❥verde cactus del deserto.

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Gli occhi di Will furono urtati dalla troppa luce, e immediatamente li aprì, di scatto o forse d'istinto. Chissà perché quando le nostre palpebre sono infastidite da qualcosa, ci viene naturale aprirle. Se la luce infastidisce le palpebre, è piuttosto ovvio che una volta aperte disturberà gli occhi ancora di più. Forse loro non vogliono i problemi, e sono portati a scaricarli su altro, pur sapendo che a costoro farà più male. Forse è così che funziona l'umanità.

In quel momento però, Will non pensava a questo. Si era appena svegliato, e Mike non era accanto a lui. Sapeva che sarebbe stato così, lui doveva andare a scuola, e Will aveva il permesso di stare a casa per quel giorno.

Non sapeva cosa avrebbe fatto, ma già aveva l'idea per un disegno. Non era proprio un'idea, più un bisogno, uno sfogo. Era ancora mezzo addormentato, nel suo letto semi steso, eppure si alzò di scatto, prese il suo diario e iniziò a disegnare e poi a scrivere e a scrivere e a scrivere. Passò così ore. Finché, verso le undici non arrivò Jonathan, tornato a casa da uno dei suoi tanti lavoretti per racimolare qualcosina. Egli entrò in camera di Will con aria preoccupata e lo salutò: <<Ciao Will! Perché non hai fatto colazione? Vedendo i pancakes sul tavolo intoccati ho preso uno spavento! >>

Ma già alla parola "pancakes", il piccolo Byers si era alzato di scatto dalla sedia pronto ad assaporare il cibo appena nominato. Il fratellone lo seguì camminando a rilento e ridendo. <<C'è un biglietto>> disse stando sullo stipite della porta e puntando il braccio svogliato verso un punto della stanza.

Indossava una giacca marrone e una maglietta bianca. Il suo outfit aveva lo stesso sapore dello svegliarsi in una domenica di neve e bere il latte caldo coi biscotti inzuppati dentro. Portava i capelli in modo strano, ma d'altronde le acconciature ordinarie non erano un tratto familiare ai Byers. Il suo ciuffo ribelle dondolava di tanto in tanto tra i suoi occhi luccicanti e lui puntualmente lo ignorava, come il nostro cervello ignora la vista del naso.

Ma tornando al minore dei fratelli, egli sorrise non appena riconobbe la calligrafia dell'innamorato. <<È di Mike!>> esclamò, guardando Jonathan con gli occhi brillanti. <<Ha fatto lui i pancakes, e devo chiamarlo dopo la scuola!>>
<<Proprio così...- sorrise -Sai Byers, ho una cosa da raccontarti.>>
Respirò come se stesse per dire qualcosa di molto lungo e poi si sedette sul bracciolo del divano.

<<Ieri non avevo trovato alcun momento per dirtelo, insomma, era necessario che stessimo da soli. In ogni caso, credo che, o almeno, non vorrei crearti false speranze, ma ho questo sospetto, che i tuoi sentimenti siano ricambiati da Mike.>>

Lasciò qui passare qualche secondo, aspettandosi ovviamente una risposta dal fratello.
<<Cosa- Come lo sai? Cioè, come lo credi? Cioè perché lo credi?>>
Jonathan sorrise, e Will si ritrovò a dire preoccupato <<Jonathan dimmi cosa sai.>>

<<Cosa so, Willy? La domanda è cosa ho visto. Ho visto Mike, piangere e disperarsi sul tuo letto d'ospedale perché ha creduto, per un momento solo, che tu fossi morto. L'ho visto non arrendersi mai, e fare tutto ciò che gli era possibile per salvarti. E mi ha detto che tu sei più importante della sua stessa vita.>>

<<Oh...>> disse il piccolo Byers, in bilico tra una grande gioia ed un profondo sgomento. Cioè, non proprio sgomento, ma era strano sentirlo. Più che altro era sorpreso. Come non poteva? Però, c'era un lumino in lui. Un lumino che cresceva e mangiava il buio piano piano.

Non sapeva se gli piacesse oppure no. Da un lato la speranza era un bel sentimento, ti faceva sentire bene e assaporare già un possibile successo. Dall'altro, saresti stato peggio fallendo.

<<Non so se mi stai facendo male. Mi stai dando speranza. Ora penso che forse Mike mi ami, ma domani lo vedrò a scuola, e lui amerà ancora Undici.  Non capisci Jonathan? Non importa quanto sia carino con me. Non importa- e così dicendo si voltò, spostandosi ed acquisendo violenza nei movimenti, brandendo in mano il foglietto di Mike come fosse una prova di omicidio- niente di tutto questo! Non è amore! Non lo è! Io lo amo, e lui no! Io sono sbagliato, e lui no!>>

Era estremamente frustrato e deluso. Sapeva che tutto sarebbe rimasto come al solito.

Gli grandinavano pesanti lacrime dagli occhi rossi e lividi.

<<Will! Non dirlo neanche per scherzo! Tu non sei sbagliato, e nemmeno lui. Tu ami, e anche lui, e non c'è niente di più naturale.>> detto questo si avvicinò al fratellino e strinse la sua testa tra le braccia.
<<So che è difficile. Okay? La vita lo è. Non vuoi essere ferito, e per questo non vuoi sperare, non vuoi amare? Beh, sai cosa ti dico? Verrai ferito! Verrai ferito, verrai gettato a terra, verrai stracciato come uno stupido foglio di carta, verrai trattato come fango e forse inizierai persino a credere di esserlo! Ma è questa la vita, William Byers! La vita è piangere, è cadere, è venire spezzati! Ma è anche risate, è anche amore, è anche volare. E quindi si, spesso cadrai nel fango. Ma i gabbiani sanno sempre come tornare a volare. Forse dovrò pulirti le ali, magari dovrò aiutarti, ma tu sei un albatross, Will, e se non smetterai di guardare il cielo allora un giorno lo raggiungerai. Quindi guarda il cielo, per quanto possa farti male il collo, e raggiungilo.>>

<<Grazie, Jonathan. Davvero. Quindi cosa dici che dovrei fare?>>
<<Non lo so di certo, ma ti dirò cosa non dovrai fare: non avere paura. Ciò che deve succedere, succederà. E forse, secondo il mio umile parere, voi due succederete.>>

Will emise una specie di "mhm" con le labbra e poi tornò in camera. Era davvero grato al fratello, anche se non sapeva come dimostrarlo.

Prese un foglio, poi un pastello. Quel pastello in particolare non lo usava mai. Aveva una tonalità fastidiosamente accesa, terribilmente irreale. Così usò quel colore, un'altro giallo ed uno nero, un po di bianco, e in qualche decina di minuti aveva disegnato un cactus estremamente realistico. Aveva davvero talento. Anche se spesso, non lo vedeva.

Sulla carta c'era un cielo nero, così nero che nemmeno il ragazzino sapeva come aveva fatto a spezzare il candido del foglio. L'oscuro era interrotto da sole poche e fioche stelle. In basso vi era una distesa di sabbia, disegnata così bene da rendere persino l'idea della morbidezza al tatto. Al centro spiccava un meraviglioso cactus, verde brillante, che sorgeva tra il cielo scuro e la sabbia stanca.

Will prese il disegno a due mani e lo tenne davanti a sé, ammirandolo. Stava per metterlo via quando Jonathan arrivò.
<<Com'é che disegni piante adesso?>>
Il bambino rise dolcemente e gli porse la carta.
<<Non è una pianta a caso. Rappresenta il modo in cui mi sento.>>

<<Ti senti un cactus...solo nel deserto? Ti senti solo?>>
Al fratello minore scappò una piccola risata mentre diceva: <<Ma no! Che hai capito?!- respirò, cambiò posizione per guardare meglio il fratello e poi disse- Segui il mio ragionamento. Il cactus contiene l'acqua. Ed è solo in mezzo al deserto. Bene, ora: rappresenta la speranza. La mia prosciugata speranza, che ogni volta tu rinnovi. Mi sento un forestiero, che vaga esausto nel deserto e si lascia guidare da qualche stella. Ormai stremato dalla vita, ormai a pezzi e stanco di tutto. Che ormai, crede che morirà. Ma poi, anche se non vuole, cammina per un altro metro, e per un altro seppur a passo strascicato. Così, trova un cactus. Una speranza, annidata tra la sabbia bianca e il cielo nero. L'unica forma d'acqua in quel posto asciutto. Sai che mi piacciono i colori...Beh, la speranza di questo tipo è Verde Cactus Del Deserto.>>

Pastelli. ~BylerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora