VI: "L'unica superstite"

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"Sei tutta intera?" mi chiese in tono preoccupato Elisabetta, rompendo finalmente il silenzio in cui eravamo sprofondate appena superato il corridoio, ognuna immersa nei propri pensieri.

Mi lasciai cadere sfinita su una sedia di plastica, lasciandomi sfuggire un sospiro di sollievo, in quella che aveva tutta l'aria di essere la sala d'attesa del rinomato punto di raccolta nº45.

Era una stanza piccola, asettica e piena di sedute reclinabili, che facevano un rumore infernale al minimo movimento.

Eravamo completamente sole, il che era un fatto insolito visto gli standard di quegli uffici, che solitamente erano pieni già alle prime luci dell'alba.

Appoggiai la testa al muro e socchiusi per un istante gli occhi. Avevo bisogno di riordinare le idee, prima di dare voce ai pensieri che mi vorticavano nella testa.

Ero ancora scossa per quello che era accaduto con Rudy.

Non riuscivo a togliermi dalla testa le sue parole.

Non riuscivo a levarmi di dosso quella sensazione piacevole che avevo provato mentre le sue dita mi accarezzavano con delicatezza la pelle del viso.

Come ero passata dal trattenermi per non prenderlo a calci nel didietro a rimanere profondamente segnata da quel contatto fisico così intimo?

Ero completamente in balia delle emozioni.

Maledetta emotività, come se non avessi già abbastanza problemi da affrontare nella mia vita.

Se ne doveva aggiungere un altro.

Di dimensioni catastrofiche.

Maledizione.

"Rosalba tutto bene?"

La voce della ragazza mi riportò bruscamente sul pianeta terra, in quella saletta spoglia al quarto piano dello studio cinque.

Riaprii gli occhi e mi staccai leggermente dalla parete. "Sì..." mormorai cercando di nascondere l'imbarazzo.

Bugiarda.

Non ero capace di mentire a me stessa e men che meno alle persone che facevano parte della mia vita.
Isabella, l'altra sorella che mi era stata donata, era l'unica della famiglia che aveva ereditato questa capacità. La invidiavo per questo, sopratutto quando riusciva a saltare la scuola perché aveva mal di stomaco o ad intortare la mamma con storie che rasentavano il limite della fantasia. Eppure, nonostante avessi seguito passo passo tutti i suoi consigli da esperta e avessi passato ore ed ore ad esercitarmi davanti allo specchio, mi si leggeva chiaro in faccia che mentivo.

Per la troppa tensione accumulata, almeno fino a quel momento, sentivo il labbro inferiore tremare leggermente e le guance farsi bollenti. "Beh io...credo di essermi slogata il polso" ammisi in un sussurro, abbassando gli occhi a cercare l'articolazione contusa.

"Cosa!?" Esclamò allarmata.

Elisabetta mi fu addosso in un istante, cercando di constatare la veridicità delle mie parole.

La sentì imprecare in dialetto romano.

"Rosalba non ti muovere, vado a prendere del ghiaccio per cercare di limitare il gonfiore" affermò decisa "Tranquilla torno subito" aggiunse vedendo la scintilla di panico attraversarmi gli occhi.

Non volevo rimanere sola un'altra volta.

Non dopo quello che era successo.

Passarono solamente pochi istanti che la vidi ritornare con un impacco di ghiaccio, sembrava un tornado inarrestabile. Ora capivo perché gli esperti che studiavano quei fenomeni atmosferici distruttivi gli attribuivano nomi da donna.

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora