𝐓𝐫𝐞𝐧𝐭𝐚𝐬𝐞𝐢

229 13 0
                                    


Jimin guarda l'orologio sulla scrivania.
Le due e quaranta. Manca poco più di un'ora alla riunione. E loro non sono ancora pronti.

«Allora, ragazzi? Come andiamo?»
Mina arriva di corsa al tavolo e gli fa vedere un nuovo schizzo.
Jimin lo guarda. Una ragazza tiene la luna come se fosse un palloncino. Non va bene assolutamente. E tutto meno che nuovo.
E meno che mai sorprendente.
Jimin è distrutto. Depresso.

Ma non lo deve far vedere.
Si mostra sicuro e tranquillo.
Per non lasciarsi sfuggire di mano la situazione. Sorride a Mina.

«E buono.» Anche Mina sorride. «Ma ancora non ci siamo...»
Mina si accascia. Le sparisce immediatamente il sorriso. Velocemente. Troppo velocemente. Forse anche lei, sotto sotto, lo sapeva
che ancora non c'erano.

«Ci vuole qualcosa di più... di più...»>
Non trova neanche la parola adatta per esprimere quello che vorrebbe.
Ma Mina sembra avere un'ottima intesa con lui. «Si, ho capito... Ci provo.»

Jimin si affloscia quasi sulla sua sedia in pelle. Arriva Yeji.
«Ho fatto qualche altro logo.»

Jimin apre distrattamente la cartellina e guarda quei fogli.
Si, non sono male. Vari colori accesi, illuminati, allegri, ma se non c'è l'idea, a che serve un buon titolo?

«Non sono male, brava.»
Yeji lo guarda perplessa.
«Continuo?»

«Si, cerca di dare attraverso la scritta il sapore del cioccolato, della cannella, del lime...»
«Non è facile senza il disegno del prodotto, ma ci provo.»
«Si, vai.»

È vero. Lo sa anche lui. Senza una vera idea non si va da nessuna parte. Proprio in quel momento suona l'interfono. È Donatella,
la centralinista.

«Si?»
«Mi scusi, dottor Park, ma c'è...»
«Non ci sono, sono fuori. Non so neanche se tornerò. Sono partito. Ecco, sono andato sulla luna» e chiude l'interfono troncando
ogni possibilità di comunicazione.

E che cavolo! E non è lo slogan. Ci sono dei momenti sacri. Uno in quei momenti non va disturbato. Se poi quei momenti sono drammatici, ancora peggio. Non si esiste per nessuno.
E che cavolo! Guarda l'orologio.
Sono le tre e un quarto. Non ce la faremo mai. E dire che ieri pensavo proprio di farcela.

Cavoli, non dovevo uscire. Al mare, poi, a
vedere quelli che facevano surf, e il pranzo da Mastino, e regalati del tempo... E già, e a me ora chi me lo regala il mio posto di lavoro?
Mannaggia a me e a quando ho dato retta a una diciassettenne. Jimin improvvisamente guarda il telefonino. Nessun messaggio.
Cioè, non ci posso credere. Non mi ha neanche chiamato. Niente. E meno male che mi doveva salvare, darmi l'idea. Te la trovo io, tranquillo.
Prendeva appunti, chiedeva, pensava. E invece niente. Non si è fatta viva.

Poi per un attimo gli vengono in mente i gelsomini e tutto il resto. E quasi se ne vergogna. Ma che volevi da una diciassettenne, Jiminie? È libera. È senza impegni. E con una vita davanti. Magari si è già dimenticata di te, dei gelsomini... perfino dell'incidente.
Ma è giusto così. Però... non ci rimetto nulla a provarci. Prende il telefonino e inizia a scrivere.

"Ciao Yn... Tutto bene? Hai fatto un incidente con qualcun altro? Ti devo venire a salvare?"

Poi ci pensa un attimo.
Ma sì, me lo aveva detto lei.

"Mi vuoi mandare una delle tue belle idee?..."

Poi sorride, meglio essere carini.

"Ne sento la mancanza. Un'idea al profumo di gelsomino."

E ci metto pure un bel punto esclamativo.
Poi cerca il nome in rubrica, lo trova. Yn.
Lo seleziona, compare il numero e preme invio. Aspetta qualche secondo. Messaggio inviato, Jimin prende il telefono e lo appoggia
sul tavolo. Poi lo fissa. Un secondo, due, tre. Improvvisamente il telefonino si accende.
Un messaggio ricevuto, Jimin clicca il tasto
"'visualizza"

𝐒𝐜𝐮𝐬𝐚 𝐦𝐚 𝐭𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 | 𝐏.𝐉𝐌 𝐱 𝐑𝐄𝐀𝐃𝐄𝐑 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora