XVII: "Ti tengo d'occhio ragazza del caffè"

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Il bar dove mi ritrovai, era situato a pochi passi dallo studio 5. Era un locale piccolo ed impersonale, con gagliardetti della Roma e foto della proprietaria, abbracciata a persone dello spettacolo, appese alle pareti.
Osservai con particolare attenzione quelle istantanee, riconoscendo molti visi a me familiari. La stessa donna che vedevo sorridere attraverso l'obbiettivo mi si parò davanti, minuta, con un paio di occhiali a fondo di bottiglia e un caschetto di capelli color sabbia.  

"Che cosa prendete?" chiese, distrattamente mentre riponeva le tazzine sporche nel cestello della lavastoviglie.

"Un caffè, grazie" dissi, appoggiandomi al bancone.

Carlo che fino a quel momento non aveva fatto altro che scrutarmi nei minimi particolari, mettendomi tremendamente a disagio, distolse finalmente lo sguardo dal mio corpo per fare la propria ordinazione.

Da quando avevo lasciato le confortevoli mura dell'ufficio, non avevo fatto altro che evitare i suoi tentativi di approccio fisico. Ero riuscita ed eludere, un paio di volte, che mi prendesse per la mano o che mi circondasse amichevolmente le spalle con il suo braccio.  Mi sentivo braccata da lui in tutti i sensi. Mi stava addosso, come un predatore dinnanzi alla sua preda. Lo trovavo veramente irritante. Per non parlare delle domande personali ed imbarazzanti che mi aveva rivolto fino a quel momento.

Insomma, che cosa diavolo voleva da me?

Avevo cercato di essere gentile e disponibile, dopotutto era un mio superiore con il potere decisionale sulla mia condotta all'interno dell'azienda, ma dovevo assolutamente tenerlo a debita distanza, al suo posto.

"Zuccherino?"

Mi voltai di scatto a guardarlo, rimanendo per un istante a fissarlo con gli occhi sbarrati.

Come mi aveva chiamato?

"Intendo il caffè. Lo prendi amaro o vuoi lo zucchero?" precisò l'uomo, avvicinandomi il contenitore di vetro contenente delle zollette di zucchero.  

Mi tranquillizzai. Avevo pensato che quella sua considerazione fosse un modo premuroso di rivolgersi a me, dando l'ennesima dimostrazione del suo temperamento spudorato.

"Amaro."

"Vuoi qualcosa da mangiare?"

"No, ti ringrazio. Un caffè basta e avanza."

"Nottataccia?"

Dio era così evidente?

Annuii. "Già."

"Capisco..." commentò lui senza alcuna inflessione nella voce.

Mi guardò dritto negli occhi, come se fosse convinto che se mi avesse fissato abbastanza a lungo avrebbe potuto scoprire quale fosse la causa della mia spossatezza. Quando finalmente distolse lo sguardo per prendere la tazzina del caffè ordinato, mi resi conto di avere bisogno di fare un bel paio di respiri profondi.

Chissà cosa aveva capito. Avrei dovuto chiederglielo, magari Carlo era un esperto onirologo e sapeva interpretare e leggere i sogni.

Quelli erotici sicuramente.

Arricciai le labbra per trattenere un sorriso.

Rivolsi tutta la mia attenzione al caffè che mi era stato appena servito. L'aroma intenso ed inconfondibile mi pervase le narici. Feci l'atto di prendere la tazzina, ma prima che le mie dita potessero sfiorare il manico di porcellana avvertii un movimento, rapido e sicuro alle mie spalle. Il mio corpo reagii istintivamente a quella presenza. Una sensazione strana. Un calore intenso che partii dallo stomaco e che si irradiò, come una scarica elettrica, per tutto il corpo infiammandomi.

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora