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Yerim raggiunge velocemente il loro appartamento e, ancora con le mani leggermente scosse dai tremori, raggiunge camera sua, accertandosi di chiudere la porta alle sue spalle e appoggiandocisi contro.
Lascia scivolare le borse a terra e si siede, confusa dopo ciò che è appena successo.
Non riesce a capire.
Non trova una singola ragione per la quale il ragazzo le abbia urlato contro.
Non capisce cosa possa aver fatto per farlo adirare in quel modo.

Cerca di calmarsi sistemando gli acquisti nell'armadio. Era così felice di aver preso qualche camicetta nuova e alcuni pantaloni eleganti, sicura che il suo capo sarebbe stato finalmente soddisfatto nel vedere ciò che avrebbe indossato, ma il suo entusiasmo era sfumato nel momento in cui aveva rimesso piede nel locale.

Se prima sentiva che le cose stavano iniziando ad andare bene, ora non è più così certa di aver fatto la scelta giusta ad affidarsi a lui così velocemente. Non solo lavorano insieme, ma vivono sotto lo stesso tetto. Pensava che il ragazzo, così posato, gentile e preciso, non si sarebbe rivelato essere così aggressivo, eppure quell'esplosione di rabbia l'aveva seriamente fatta preoccupare e, detta francamente, forse anche pentire di aver firmato quel contratto.

Dopo un po' qualcuno bussa alla sua porta e lei si irrigidisce sul posto.
'E se fosse Joshua?' si chiede.
"Yerim, sono io" si sente l'inconfondibile voce del suo capo dall'altra parte della porta, come temeva, facendole sgranare gli occhi. Il suo tono è calmo, sembra tutt'altra persona rispetto al ragazzo che aveva di fronte fino a qualche minuto prima, ma non è certa che sia davvero così. Potrebbe star aspettando che esca per riprendere con l'interrogatorio.
"S-sì?" chiede lei titubante, senza avvicinarsi alla porta.

Joshua, dall'altro lato, sbuffa e poggia una mano sulla porta di fronte a lui, poggiandoci la fronte. Odia doverlo fare, ma se non lo facesse si sentirebbe peggio, perciò prende coraggio "Volevo porgerle le mie scuse, prima non avrei dovuto rivolgermi a lei in quel modo. La prego di perdonarmi".
Parlandone con gli altri ragazzi, si è reso conto di aver esagerato. Sebbene abbia agito con le migliori intenzioni, la situazione è degenerata per colpa sua e si è comportato in un modo che nemmeno gli appartiene.
Non ha giustificazioni.

La ragazza resta in silenzio dall'altra parte della porta, ripetendosi nella mente incredula ciò che ha appena sentito. Non si aspettava che il capo sarebbe venuto a scusarsi, tanto meno che gli sarebbe bastato così poco tempo per venire da lei.
Si avvicina lentamente alla porta, passo dopo passo, portando la mano sul pomello della maniglia.
Ci sono solo due opzioni, o si è sinceramente pentito oppure quelle scuse non sono sincere come vuol far credere, ma sono solo una mera giustificazione per poter andare oltre.
Non è sicura nemmeno lei di ciò che sta per fare, però decide di fidarsi. Non sa nemmeno lei perché, ma sente che è la scelta giusta, così abbassa lentamente la maniglia e prende un respiro profondo prima di aprire la porta.

Joshua rischia di scivolare nel momento in cui viene a mancare il suo appoggio, facendola spaventare quando lo vede quasi cadere ai suoi piedi per colpa sua.
"Scusi signore!" non tarda a esclamare lei "Non sapevo fosse appoggiato!"
Lui ridacchia nel vederla preoccupata per così poco "Non preoccuparti, sto bene" rendendosi conto solo in seguito di averle dato del tu. Si schiarisce la voce, tornando alla sua solito compostezza "Sono io che devo farle le mie scuse".

Lei tiene la testa bassa sulle sue mani "Non importa signore", non trattenendosi tuttavia dal chiedere "Cosa... cosa temeva che stessi facendo signore?"
Era evidente che l'aveva preoccupato la possibilità che lei avesse fatto qualcosa nello specifico, ma non era riuscita a capire cosa.

Joshua non sa come rispondere a quella domanda. Non vuole lasciare traccia di dubbio in lei, ma allo stesso tempo non può dirle la verità altrimenti la loro copertura potrebbe saltare. E, dopo quegli anni di fatiche per tornare ad avere una vita quasi normale, qualcosa a cui aggrapparsi, non è disposto a lasciarlo accadere.

Pensa alla prima cosa che gli viene in mente "Temevo se ne fosse andata" risultando più sdolcinato di quanto volesse, infatti non gli sfuggono gli occhi spalancati della ragazza. Si affretta ad aggiungere "Sa, ho davvero bisogno di qualcuno che mi aiuti qui al locale" allentando la tensione fra di loro "Perciò, non trovandola, ho pensato che avesse deciso di andarsene a lavorare altrove".

Yerim si rilassa a quella risposta, non che si fosse fatta chissà quale strana idea, ma quelle parole le erano suonate fin troppo strane "Capisco, non me ne andrò comunque, se è questo che la preoccupa" pensando 'Non avrei altro posto dove andare in ogni caso'.
Il ragazzo sorride e le propone "Se abbiamo risolto, può venire con me in cucina per aiutarmi con il pranzo. Qui in casa ci dividiamo i ruoli come avrà notato, e ora toccherà anche a lei contribuire".
Lei annuisce e lo segue in cucina, dove preparano il pranzo insieme seguendo le direttive del ragazzo, sempre senza proferire parola come loro solito.

Jun li raggiunge appena finisce il turno e si raccolgono attorno al tavolo al centro del salotto.
Notando le loro espressioni rilassate, chiede sollevato "Allora, avete risolto voi due?"
Loro annuiscono, in particolare il ragazzo risponde "Sì, abbiamo chiarito" e lei concorda, facendo sorridere il minore. Cominciano a mangiare e Joshua decide di prendere la situazione in mano, anche se è consapevole che vuol dire rischiare di far esplodere la bomba, ma le chiede comunque "Yerim, lei ha famiglia?"

A Jun cadono le bacchette mentre un boccone gli va di traverso, nella stanza riecheggia solo il suono dei suoi colpi di tosse che cerca di placare bevendo un po' d'acqua. Se Yerim è sorpresa da quella domanda, negli occhi di Jun si può leggere il puro shock.
Non riesce a capire dovere voglia andare a parare l'amico, infatti interviene "Hyung, non credo che..." ma lei lo ferma "Non c'è problema Jun".

La ragazza volge poi l'attenzione al suo capo, rispondendogli "Sì, ho una famiglia, ma abbiamo perso i contatti".
"E per quale ragione?" continua Joshua, incurante di risultare offensivo, e lei non si fa problemi a rispondere sinceramente "Dopo aver perso mia madre quando ero piccola, mio padre mi ha mandata a studiare in America perché credeva fosse meglio allontanarmi dal ricordo di lei, voleva che crescessi senza il dolore della sua mancanza e pensava che studiare in America mi avrebbe offerto più opportunità. All'inizio veniva a trovarmi di tanto in tanto, quando il lavoro glielo concedeva, ma le sue visite sono diventate sempre meno frequenti e all'improvviso ha smesso di venire. Mandava giusto i soldi per mantenermi ma non si è più fatto vedere e, anche se volevo vederlo, mi ha sempre impedito di tornare in Corea da lui".

I ragazzi restano in silenzio sentendo la sua storia.
Sembra stia dicendo la verità, eppure Joshua non riesce a smettere di dubitare delle sue parole "Eppure... ora si trova qui".
A Yerim scappa un sorriso amaro "Già... sentivo che lo dovevo a mia madre".

"A tua madre?" chiede Jun incuriosito, intervenendo finalmente anche lui in quella conversazione. Non avrebbe chiesto nulla se Joshua non avesse iniziato quella conversazione, per di più notando la sua espressione evidentemente provata dell'argomento, ma, se non approfittano di quel momento per ottenere qualche informazione, potrebbero non averne altri a breve.
"Sì, mio padre non mi ha mai detto molto di lei. Io ero piccola perciò ho pochi ricordi di lei, ricordo che papà spesso mi lasciava con le domestiche per andare da lei in ospedale perché era malata e un giorno mi ha detto che non c'era più bisogno di andare. Crescendo ho cercato di capire meglio cosa fosse successo, ma me lo ha sempre impedito, e dall'America potevo fare poco o nulla perché nessuno sembrava volermi aiutare".

Joshua allora domanda confuso "Aspetti, ma quindi... ho capito bene? Suo padre non sa che lei si trova in Corea?"
Lei ridacchia fra sé e sé "Esatto, non gliel'ho detto... ma sarei stupita se non lo avesse ancora scoperto. Ha connessioni di ogni genere,mi sorprende non abbia ancora mandato qualcuno a prendermi per riportarmi da lui, o peggio ancora in America".

I ragazzi riflettono su ciò che Yerim ha appena raccontato loro.
Non sanno se la ragazza stia dicendo la verità, ma potrebbe non essere una bomba a orologeria.
O forse sì, ma non nel modo che temevano loro.
Potrebbe rivelarsi un'arma della quale sono loro a impugnare il manico.

Resta solo un dubbio... possono davvero fidarsi di quello che hanno appena sentito?

Shadow • SVTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora