XX: "Ci vuole talento per cacciarsi in certe situazioni"

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Cibo finalmente!

Dopo una mattinata estenuante e un pomeriggio altresì intenso finalmente potevo concedermi un momento di ristoro. Sulla via del ritorno verso Milano, io e Roberto avevamo deciso di fermarci in un autogrill dimenticato da Dio alle porte della città. Un posto scialbo, monotono e frequentato principalmente da camionisti. Seduta in un angolino, lontano da sguardi indiscreti, stavo consumando quello che avrebbe dovuto essere un panino integrale con verdure (presumibilmente placcato in oro visto il prezzo del cartellino), in realtà si trattava di un sandwich misero, poco farcito e stantio per giunta.  

Non avendo di meglio da fare (Roberto si era allontanato alla ricerca della toilette) tentai di connettermi a internet dal cellulare, una vera impresa in quel posto. Quando finalmente ci riuscii, Roberto era già di ritorno.

"Tutto bene signorì?" domandò, sedendosi nel posto vuoto davanti a me.

Da quanto aveva assistito al mio quasi investimento, Roberto si era fatto (come se fosse possibile) ancora più protettivo nei miei confronti. Attento e accorto, non appena notava un insolito cambiamento di umore o una ruga di espressione più accentuata farsi largo sulla mia fronte, si assicurava che fosse tutto apposto e che stessi bene.

"Sì, Roberto. Grazie."

"Come è stata la sua giornata?"

Durante il viaggio di ritorno, in macchina, avevo finto di dormire. La mia playlist preferita sparata a rotazione casuale nelle cuffie bluetooth aveva fatto in modo di evitare domande e pensieri scomodi, almeno fino a quel momento. La curiosità impellente di Roberto doveva essere soddisfatta.

"Interminabile" affermai, appoggiandomi allo schienale della sedia.

"Anche per me è stata una lunga giornata."

Fu in quell'istante che notai quanto fossero evidenti i segni di stanchezza sul suo viso: la carnagione pallida e profonde occhiaie scure che contornavano gli occhi nero pece. Nonostante i ritmi forsennati, che la mia vita richiedeva fossero rispettati a discapito del vigore, avevo imparato con il tempo che le parole "pensione" e "vacanza" non erano da lui contemplate ed erano diventate un tabù da rispettare perentoriamente.

Un sorriso mesto apparve sulle mie labbra.

"Dovresti rallentare un po' vecchio mio" commentai "Perché uno di questi giorni non prendi tua moglie e te ne vai alla casa al lago? Prenditi qualche giorno di vacanza, un po' di meritato riposo in vista delle settimane che verranno!"

Per tutta risposta l'uomo emise un grugnito secco che aveva tutta l'aria di essere un rifiuto. Scosse la testa e brontolò con voce cavernosa. "Non se ne parla proprio signorì. La casa al lago può attendere, i suoi impegni no." Stakanovista fino al midollo. "E poi, detto fra noi signorì, il concetto di vacanza non è auspicabile in presenza di mia moglie!" rise e mi fece l'occhiolino.

Mi morsi le labbra per non avere un attacco di riso incontrollato.

Più tardi, di nuovo in viaggio, Roberto mi gettava occhiate furtive dallo specchietto retrovisore per assicurarsi che prima non avessi mentito e che stessi veramente bene; io giacevo sfatta e distrutta sul sedile posteriore, i pensieri e il cuore in subbuglio.
Per ingannare il tempo, ma sopratutto per evitare di annegare in un mare verde muschio, decisi di immergermi in ben altre acque. Più profonde e decisamente più insidiose.

I direct di Instagram erano per me un Oceano profondo di dolcezza mista a disperazione e sensi di colpa. Avevo un centinaio di messaggi in attesa di essere visualizzati, alcuni perfino datati il mese scorso. Era davvero snervante non riuscire a gestire le interazioni con il pubblico e ogni volta che riuscivo a sfoltire la sfilza infinita di messaggi, questi tornavano ad accumularsi a cadenza regolare. La crescita del loro numero giornaliero -a seconda delle storie o post pubblicati- era direttamente proporzionale al mio sconforto.

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora