XXXVI: "Il coraggio di avere paura"

291 39 381
                                    

L'aria gelida, impregnata di salsedine e aghi di pino, mi pizzicò il naso. Nascosi il mento nella sciarpa e mi strinsi ancora di più nel cappotto pesante. Caracollai al fianco di Rudy e cercai di tenere il suo passo svelto.

Il centro di Santa Margherita Ligure, pittoresco con le sue case tutte colorate era deserto e tranquillo. Superammo alcuni negozietti di souvenir, aperti nonostante la stagione non attirasse molti turisti, e scendemmo fino al porticciolo dove erano ormeggiate un paio di barchette da pesca. Rudy mi guidò fino all'ingresso di una vecchia rimessa.

"Siamo sicuri che sia legale entrare qua dentro?" chiesi titubante, guardandomi intorno.

"Sí, perché?"

"Lo sai vero che ripercussioni potrebbe avere sulla mia carriera se venissi arrestata per tentato scasso o violazione di proprietà?" sibilai, indicando il catenaccio e il cartello, che indicava il divieto di accesso alle persone non autorizzate, affisso sulla porta.

Rudy borbottò qualcosa sorridendo. Estrasse una piccola chiave dalla tasca interna del cappotto, fece scattare la serratura arrugginita e spalancò la porta.

"Andiamo piccola criminale, seguimi."

Gli presi la mano e la strinsi forte nella mia. Osservai per un momento quella stretta. Le mia mano era piccolissima e gelida in confronto alla sua. Le sue dita erano affusolate e arrossii al ricordo di quello che erano riuscite a farmi provare. Un calore familiare si sprigionò nel basso ventre, irradiandosi per tutto il corpo.

Varcammo la porta della rimessa. Rudy fece scattare l'interruttore per l'accensione delle luci. Le lampade a sospensione si accesero con un ronzio, illuminando l'intero locale di una luce biancastra. L'odore di vernice impermeabilizzante e di salsedine mi bruciò le narici, mentre seguivo Rudy in quel labirinto di acciaio. Esaminai l'ambiente circostante. Piccole e medie imbarcazioni erano ordinate in fila, silenti in attesa di giornate che fossero perfette per la navigazione.

Camminammo in silenzio, con il suono dei nostri passi che echeggiava nelle nostre orecchie, fino ad arrivare davanti ad una barca che si distingueva, dalle altre, per le sue dimensioni. Era più grande di qualche metro, bianca e a giudicare dallo stato in cui verteva era stata tirata a lucido di recente.

"Lucy" lessi ad alta voce il nome pitturato sullo specchio della poppa. Come la famosa canzone dei Beatles, Lucy in the Sky with diamonds. "Si chiama come tua madre?"

Rudy accarezzò quelle lettere, tracciandone il contorno. "Mio padre era un vecchio lupo di mare con un anima romantica."

"È la barca di tuo padre?"

"Lo era" mi corresse lui, con dolcezza. "L'ha lasciata a me. Ora che ci penso aveva anche uno spiccato senso dell'umorismo visto che sapeva perfettamente quanto soffrissi il mal di mare e di quanto desiderassi stare con i piedi ben piantati sulla terra ferma."

Mi morsi la lingua, maledicendomi per la mia mancanza di tatto nell'affrontare questo argomento così delicato per lui. Lo osservai attentamente, sul suo volto era calata un'ombra tetra e i suoi occhi verdi si erano velati di malinconia. Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato. Appoggiai la testa contro la sua spalla e aumentai la stretta intorno alla sua mano. Rudy sospirò rumorosamente e serrò per alcuni istanti le palpebre.

All'istante sentii un nodo formarsi in gola e fui costretta a schiarirla due volte prima di parlare con voce rotta dall'emozione. "Eravate molto legati, vero?"

Lui annuì. "Nonostante sapessi che non era il mio vero padre, ero più unito a lui che a qualsiasi altra persona. Lui riusciva a capirmi e ad apprezzarmi per quello che ero: Un bambino fragile ed estremamente sensibile che a quel tempo non era ben visto dagli altri abitanti del paese."

Ortica || ZerbisaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora