XXVII: "Un cappuccino freddo al sapore di paracetamolo"

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Il fine settimana passò in fretta. Tornai a Milano e organizzai tutto il necessario per il trasloco nella capitale. Radunai poche cose, solo lo stretto necessario ed indispensabile per la mia sopravvivenza in una città che ancora non sentivo mia, ma che avrei imparato ad amare. Pigiai tutto quello che ero riuscita a racimolare dentro un centinaio di scatoloni giganteschi e mi accordai con la ditta dei traslochi per il ritiro e la consegna nel mio nuovo appartamento. Oltre, ovviamente, a lavorare per il programma e a cercare di farmi passare un pessimo raffreddore micidiale.

Tornare a lavoro il lunedì fu un'esperienza che definirei devastante.

Etciù

Tirai su con il naso e mi grattai la punta con un dito. Davanti alla macchinetta del caffè dello studio 5, maledissi mentalmente Rudy per la sua idea di pendere il motorino con l'inverno praticamente alle porte. Era colpa sua se adesso mi ritrovavo a combattere contro un brutto principio di influenza.

Un rumore di passi provenienti dal fondo del corridoio catturò la mia attenzione. Mi girai a guardare, aspettandomi di vedere sbucare il volto familiare di uno dei miei colleghi di ritorno da una lezione, oppure uno stagista alle prese con un compito importante da portare a termine. Ma, nessuna di queste ipotesi si rivelò esatta.

Furono il naso aquilino e i capelli spettinati di Carlo Rinaldi ad entrare nel mio campo visivo. Stava avanzando lungo il corridoio con lo sguardo rivolto alla vetrata che si affacciava sul parcheggio sottostante. Una mano nella tasca dei pantaloni del completo elegante e l'altra stretta attorno al manico della sua ventiquattr'ore.

Pregai che prendesse l'uscita alla sua sinistra, che non mi vedesse o, vista l'assurdità di questa alternativa, che mi ignorasse del tutto e tirasse dritto. Carlo spostò il suo sguardo color cioccolato sulla mia figura, riconoscendomi all'istante e io compresi che non poteva lasciarsi scappare un'occasione così preziosa per attaccare bottone con la sottoscritta.

Ovviamente.

"Rosalba!" lo sentii cinguettare, allegro come un fringuello "che piacere rivederti!"

Serrai la mascella. "Anche per me!" ribattei a denti stretti e stampandomi in faccia un sorriso finto.

Carlo non badò al tono distaccato che avevo utilizzato. E se ci fece caso, non lo diede a vedere. Si avvicinò a me, accelerando il passo. Si fermò quando fu abbastanza vicino da potermi quasi toccare e mi guardò dall'alto del suo metro e ottanta abbondante. Mi sentii piccola ed indifesa davanti a quello sguardo sfrontato, che troppe volte aveva indugiato sul mio corpo, esaminandolo nel dettaglio.

"Vuoi qualcosa dalla macchinetta?" chiesi. Non riuscivo a smettere di stringere i denti fino a sentire le guance doloranti.

"Sono apposto così, ti ringrazio" fece una smorfia e scosse il capo "Piuttosto, visto che siamo qui, volevo sapere che intenzioni avessi per la festa."

Aggrottai le sopracciglia. "Festa?"

"Sì Rosalba, il party inaugurale per l'avvio della stagione televisiva..." si interruppe lanciandomi un occhiata perplessa "Te ne avevo parlato qualche settimana fa, ricordi?"

Ma certo!

Il tradizionale party inaugurale della stagione televisiva, che avrebbe avuto come tema l'età Vittoriana. Come avevo potuto dimenticarmene?

"Sì, sì mi ricordo. Eri stato proprio tu a parlarmene. E quando si terrà?"

"Il prossimo fine settimana. Per l'occasione è stata affittata la spettacolare Villa Aurelia. È un'evento imperdibile ci sarà un sacco di gente importante, telecamere, paparazzi..." mi lanciò un'occhiata eloquente "Sai già con chi andarci?"

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora