sventolare quella polaroid, come se si aspettasse che i loro stessi di qualche istante prima iniziassero a muoversi anziché rimanere immobili. La capovolse, con il tentativo di infastidirli: era uno dei suo passatempi preferiti, a Hogwarts, mettere i quadri sottosopra per svegliarli. Ma niente, loro rimasero immobili con le loro espressioni piene di cose non dette.
«Sai che cosa dovresti fare, signor Malfoy?» stava continuando a dire lei. «Dovresti imparare a stupirti, o quantomeno ricominciare a farlo»
Lui la guardò, con quegli shorts maledetti e quelle parigine stramaledette, in mezzo a un parco babbano pieno di babbani che si facevano foto babbane che non si muovevano, e non poté fare a meno di pensare che forse lei era arrivata nella sua vita proprio per questo motivo. Insegnargli a stupirsi di nuovo. E lui non poteva che essergliene grato.
Poi, tornò a guardare la Polaroid, trovandosi davanti a due considerazioni disarmanti.
La prima, era che non era mai apparso in una fotografia, che fossa magica o no, con qualcuno che sorridesse. Neanche in quella del diploma. Blaise aveva riso, prima di scattare la foto, ma Lucius li aveva richiamati alla serità. Così, nella foto del diploma sembravano imbronciati, e la cosa non sembrava cambiare, anche se era una foto magica.
La seconda, era che non esisteva fotografia, ritratto o racconto in cui non fosse identico a suo padre. Nessuna, tranne quella. Lì, accanto ad Anastasia eccetera eccetera Black, con la barba di qualche giorno e un'espressione perplessa ma divertita, non assomigliava né a Lucius, né a Narcissa, né a nessun altro. Era, semplicemente, sé stesso – o perlomeno, non credeva di essersi mai trovato così vicino alla versione più vera di sé.
E senza dubbio, questo era un altro motivo per cui essere grato ad Anastasia e a quell'ingresso bizzarro e inaspettato che aveva fatto nella sua vita.
«Posso tenerla?»
«Devi» sorrise lei, avendo capito già tutto. Raccolse gli occhiali dalla borsa con estrema rapidità e se li riposizionò sul naso. «Dunque: atterra all'arrivo, cinque lettere»
«Nimbus? No, ne ha sei. Comet!»
«Aereo» sbuffò, fingendo di non stare ridendo.
«Tecnicamente, anche Comet sarebbe stato corretto»
«Sai almeno cosa sia, un aereo?»
«Certamente» si difese lui. «Avevo una O in Babbanologia!»
«Io avevo una E» si vantò lei.
«Ovvio» la punzecchiò lui. «Voi siete filobabbani»
«Per dirti la verità, avevo E in tutte le materie» rispose, senza raccogliere la provocazione.
«Tutte?» si stupì.
«Tutte quante»
«Quanti M.A.G.O. hai preso?»
«Tutti quelli che volevo prendere» rispose lei ripetendosi, tornando a guardare le parole crociate. «Spazioso, cinque lettere»
«Vasto» rispose lui sicuro.
Lei scosse la testa. «Ampio» decretò.
«Quindi non ci vedi?»
«Ma per favore»
«Perché portare gli occhiali da vista, altrimenti?»
«Commettere un errore, nove lettere» lo ignorò. «Sbagliare» decretò. «Faccio fatica a leggere» spiegò poi, facendo spallucce. «Troppe ore nel buio della biblioteca»
«Però ti sono valse tutti quei M.A.G.O.» rilanciò lui. «Che ci farai ora, con tutte quelle E?»
«Fare quello che gli altri non farebbero, cinque lettere» alzò lo sguardo, stupita, piegando gli angoli della bocca. «Giuro, non era intenzionale»
«Fare quello che gli altri non farebbero? Osare» rispose lui con un sorriso. «Dovresti osare» proseguì. «Sei intelligente, sveglia e furba, puoi fare qualsiasi cosa tu desideri»
Anastasia inclinò leggermente la testa e si sfilò gli occhiali da vista. «Pensi questo di me?»
Riusciva a vederle bene gli occhi grigi anche con gli occhiali addosso, certo, ma ebbe l'impressione che se li fosse tolti per cancellare una barriera.
Draco annuì sicuro. «Cosa credevi?»
«Credevo pensassi che sono quella rompipluffe della sorellina mal riuscita di Kayla Lily Black» rispose, tutto d'un fiato.
Era vero, tutto vero. Nonostante tutte le cose che avrebbero dovuto farle credere il contrario, nonostante tutte le prove che portavano quella teoria a sgretolarsi fino a svanire del tutto, ne era convinta. Così come era convinta che chiunque, parlando con o di lei, non vedesse altro che la sorella combina guai di tre grandi eroi del mondo magico, o la quarta figlia di due dei maghi più chiacchierati (e invidiati o odiati, a seconda del periodo) del mondo magico.
«La sorellina mal riuscita?» ripeté lui. «Ma fai sul serio?»
Da come annuì, lo capì.
Non era mai stata più sincera.
«Non credo affatto che tu sia la sorellina mal riuscita di nessuno» si sentì in dovere di precisare. «Forse credo che tu sia effettivamente un po' una rompipluffe, ma in buona fede» ammise. «E, per la cronaca, visto che il pensiero sembra darti il tormento, ho il dovere morale di comunicarti che per la maggior parte del tempo, tendo a dimenticarmi che tu sia la sorella di Kayla Lily Black e anche degli altri due» aggiunse. «E se ti trovassi noiosa o altre cose che sicuramente stai pensando o hai pensato, ti avrei lasciata passeggiare per Notturn Alley – evitandomi un pugno, tra l'altro -, non ti avrei invitata a cena – per ben due volte -, non ti avrei permesso di dare dei nomi ai miei pavoni o di alloggiare in casa mia, non sarei venuto qui oggi, e tantomeno ti avrei raccontato la mia storia»
Anastasia gonfiò il petto, sicura che quelle parole avrebbero messo a tacere i suoi problemi di autostima almeno per un po' – e avrebbero dato a Teddy qualche cosa di cui ridacchiare e da rinfacciarle fino allo sfinimento.
«Tanto perché tu lo sappia» rispose allora lei. «Anche io credo che tu sia un rompipluffe in buona fede, e la maggior parte del tempo mi dimentico di chi sei figlio o nipote o di quell'adorabile tatuaggio che hai sul braccio»
Lo sapeva già. Glielo aveva detto in ogni modo, ma si sorprese di come fosse gradevole sentirselo dire per l'ennesima volta.
«Questo è confortante» decretò. «Direi che possiamo continuare con le parole crociate»
Lei sorrise e tornò a guardare il cruciverba che era rimasto in bilico sul suo ginocchio. «Argomento da evitare, quattro lettere»
«Mi auguro che qui non ce ne siano»
«Queste sono molto più di quattro lettere, signor Malfoy» si lamentò lei. «Tabù» lo informò. «Né questo né quello, cinque lettere»
«Né questo né quello?» si stranì lui.
«Altro! Sei un principiante» si lamentò. «A che giocavate in Sala Comune?»
«Perché, tu giocavi a questo?» sputò lui.
«Certamente!» rispose lei entusiasta. Alzò gli occhi per rivolgere a Draco un sorriso Malandrino.
«Che c'è?»
«Guida l'aereo» lo punzecchiò lei, mordendosi un labbro per evitare di ridergli spudoratamente in faccia.
Lui sbuffò, stupendosi che ci fosse un nuovo gruppo di turisti che cercava di farsi una foto con Buckingham Palace come sfondo. «Quante lettere?» domandò.
«Sei»
Finse di pensarci. Era riuscito a capire cosa fosse una Mercedes intuendolo dal fatto che avesse un volante, la sera del loro primo incontro, e adesso portava sempre in tasca un telefono cellulare. Ma capire chi guidasse l'aereo solo dal numero di lettere, ecco, quello era troppo.
«Anastasia?»
«Sì?»
«Non ho assolutamente idea di chi guidi l'aereo» ammise, contento di farla ridere così forte. «So a malapena come sia fatto, in realtà, un dannato aereo» aggiunse. «So solo che vola e che serve ai babbani per coprire grandi distanze» spiegò. «E per dirla tutta, in Babbanologia avevo O perché copiavo»

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