V: "Caffè nero bollente"

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Rimasi distesa, per un tempo che mi parve infinito, sul duro pavimento laminato.

Gli occhi chiusi e il respiro irregolare per la corsa di prima.

TUM TUM

Il battito accelerato del mio cuore mi rimbombava come un tamburo africano nella testa.

TUM TUM

Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore.

Era come se una mandria di elefanti inferociti avesse ballato un pezzo di zumba sulla mia schiena.

Con uno sforzo immane riuscii a mettermi seduta, facendo leva sulle braccia.

Il polso destro mi lanció una fitta terribile che si irradiò per tutto l'arto strappandomi un lamento.

"Ahi" gemetti.

Forse me lo ero slogato.

"TU".

La voce dell'uomo mi investì in pieno, facendomi sussultare per lo spavento.

Socchiusi leggermente gli occhi puntandoli sulla sua figura che non sembrava essersi mossa di un centimetro, nonostante l'impatto violento.

Sebbene le lacrime mi offuscassero leggermente la vista per poterlo scrutare in viso, potevo chiaramente percepire la sua collera.

"Si può sapere perché cazzo stavi correndo come un rinoceronte impazzito?" tuonò.

"E guarda il casino che hai combinato"

Scostai la matassa informa di capelli che, nella confusione mi erano ricaduti sulla faccia.

Individuai immediatamente l'origine del caos a cui l'uomo si riferiva.

Ai suoi piedi si era formata una piccola pozza di liquido scuro dall'odore forte.

Quasi sicuramente caffè.

Il bicchiere in plastica riciclata era rotolato, svuotato del suo contenuto, non lontano dalla scena del crimine.

Risalii il suo corpo con lo sguardo, partendo dalle scarpe eleganti in pelle nera visibilmente macchiate della stessa sostanza.

Merda.

Con mio grande orrore scoprii che anche la camicia, da lui indossata. non era rimasta illesa dopo l'incidente. Una spessa chiazza marrone si allargava a dismisura sul petto dell'uomo facendo aderire ancora di più il tessuto sui pettorali.

Cazzo.

Raggiunsi a fatica il suo viso. Ero certa di trovavi dipinta un espressione di pura irritazione.

Aspetta.

Era sorpresa quella che leggevo nei suoi occhi?

Occhi di un verde intenso si inchiodarono nei miei. Dentro la pupilla scura, leggermente dilatata, era ancora evidente la scintilla dell'ira non ancora del tutto assopita.

La bocca leggermente dischiusa era circondata da una barba ben curata. I peli rossastri crescevano ordinati introno alle labbra sottili, leggermente screpolate.

Ma la cosa che mi fece sprofondare in un baratro senza fondo fu quello che vidi al posto dei capelli.

La pelata più famosa d'Italia, riconoscibile anche dalla stazione spaziale internazionale distante migliaia di chilometri dalla crosta terrestre, così lucida che ci si poteva specchiare sopra e appartenente all'uomo più stronzo e cinico dell'intero sistema solare.

Merda.

Rudy Zerbi in carne, ossa e macchie di caffè se ne stava granitico nel bel mezzo del corridoio e non accennava a muovere un muscolo.

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora