L'oscurità era silente ed impenetrabile.
Non sapevo dove fossi, ero completamente immersa nelle tenebre. Sbattei le palpebre per cercare di dissipare quel velo scuro che mi impediva di scorgere qualcosa fra le ombre, ma il nero era denso come l'inchiostro.
Il freddo era intenso. Lo sentivo penetrare con violenza fin dentro alle ossa, mozzandomi il respiro. Avevo la gola serrata in una morsa che impediva alla voce di uscire. Le parole premevano con forza per fuoriuscire dalla mia bocca. Sentivo dolore. Lo sforzo impiegato per riuscire a pronunciare qualcosa di comprensibile doveva aver provocato un raschiamento sul fondo della gola.
Mi arresi all'ineluttabile, canalizzando tutte le energie residue nell'avanzare di qualche passo, ma fallii nuovamente.
Ero come imprigionata da catene invisibili, che mi impedivano di compiere alcun movimento. Affinai i miei sensi e fu in quel momento che mi resi conto di essere inchiodata al suolo, neutralizzata. La mia schiena toccava la superficie liscia di un lastricato. La pietra risultava fredda al contatto con la mia pelle e mi provocò una serie di brividi che si irradiavano per tutto il mio corpo.
Sentii il panico montarmi dentro, devastante e angosciante.
Smisi di respirare.
Non come conseguenza a quella situazione disorientante in cui mi trovavo e nemmeno per volontà individuale.
No.
Semplicemente i miei polmoni, avevano deciso di interrompere quel processo naturale ed essenziale alla vita.
Improvvisamente.
E compresi, in un istante, la veridicità del pensiero "mancarsi come l'ossigeno" perché non vi era sensazione più tremenda di quella: la mancanza di ossigeno.
Boccheggiai alla disperata ricerca d'aria, ma ebbi il vago sospetto che l'oscurità avesse celato sotto il suo manto d'ombra pure l'indefinibile miscela. Le lacrime scorrevano calde sulle mie guance, in antitesi alla pelle marmorea del viso.
Ne saggiai il sapore salato sulle labbra.
Nonostante cercassi con le forze residue di aggrapparmi alla vita, la sentivo abbandonare con riserbo il mio corpo afflitto. Defluiva con una lentezza disarmante, ma al tempo stesso spedita lontana da me.
Ero ad un passo dalla morte.
Era dunque questa la fine?
E fu allora che l'udii.
Un flebile rantolio.
Giunse debole alle mie orecchie, penetrando quella coltre oscura che assediava quel posto.
Una voce.
Sì.
E mi stava chiamando.
No, forse mi stavo illudendo. Erano i deliri dovuti alla condizione fisica in cui mi trovavo.
Poi un tocco.
Deciso.
Rude.
Reale.
Una scossa mi attraversò il corpo dal punto esatto in cui ero stata toccata. La pelle della spalla prese a bruciarmi, come se un tizzone ardente fosse stato depositato troppo vicino al mio corpo, ustionatomi.
Volevo gridare.
Dimenarmi da quella presa ferrea.
Non ci riuscii.
Chiunque mi stesse facendo provare quella percezione di dolore intenso, aveva spostato il suo impegno verso un'altra parte del mio corpo più esposta e sensibile al tocco. Il mio petto fu l'oggetto di tutta l'attenzione possibile. Subii lo stesso trattamento, solo che la pressione esercitata in quel punto, fra i miei seni, fu ancora più intensa: una compressione continua. Ripetuta in maniera meccanica ed esperta.
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Ortica || Zerbisa
Fanfiction"Sai Rosalba" mormorò annullando, con un passo, la distanza che ci separava "Non ti conviene prenderti gioco di me o potrebbe finire male" mormorò vicino al mio orecchio. Il fiato caldo a solleticarmi il collo. Un brivido mi percorse tutta la schien...