40. - girasole.

2.9K 154 84
                                    

Il ragazzo era fermo sullo stipite della porta. Il sacchetto dei Payne in una mano e il sorriso furbo ad incorniciargli il viso. Aveva delle occhiaie scure che facevano spiccare ancor di più i suoi occhi azzurri e le sue labbra erano screpolate.

«H, posso entrare?» chiese, risvegliandolo da quel trance improvviso. Annuì velocemente, facendosi da parte e accogliendolo in casa. Louis gli porse il pacchetto e, come al solito, al suo interno c'era una ciambella e un milkshake. Sorrise, mostrandogli una fossetta.

«Ti ringrazio» mormorò, abbassando lo sguardo perché lui sapeva. Lui sapeva e Harry aveva ancora nella mente il loro ultimo litigio.

Un silenzio imbarazzante li avvolse, e non sapevano davvero cosa dire. O, almeno, Harry non sapeva cosa dire. Lo guardava e pensava solo che era bellissimo, fasciato da uno skinny jeans nero e una felpa oversize verde petrolio. Era bellissimo ed era di fronte a lui, e se il riccio avesse provato a baciarlo, sapeva che Louis avrebbe risposto. Vedeva come guardava le sue labbra, come cervava di tenere occupate le mani per non sfiorarlo, ma dovevano definire quella relazione per potersi lasciare andare.

«Voglio portarti in un posto» esclamò Louis, interrompendo quel silenzio carico di tensione con la sua voce squillante e il suo accento inglese.

«Dove?» era curioso. Pensava che il maggiore si sarebbe spaventato per tutto quello che aveva scritto, ma non lo aveva fatto. Ed era lì. Harry non poteva far finta che non contasse niente, o costruire un muro proprio quando quello di Louis era caduto. Così, capì di sé stesso una semplice cosa: qualsiasi posto il maggiore gli chiederà di visitare, lui lo visiterà. Perché casa è Louis e non ha bisogno di destinazioni, gli basta che stiano insieme. Sorrise.

«Un posto» rimase nel vago il più grande, un sorriso sbarazzino sul viso magro e i capelli color caramello a cadergli in modo disordinato sulla piccola fronte.

«D'accordo. Okay. Dammi un attimo» quasi si sporse per baciargli le labbra. Si maledì mentalmente e salì velocemente le scale, chiudendosi nella stanza per potersi vestire e andare con Louis.

Con Louis. Sempre con Louis.

Il ragazzo mentirebbe se dicesse che non aveva un sorriso fermo sul viso pallido, mentirebbe anche se dicesse che i muscoli facciali non abbiano cominciato a protestare per la forza con cui le sue guance erano tirate. Ma non mente, e non c'è bisogno di spiegazioni.


                                   ***

Harry non sapeva che Louis guidasse, ma alla sua richiesta di spiegazioni, il più grande si era limitato a dire: «L'ho rubata a papà». Il riccio sorrise nel sentir chiamare Mark in quel modo. Ora il maggiore aveva una figura a cui chiedere appiglio, aveva qualcuno che si occupava di lui quando sua madre partiva per lavoro e aveva qualcuno che gli imboccasse le coperte quando era troppo stanco.

Salirono in macchina e il più piccolo si assicurò di dire qualsiasi battuta gli venisse in mente, guardando con la coda dell'occhio come le mani del maggiore si adagiavano al volante. Si assicurò anche di notare come le sue spalle fossero rilassate e i suoi capelli mossi dal vento. Come le sue ciglia lunghe sfarfallavano quando guardava la strada e come la sua lingua inumidiva le labbra ogni volta che stava per parlare.

Il suo cuore cominciò a pulsare, fremere, cedere, rinascere. Un solo ragazzo gli faceva traballare l'anima e, stranamente, lui non se ne pentiva. Non si era mai pentito di aver incontrato Louis o, meglio, di averlo notato nel cortile della scuola. Perché persone come lui meritavano di essere viste, di essere amate e apprezzate.

Sunflower; Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora