. 1 . Vecchie cicatrici e nuove ferite
Lo scafo del piccolo mercantile solcava leggero la acque dense e scure dello stretto.
Il vento di nord-est ne gonfiava le vele rosse, come ciliegie mature di sole; il cielo, tinto di metallo, premeva sulla superficie del mare rendendolo una lastra plumbea, che la sua prua tagliava in due di netto.
Il profumo del sale che impregnava la camicia del capitano, penetrava le narici, attente ad ogni minimo cambiamento del vento.
Quella spedizione azzardata ed illecita avrebbe fruttato quanto il lavoro onesto di dieci vite: il contrabbando di alcool rendeva quasi quanto quello delle armi, ma eludere le navi della milizia era più facile con un carico come quello e una barca così piccola che nessun uomo sano di mente e minimamente esperto di mare, avrebbe destinato a quella traversata incerta e pericolosa.
Lo stretto era regolato da correnti infide ed aggressive, così incostanti da mutare repentinamente, come il volo di un piccolo insetto deviato dal vento nuovo. Soltanto le navi mercantili più robuste ed avvezze alle grandi traversate solcavano quelle acque, trasportando le merci dall'oceano aperto, che lambiva le terre più lontane, al bacino interno, sul quale le più grandi città del regno facevano mostra delle loro ricchezze.
Ma Eìos conosceva il mare al pari di un vecchio amico.
Ne preveniva i cambiamenti dalle lievi, impercettibili increspature sulla superficie; ne intuiva l'umore dal brontolio sommesso che risaliva dalle sue profondità; dal profumo cangiante della spuma che sfrigolava lungo il vecchio scafo. Ne ascoltava le confessioni nelle notti nere, quando le stelle erano l'unico lume per segnare la via ed ad esso affidava le proprie, in un sorso di vecchio rhum ed una boccata all'aspro sigaro, esattamente come ad un buon confidente silenzioso.
Ricordava ancora la prima volta che era andato per mare.
A dodici anni, con le braccia ossute e deboli di un ragazzino di buona famiglia, aveva preso il largo su di un mercantile che era stato la sua casa per mesi. Ricordava la prima tempesta, l'orrore della morte gelargli le ossa; l'acido che dallo stomaco gli invadeva la bocca, mescolandosi alla saliva; lo scricchiolio sinistro sotto coperta e la furia degli elementi sul ponte. Ma al contempo, non avrebbe mai dimenticato il rollio rassicurante dello scafo sul mare calmo; lo sciabordio delle onde, come una vecchia nenia; l'abbraccio tra cielo e terra, come la stretta di due amanti sotto la luna.
Amava il mare, Eìos poiché esso era egli stesso allo specchio: infido e silenzioso; feroce ed arrabbiato; profondo e generoso; infinito e sincero.
Amava il mare e non l'avrebbe mai temuto, come non avrebbe mai temuto la forza sommessa della sfida alle regole, che gli solleticava vene e palmi delle mani; l'adrenalina incontrollabile dell'illegalità, che lo rendeva forte e capace; la strategia congegnata della fuga; il selvaggio piacere della lotta.
Eppure, quella volta, dietro la spedizione che aveva azzardato, c'era dell'altro, un vento nuovo che soffiava forte come l'uragano in mezzo al mare: c'era un viso, un corpo; la promessa di un sentimento sconosciuto; il possesso ed il desiderio; il silenzio agognato della propria anima che da sempre urlava e piangeva.
C'era la sua donna.
Sorrise Eìos, nel pensare a lei, agli occhi neri come olive ed alla pelle baciata dal sole. Il petto fasciato dalla camicia di bisso, bagnata di mare, si animò nel ricordare i sospiri del corpo nudo di lei sotto le sue mani e le sue promesse eterne strappate con i baci.
L'avrebbe aspettato per amarlo, senza remore o falsi pudori, né rispetto per le convenzioni; senza timori né imbarazzo per le diversità sociali. L'avrebbe amato e gli sarebbe appartenuta, corpo perfetto ed anima impudica.