XII: "Cronache inspiegabili dell'universo femminile"

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"Viola se non ti sbrighi, giuro che ci andrai in mutande a questa serata!"

Erano da poco passate le dieci di sera e da più di un'ora me ne stavo sdraiata sul morbido copriletto a fiorellini, guardando Viola sfilare davanti allo specchio a muro sull'orlo di una crisi di nervi da "non ho un cazzo da mettere".

Il che era impossibile viste le dimensioni della sua cabina armadio tre volte più grande del mio appartamento.

E nonostante avesse una quantità di vestiti da fare invidia ad un grande magazzino nessuno di quelli che si era provata nell'ultima mezz'ora sembrava andarle a genio.

Camminava su e giù sul parquet e di questo passo, ne ero certa, rischiava di crearci un solco irreparabile, continuando a lanciare sguardi critici alla sé stessa riflessa nello specchio.

Il tubino nero attillato che aveva indosso le metteva in risalto il fisico slanciato e tonico. I lunghi capelli castani con riflessi d'orati erano raccolti sulla testa, con alcune ciocche che le cadevano morbide sul viso.

Si aggiustò la scollatura, controllando che il seno abbondante non le fuoriuscisse dallo spacco profondo, provando certi movimenti da contorsionista.

Sbuffò sonoramente, arricciando le labbra in segno di rinuncia.

"Ross ti prego non mettermi pressione, non lo vedi che sono sul punto di fare un falò con questi?" esalò lei esasperata, prendendo tra le mani una pila di vestiti scartati che giacevano abbandonati sul pavimento.

"Vuoi davvero appiccare il fuoco ad un capo firmato Prada?" chiesi sconvolta, mettendomi a sedere.

"Quella giacca risale a due colleziono fa Ross, ormai è obsoleta!"

"Miranda Priestley ha ucciso per molto meno..."

"Chi?" chiese lei, strizzando le palpebre e guardandomi con un espressione incuriosita.

"Lascia perdere"

Non sapevo se essere più sconvolta dal fatto che Viola non conoscesse la terribile Miranda Priestley o per la sua volontà di dare alle fiamme un pezzo vintage dal valore inestimabile.

Scesi con un balzo dal letto matrimoniale.

Mi avvicinai a lei, togliendole dalle mani quella reliquia sacra, capolavoro dell'alta sartoria, per riporla nell'armadio lontano dalle sue improvvise manie da piromane.

Tornai a fissarla.

Viola aveva ripreso possesso dello specchio, ed era talmente vicina al vetro da sfiorarlo con la punta del naso.

Si stava torturando il labbro inferiore e gli occhi verde bottiglia erano velati dall'incertezza.

Conoscevo quello sguardo.

Lo stesso che avevo io, ogni qual volta mi riflettevo su una superficie lucida.

Il dubbio di non piacere agli altri, di non essere all'altezza delle aspettative.

Combattevo con quel sentimento da sempre, facendo quotidianamente a pugni con il mio aspetto.

Il naso troppo sproporzionato per i miei gusti, i capelli crespi ed indomabili, il seno grande, le cosce molli.

Dovevo tutte queste insicurezze ai miei compagni di scuola. Per tutto il periodo scolastico si erano divertiti sulla mia pelle, usando parole offensive e lasciandomi cicatrici invisibili dall'esterno ma, che continuavano tutt'oggi a dilaniarmi dall'interno .

Erano stati anni bui, in cui mi nutrivo delle loro dicerie sul mio aspetto e sul modo di vestire.

Ero cresciuta con mille dubbi e paranoie.

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora