Capitolo quarantatre.

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CAPITOLO 43.

Parlo IO.

Harry ha smesso di rispondere ai miei messaggi. In un certo senso me lo aspettavo, ma ci sto male comunque. I suoi comportamenti mi facevano capire altro, davvero. Poteva benissimo dirmi che voleva solo divertirsi, sono cresciuta, avrei potuto assecondarlo cercando di mettere da parte i sentimenti, ma invece mi tocca soffrire. Mi ha solo illusa, mi ha dato il beneficio del dubbio, ma forse sono io quella sbagliata. Mi creo troppi complessi, troppi problemi o pensieri, dovrei solo dare una svolta a tutto questo. Voglio che tutto questo cambi, che finisca.  Vorrei che per strada, se lo incontrassi, possa salutarlo normalmente, senza sentire quel nodo allo stomaco; vorrei evitare il sorriso da ebete sul mio viso ogni volta che menzionano il suo nome; voglio che lui sia il nulla totale e lo sarà.  Da oggi per me, Harry, sarà solo un perfetto estraneo.

Mi porto le mani alla fronte, quasi sfiorandola. Sento gli occhi bruciare e le guancia infuocarsi. Asciugo con un gesto veloce la lacrima che sta rigando il mio viso e mi nascondo dallo sguardo di mia zia. Espiro e inspiro appoggiando la mano sul petto, avverto il battito del mio cuore leggermente rallentarsi, poi chiudo gli occhi e sento i muscoli rilassarsi regolarmente. Avviso mia zia che sto per uscire e quando sento un saluto da parte sua, prendo il cappotto ed esco di casa.

Il cielo è l'unico che mi rappresenta. Le nuvole di un grigio scuro che coprono la città e rendono l'ambiente più invernale, la neve bianca che copre il suolo e l'erbetta dei piccoli giardini fuori le case. Mi sento uno vero schifo, ma cerco di sorridere e cammino lentamente fino ad arrivare alla casa affianco alla mia.

Mi aggiusto un pò i capelli che sono stati scombinati dal vento freddo e la porta davanti a me, si apre.

IO: Ciao, Francesca! – Le sorrido e lei mi abbraccia.

Non posso dire che sto fingendo un sorriso, con i bambini il sorriso mi parte dal cuore. I visi dei neonati o qualsiasi tipo di bambino mi fa venir voglia di vivere.

Francesca: Ciao, Sofie. Se cerchi Lorena, mi spiace ma è appena uscita.  – Si appoggia alla porta, sorridendomi.

IO: Non cercavo Lorena, ma proprio te. – Appena pronuncio queste parole il suo viso si apre in un luminoso sorriso.

Francesca: Davvero? Perchè? – Chiede ancora sorridendo.

IO: Perchè tu ora esci con me, mangeremo qualcosa insieme e poi ti riporto a casa. Dai, prendi il cappotto. – La incito ad entrare e mi invita dentro.

Scompare su per le scale e io resto al mio posto, pensando continuamente a quei dannati messaggi, mi sta dannatamente uccidendo. Lentamente.

IO: Sei sola? – Chiedo, mentre la vedo scendere dalle scale.

Francesca: Si. Andiamo? – Afferra le chiavi.

Annuisco e usciamo di casa, chiude la porta a chiave e ci avviamo verso il centro di Londra. Sembra molto più matura rispetto alla sua età, riesce a prendersi le sue responsabilità in modo corretto.

Devo comprare un regalo a mio padre, al resto della famiglia e ai ragazzi, alle ragazze già li ho fatti. Cosa potrei fare a mio padre? Non so cosa gli piace oppure no.

IO: Francesca, dovrei comperare un regalo a mio padre. Devi aiutarmi, cosa mi consigli di regalargli? – La guardo dall’alto, è una soddisfazione dover abbassare la testa di tanto in tanto.

Francesca: A mio padre piacciono molto gli orologi, credo che a tutti gli uomini piacciano gli orologi. – Mi sorride dolcemente, forse sperando di essermi stata utile.

IO: Aspetta un attimo. – Afferro il mio cellulare che sta squillando dalla mia tasca.

Rispondo ed un boato assurdo mi perfora l’orecchio, proviene dall’altra parte della cornetta.

My demons burn.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora