XIX: " Il linguaggio schietto della verità"

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Mi aggiravo per il salone del mio futuro appartamento romano incapace di contenere la gioia.

"È tutto così incredibilmente perfetto!" gridai nel ricevitore telefonico.

Dall'altro capo del telefono, intenta ad ascoltare i miei deliri, post contratto di affitto appena firmato, c'era mia sorella Sabrina.

"Dunque hai trovato quello che stavi cercando?"

"Sì!"

"Ed è come lo avevi immaginato?"

"Anche meglio!"

Situato all'ultimo piano di un palazzo monumentale, dal design moderno e dal gusto sensibilmente chic, l'appartamento in questione aveva fatto istantaneamente breccia nel mio cuore. Mi era bastato varcare la soglia per sentirmi subito a casa.

Camminai in tondo, lasciando vagare il mio sguardo sulle pareti rivestite di quadri d'autore. La voce di mia sorella mi raggiunse, mentre tentavo di capire quale corrente artistica avesse influenzato il pittore di quelle tele.

"E allora perché avverto una nota di incertezza nella tua voce?"

Sospirai rumorosamente.

Accidenti.

"Certo che non ti sfugge proprio niente!" esalai, voltandomi verso le ampie portefinestre che si aprivano sul balcone.

Mi ci diressi a passo deciso, la mano tesa ad afferrare la maniglia in ottone. 

"Sono tua sorella Rosì. Ti conosco meglio di chiunque altro, ed è per questo motivo che sento chiaramente che c'è qualcosa che non ti convince in tutto questo."

Negli ultimi giorni non avevamo parlato un granché, al di là dei soliti convenevoli, e dovevo ammettere che mi pesava moltissimo.

E mi pesava non solo per questo motivo, ma anche perché mia sorella Sabrina aveva ragione.

Ero riuscita a trovare l'appartamento che stavo cercando per il mio soggiorno romano nei tempi record che mi ero prefissata di rispettare e l'entusiasmo, per questo mio piccolo successo, era alle stelle. Così come lo era l'apprensione che avvertivo crescere in me secondo dopo secondo e che collideva con lo stato di grazia in cui mi trovavo, andando a rovinarmi il momento di gloria e facendomi piombare in un limbo fatto di incertezza ed inquietudine.

Sabrina aveva avvertito questa mia sensazione nonostante fosse a più di millecinquecento chilometri di distanza da me.

Dio solo sapeva come riuscisse a interpretare certi segnali premonitori per sfoderate il suo terribile "terzo grado" capace di scoprire qualsiasi turbamento in atto dentro di me.

"Me ne vuoi parlare?" domandò e dal tono di voce sembrava preoccupata.

Mugugnai in segno di assenso, aprendo con cautela la porta finestra e uscendo sul balcone. L'aria pungente di Novembre mi pizzicò il naso e una leggera brezza mi scompigliò i capelli, mentre Roma e il suo caos cittadino mi apparvero in tutto il suo splendore.

Respirai a pieni polmoni, prendendo fiato.

"L'appartamento di per sè è stupendo, rispecchia perfettamente quello che mi era stato mostrato in foto; ha tutti i comfort da me richiesti ed è persino arredato con gusto" dissi appoggiandomi con i gomiti alla balaustra.

Sabrina rise. "E allora il problema dove risiede?"

Qui.

Nella mia testa.

Dove si originano tutte le paranoie e ansie di cui mi nutro.

Deglutii. "Nella zona dove è collocato. Sai Brì, non mi convince molto."

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora