PROLOGO

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Ero incinta di nove mesi, al lavoro mi avevano dato il foglio di via, nonostante tutto volessi continuare ancora lavorare per l'Intelligence.
Avevo anche proposto di stare dietro la mia scrivania.
Non stavo male, anzi, stavo benissimo.
Mi sentivo in forze, ma non hanno voluto ascoltarmi.
Il mio capo mi ha detto, testuali parole: «Lindsay, tornatene a casa, non voglio che mi rovini il pavimento. Mi toccherebbe trovare una donna delle pulizie per rimetterlo a lucido.
Quindi, alza il tuo culone da donna gravida e tornatene subito a casa!»
Non ho ribadito.
Con lui non si scherza, allora ho fatto come mi ha ordinato il mio capo, Leroy.
Ho alzato il mio culone da donna gravida, ho salutato tutti, sono uscita e ho raggiunto il mio SUV.
Al semaforo, quando è diventato verde, mi si sono rotte le acque.
Dietro di me avevo formato una coda chilometrica.
«Cazzo! Mi si sono rotte le acque!»
Non so come, ma sono riuscita a scendere, trovandomi bagnata, come se me la fossi fatta sotto.
Una coppia che stava dietro di me con la propria auto, quando mi hanno vista uscire dal SUV, sono corsi subito in mio soccorso.
Lui mi ha spostato la macchina, nonostante la parte del guidatore fosse sporca, io che urlavo disperata e la donna che era con lui ha chiamato un'ambulanza.

Entro in ospedale e di corsa mi portano in sala operatoria per far nascere la bambina.
Urlo che voglio vedere mio marito.
Obbligo un infermiera di prendere nella borsa il cellulare e di chiamare sotto il nome di Brent e di spiegargli la situazione.
Urlo dal dolore, questa stronzetta non vuole saperne, sicuramente avrà il carattere di suo padre.
Intravedo qualcosa, forse è la testa.
«Fai dei respiri profondi e poi spingi forte!» mi ripete l'ostetrica, che in questo momento vorrei uccidere.
Dopo ore di sofferenza, ho dato alla luce una bellissima bambina mulatta con gli occhi neri, che di certo cambieranno colore con il tempo.
Insomma, sta di fatto che ho partorito una vitellina di quasi 4kg.
Bellissima, in più si faceva sentire.
Eccome se lo faceva, strillava tanto forte da perforarti i timpani.
Brent è arrivato di corsa.
Ci ha messo un po' per passare. Faceva parte anche lui dell'Intelligence, solo che era sotto copertura, era riuscito a entrare a far parte di una gang.
Faceva parte della DEA.
Sono sempre stata contraria in questo, ma Leroy aveva reclutato lui.
«È adatto per questo lavoro Lindsay! Lo ha già fatto.»
«Lo so, ma questa volta è più pericoloso rispetto all'operazione precedente.»
Leroy mostrava uno sguardo comprensivo. Sapeva, come lo sapevo anch'io, che avevo ragione.

Era un bellissimo ragazzo di colore afroamericano, madre di colore e padre americano.
Aveva preso tutto da sua madre, ma gli occhi erano verdi come quelli di suo padre, come la statura.
Un vero figo, insomma.
Quando è entrato in ospedale indossava il suo abbigliamento da spacciatore.
Catena d'oro spessa, bandana e cappellino posizionato con la visiera sistemata al contrario e si intravedevano le punte delle treccine sotto la bandana.
Camicia a scacchi e un giubbino di pelle nero. Jeans e anfibi.
Spacciava cocaina per conto di Salvador Suarez detto anche: "El Chava", ed era questo il motivo per cui lavorava per la DEA.
Il suo obiettivo era quello di fornire informazioni sui traffici di droga, e l'unico modo, il migliore, era calarsi nella parte del trafficante.
I soldi che guadagnava, li dava al suo braccio destro, che li consegnava al capo.
Ci stavamo tutti dietro, aspettavamo un passo falso per prenderlo.

Quando entrò nella camera e mi vide seduta su una poltroncina reclinabile, sconvolta, mentre stavo allattando la bambina, i suoi occhi si inumidirono.
«Sei bellissima amore mio.» mi disse con voce emozionata avvicinandosi a noi e baciando delicatamente la piccola sulla testa e a me sulla fronte.
«Hai idea in che stato sono?»
«Proprio per questo ti trovo bellissima!» mi diede un bacio sulle labbra. «Allora il nome è quello?»
«Sì. La chiameremo Meckenzie. Come avevamo prestabilito quando abbiamo scoperto che era una femmina. Ricordi?»
«Certo che mi ricordo piccola!»
«Evita di usare quel tono con me.»
«Okay, scusami, ma è l'abitudine.»
Brent guardò l'orologio che faceva pandan con la catena e ci salutò.
«Brent...» lo fermai quando era sulla soglia.
«Si?»
«Ti amo!»
«Ti amo!»

Vennero a trovarmi tutti, amici e colleghi. I miei genitori e quelli di Brent. Parenti di cui nemmeno io ero a conoscenza.
I nostri genitori abitavano nell' Upper East Side di Manhattan.
Leroy, voleva dargli a tutti i costi un nominativo, ma Brent preferiva usare il suo nome.

SOTTO COPERTURA (IN FASE DI RESTAURAZIONE!)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora