. 43 . L'ultimo conto da pagare

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. 43 . L'ultimo conto da pagare

L'avevano informato che era tornato, che il processo per scagionarlo dalle accuse artefatte si sarebbe tenuto di lì a pochi giorni.

Gli avevano detto che dormiva nel proprio letto con sua moglie, come se nessuna tragedia l'avesse mai sfiorato. Né la prigionia, né il duello o le fiamme con le quali gli aveva bruciato la barca e il futuro in un luogo lontano e sicuro; nessuna delle trame ordite, neanche una banconota del proprio denaro, usata per fabbricare le accuse e consumare lentamente la sua rivoltante esistenza traditrice, l'avevano scalfito.

Era tornato nello stesso luogo, nella stessa vita di prima, con più forza e più arroganza.

Egli era come la mala erba: il contadino la strappa, la brucia, ma essa torna ad infestare messi e prati, ne mangia il concime, ne beve l'acqua e prolifera indisturbata, verde e brillante.

Doveva accettarlo, non poteva che rassegnarsi.

Eppure non trovava pace.

"La pace sta nel perdono", diceva una voce cigolante nel suo cuore, ma la mente era ancora troppo annebbiata per concedersi al perdono.

- Signore? -

La voce di Saurion lo fece sobbalzare.

- Signore ... - ripeté, - Mi avevate assicurato il danaro per le paghe ... - gli ricordò, - I braccianti sono allo strenuo, signore. Questo mese non sono ancora stati pagati e così i creditori. -

- Parlane con mia madre. -

- L'ho già fatto ... Il mese passato e quello prima ancora ella se ne fece carico con i propri denari. -

- Lo faccia anche questo mese, giacché tiene così tanto a questi sterpi ... -

- Ma, signore, ella non possiede più liquidità! Siamo ad un passo dalla rivolta, padrone. -

Miran gli rivolse uno sguardo vacuo, assonnato, così lontano da quello dell'uomo che era stato il suo padrone, che Saurion fece un passo indietro, intimorito.

- Che facciano ciò che vogliono, che si rivoltino e brucino e protestino armati di forconi. Non mi importa più! -

- Signore, vi prego ... -

- Questa terra è maledetta, io sono maledetto. - lo interruppe, come se la preghiera del servo non fosse mai giunta alle proprie orecchie, - Che tutto bruci, Saurion ... che bruci tutto! - concluse, con un filo di voce e il bicchiere ormai vuoto in mano.

Il servo chinò il capo sconfitto e a passi lenti uscì dallo studiolo, lasciandolo solo a macerarsi.

Ma non passarono che pochi minuti che un chiasso assordante minò il silenzio della casa.

Fuori era già buio, solo verso ovest, dietro le colline, si attardava ancora il cielo rosso di un tramonto invernale. Sembravano le fiamme di un incendio devastante, che invece di dissolversi col passare dei minuti si espandeva sui declivi, con scintille guizzanti, fino ad invadere i campi.

Guadagnò la finestra, strizzò gli occhi, lucidi e infiammati dalla stanchezza e dall'alcool, e mise a fuoco il viale lastricato che conduceva alla casa.

Un serpente di uomini e donne, si allungava dall'imponente arco in pietra, fino all'ingresso.

Le fiaccole che ardevano nelle loro mani, illuminavano i volti scarni, irruviditi dal sole e dalla fatica; brandivano bastoni e mormoravano e le donne si portavano attaccate alle gonne marmocchi mal vestiti.

Erano i suoi braccianti e le loro mogli e i loro figli, quelli che lavoravano per lui da che erano nati e dei quali Miran si era infischiato, poiché la fame di vendetta che gli rodeva l'anima esigeva maggiore cosiderazione di quella che attanagliava loro lo stomaco.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora