Si era avvicinato a passo svelto, probabilmente qualcuno avrebbe detto che aveva corso verso Eleanor. Altri ancora che sembrava fosse terrorizzato e avesse paura anche a muovere un muscolo facciale.
«In questa scuola non sapete tenere le mani solo su cose che sono vostre, non è così? Avete bisogno di sconvolgere le vite degli altri per stare meglio. Tu, Eleanor, sei la leadership di questa fottuta categoria di persone» forse stava urlando. Ma odiava vedere Harry stare male e non sopportava quella ragazza, per cui prendeva due piccioni con una fava.
«Cosa vuoi, Horan?» chiese, annoiata, sfogliando svogliatamente le pagine del diario. Niall non poteva metterle un solo dito addosso, ma per la prima volta desiderò strozzare qualcuno.
«Dammi quel diario, Eleanor» fece un passo avanti, e la ragazza uno indietro. Si aggiustò i lunghi capelli castani dietro le spalle strette, e con un sorriso di chi sapeva di avere il coltello dalla parte della manica, posò il diario nella cartella. Quando il biondo fece un altro passo verso di lei, con la faccia contratta dalla rabbia e le mani pronte ad acciuffare ciò che gli serviva, Eleanor ghignò.
«Cosa vuoi fare, Niall? Vuoi darmi uno schiaffo? Vuoi forse picchiarmi?» rise sguaiatamente, superandolo con una spallata. Andò verso l'entrata, mentre l'irlandese pensava solo che aveva bisogno di piangere. Aveva bisogno di non pensare, così chiamò l'unica persona in grado di poterlo aiutare a farlo stare meglio.
«Oi, amore,» la sua voce calma sgonfiò l'ira e introdusse la pacatezza.
«Hey, possiamo vederci?»
***Eleanor Calder aveva sempre avuto voglia di giocare a carte, ma il gioco celava sempre un dettaglio: le sue carte erano già preparate, già messe in tavola, e lei doveva agire seguendo ambizioni che non erano sue, strategie che non le appartenevano. Ma cos'altro avrebbe dovuto fare per soddisfare suo padre? Quell'uomo privo di cuore ed empatia era sempre in casa, a lavorare di fronte ad un computer. Ma era in casa. Mentre sua madre si celava dall'altra parte del mondo, con un nuovo compagno e con sua sorella Jessie.
Si rigirò il diario del ragazzo che aveva preso ciò che le permetteva più di ogni altra cosa di accedere al cuore di suo padre: la sua relazione. Sapeva che Louis l'avrebbe lasciata, lo sentiva, e il suo intuito non sbagliava mai. E sapeva anche che il suo ragazzo storico aveva smesso di provare qualcosa per lei nell'esatto momento in cui quel ragazzo tutto ricci era entrato a far parte della sua vita.
Si sentiva vuota, consumata. Si chiedeva se il problema fosse lei o se il problema fosse ciò su cui era basata la sua relazione, e non parlava di amore. Perché sebbene lei amasse Louis (e lo amava, forse troppo. Talmente tanto da guardare il cielo e pensare a lui, tanto da paragonarlo ai colori dell'arcobaleno, perché Louis era l'infinito ed erano inutili i suoi tentativi di colorarsi di lui, alla fine sapeva che le persone come lei vivevano di bianco e nero), la loro storia d'amore era stata principalmente basata su strategie.
Suo padre voleva arrivare al padrigno di Louis, Mark, e ci era riuscito. E lei era la chiave che gli aveva aperto le porte, e il piede che le manteneva ferme quando stavano per chiudersi. Essenzialmemte, se il suo ragazzo era stato bloccato, era insicuro, e non aveva ancora avuto il coraggio di parlarle, era colpa sua. Solo colpa sua. Ed era stanca, sfinita.
Era stanca di far finta che quella vita le si addicesse. Era sfinita di essere usata dalle persone a cui voleva bene. Ma, quella volta, aveva deciso di non reagire.
STAI LEGGENDO
Sunflower; Larry Stylinson.
Fanfiction"Hai bisogno di qualcosa, riccio?" "Sì. Del diario, per precisare, poiché è mio" "Non ho intenzione di restituirtelo, riccio. Mi hai ben capito? Adesso puoi ritornare dal tuo amico biondo -per cui hai speso ben due pagine, fantastico, e smetterla di...