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Vivere nei bassi fondi di Brooklyn per anni ed essere stata 'usata' dalla propria madre, da colei che dovrebbe amarti incondizionatamente più della sua stessa vita, è una cosa che non mi è mai piaciuta.
Dopo il suo funerale sono riuscita a respirare.
Finalmente.
Joanna è sparita, voci di quartiere dicono che è scappata con uno che non si sa nemmeno chi sia, ma questo non ha importanza.
la mia priorità era un'altra, volevo andare via da quel posto, da quella casa, ma non sapevo dove andare e in più dovevo finire la scuola.
Mi sarebbe piaciuto frequentare l'università e laurearmi in medicina, con la specializzazione in cardiologia.
Volevo diventare una cardiologa, perché mio padre è morto per colpa di un infarto, non è nemmeno riuscito ad arrivare in ospedale, l'ambulanza ci ha messo più tempo del previsto,
praticamente mi è morto tra le braccia.
Ma c'è un problema, mi mancano le finanze: niente soldi, niente di niente.
Ero riuscita a trovarmi un lavoretto come cameriera per finire le superiori.
Mio malgrado è durato poco, perché ero una sostituta, sostituivo una ragazza che era entrata in maternità e per quel poco che ho lavorato ero riuscita a fare del mio meglio per racimolare e risparmiare qualche soldo.
Bisogna prendere la vita per quello che è, e la mia è stata uno schifo.
Oggi è il mio ultimo giorno qui al ristorante dove lavoro, perché lunedì rientra la ragazza che sostituivo.

Gli anni passano e io mi ritrovo con il diploma in mano, sola, senza nessuno con cui poter festeggiare.
Ma io sono Marika e non mi arrendo facilmente.
Così giorno dopo giorno, ho iniziato ad andare alla ricerca di un nuovo lavoro da fare.
Mentre cammino verso casa trovo per terra un volantino, mi abbasso e lo raccolgo.
C'è scritto che è un locale per soli adulti, che cercano una ragazza con esperienza nel settore, di che tipo non si sa, perché non c'è scritto e soprattutto deve avere almeno ventun'anni.
Cristo Santo!
C'è anche scritto che la paga è piuttosto buona.
Potrei chiamare lo stesso, tentare non nuoce, no? E poi la curiosità di sapere è tanta.

Appena faccio ritorno a casa prendo il telefono e mi siedo sul divano logoro.
Compongo il numero e aspetto che qualcuno risponda, ma non succede.
Riprovo per la seconda volta e al primo squillo risponde una voce femminile.
Parliamo per un po', giusto il tempo di dare i miei dati personali falsificando il mio anno di nascita, poi saluto gentilmente la persona che c'è dall'altra parte della cornetta e chiudo la comunicazione.
Cavolo, ho accettato senza riflettere.
E adesso come ci arrivo a Las Vegas?
Mi sono fregata con le mie stesse mani.
Eppure non c'era scritto sul volantino.
Non è possibile.
Butto in dietro la testa, poi la porto in avanti guardando in basso con le mani infilate tra i capelli e rifletto sulla conversazione telefonica avvenuta in precedenza.
Mi alzo dal divano, vado nel misero bagno e guardo il mio riflesso.
Appoggio le mani sul lavandino con le braccia tese stando attenta a non farlo cadere.
Ho deciso, ci andrò lo stesso, anche se dovessi fare l'autostop.
Voglio vedere com'è questo posto, se dovesse piacermi l'ambiente ci resto,
se invece non dovesse piacermi me ne torno a casa, sempre se si può definire così il buco in cui vivo qui a Brooklyn.

Mi trovo su una station wagon in mezzo a due bambini che urlano come pazzi, il papà ride felice con le mani sul volante con gli occhi fissi sulla strada, mentre la mamma è girata verso di noi e sgrida i bambini con voce ancora più alta.
Mi sarebbe piaciuto molto avere dei genitori normali, ma l'unico che avevo in questo momento è nell'alto dei cieli.
Mentre camminavo sul ciglio della strada all'indietro con il braccio teso in fuori e il pollice in mostra, questa famiglia si è fermata.
Questo è il modo in cui ci siamo incontrati, mentre stavo facendo l'autostop, poi hanno scoperto che andavamo nella stessa direzione così mi hanno accolta gentilmente dandomi un passaggio fino a Vegas.
Mi hanno domandato cosa andavo a fare a Vegas e io ho risposto che andavo a trovare i nonni.
La bugia più brutta che potevo inventare, ma che allo stesso tempo è stata la prima a venirmi in mente, alla fine mi hanno caricata in macchina e siamo partiti.
Una manina mi tocca facendomi svegliare di colpo.
«Ti sei addormentata.»  dice la bambina seduta alla mia destra.
La voce della madre invece mi fa notare che siamo arrivati, così mi faccio lasciare poco prima del locale, dicendo che da qui in poi sarei potuta andare anche a piedi in quanto avevo approfittato già abbastanza del loro buon cuore. Quindi scendo dall'auto, ringrazio con un sorriso e loro contraccambiano.
Dopo essersi fermati per farmi scendere ripartono con i bambini che mi salutano con la manina e un sorriso gioioso e io contraccambio il saluto.
Guardo l'auto allontanarsi, ferma a guardarla fino a che non sparisce dalla mia visuale.
Attraverso la strada e mi incammino fino a quando non arrivo davanti a questo posto.

Oh Santo Cielo!

Alzo la testa e vedo un insegna al neon spenta con la scritta: VEGAS STREAP NIGHT CLUB, con una donna stilizzata attaccata ad un palo.
Spero solo che non abbiano bisogno di una ragazza che faccia la Pole Dance o che si spogli lasciandosi addosso un misero perizoma color carne, ma una barista o una cameriera, perché dopo 37 ore di viaggio, che non sono proprio una passeggiata, se volessero una ballerina tornerei direttamente a Brooklyn senza farmi scrupoli.
Mi faccio coraggio e inizio a respirare profondamente, anche se sono un po' titubante, metto ugualmente la mano sulla maniglia, respiro ancora e ancora e ancora, poi alla fine mi decido.
Apro la porta ed entro.

SOTTO COPERTURA (IN FASE DI RESTAURAZIONE!)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora