. 39 . Lupi e agnelli, falchi e colombe
Patnarak non era minimamente cambiata: ogni cosa giaceva immota al suo posto di sempre; case, vicoli e palazzi sembravano ritratti in un dagherrotipo dai colori sbiaditi dell’inverno, così come i suoni dalle strade, dall’interno delle botteghe o dalle banchine del porto parevano provenire dalla tromba di un grammofono che riproduce la musica incisa, accompagnata dal leggero fruscio della punta sul disco.Avrebbero potuto arrivare di notte, nascosti nel buio, invece avevano fatto un’entrata trionfale, come un condottiero romano e il suo luogotenente, di ritorno dalla fatiche conquistatrici della guerra ai barbari.
Erano entrati dalla porta di nord-est, nel pomeriggio, poco dopo il rintocco della quarta ora, esibendo il lasciapassare che il legale gli aveva fatto avere; erano stati scortati fino alla gendarmeria, tra il chiacchiericcio incredulo dei passanti e le voci che erano rimbalzate di bocca in bocca, fino a giungere alle orecchie del vecchio Elmisk, prima ancora che il comandante Kuvee, se lo trovasse davanti, fiero e impettito e con l’assoluzione a portata di mano.
- Chi avrebbe detto che ci saremmo incontrati di nuovo, io da uomo libero e voi ancora con le vostre mostrine sul petto! – lo salutò Eìos, irriverente e spavaldo, poggiando i palmi aperti sullo scrittoio del comandante.
- Non siete ancora un uomo libero, non fino al processo. – gli fece notare l’altro, senza guardarlo negli occhi e pulendo le lenti tonde dei suoi occhialini.
- Devo ritenerlo un avvertimento, comandante Kuvee? –
- Dico solo che la giurisprudenza è piena di cavilli insidiosi: le patrie galere sono piene di innocenti mal giudicati … - lo avvertì, come se sapesse che in serbo per lui la sorte aveva ancora qualche colpo basso da sferrare.
- Da un soldato, non mi sarei mai aspettato tanta sfiducia nella legge. Credevo che per dimostrare l’innocenza di uomo bastassero, prove inconfutabili, un buon avvocato e la probità delle istituzioni. -
- E così sarà! Se siete innocente come il vostro legale afferma, se le prove sono davvero inconfutabili e voi siete un agnello braccato dai lupi … allora il giudice di certo vi assolverà. – lo provocò, - Intanto fatevi un favore: rigate dritto! – aggiunse, assumendo il fare spavaldo che la sua posizione gli consentiva.
- Anche voi, Kuvee, rigate dritto e badate che ora so da quali lupi guardarmi e che io non sono mai stato un agnello! – rispose per le rime, con gli occhi puntati in quelli del soldato e un angolo della bocca piegato in un sorriso minaccioso e sicuro.
Betel in piedi, appoggiato allo stipite della porta dell’ufficio del comandante, trattenne un sorriso, nel vedere la faccia del soldato sbiancare per effetto della velata minaccia.
Era lampante che Eìos sapesse o, quanto meno, sospettasse del suo ruolo in quella sporca faccenda.
Non aveva alcuna prova che fosse stato lui ad architettare il piano, o di certo, quel bastardo non si sarebbe limitato alle minacce.
Questa costatazione lo rasserenerò: almeno fino a che Eìos non si fosse incaponito per averne la certezza, poteva sentirsi al sicuro.***************
- Padre! -
- Figlio mio ... - lo accolse stringendolo, - Quale uomo probo devo essere stato in un'altra mia vita, se la sorte mi concede di averti sano e salvo di nuovo tra le mie braccia! -
- Se voi, così onesto, vi ponete un simile dilemma, io devo essere stato un martire o un santo o un eroe, per avere meritato in questa vita tanto affetto da un uomo come voi ... -
- La sorte ci premia entrambi, allora. - gli sorrise, tenendogli stretta ancora la mano tra le proprie. - Betel ... - chiamò, poi rivolgendosi all'arabo rimasto testimone muto del loro abbraccio, - Come stai? -
- Come mi vedete, dottore: stanco, apatico e grasso come un soldato al bivacco. -
- Mesi duri per tutti Betel. Ma l'attesa è finita, così pure la latitanza, e presto anche il cuore malandato di questo povero vecchio potrà riprendere a battere regolarmente. - lo rassicurò, accomodandosi sulla poltroncina accanto al camino.
- Non vi ho dato altro che palpiti, padre, da quando vi ho conosciuto. - constatò con rammarico per tutti i colpi di testa, le follie e le preoccupazioni che gli avevano aggravato il peso degli anni.
- Non ti fare una colpa, Eìos anche dei miei acciacchi. Vivo ormai gli anni del crepuscolo: i dolori alle ginocchia, i reumatismi sono solo sintomi evidenti dell'età. – cercò di sollevarlo dalle colpe che Eìos si sentiva addosso.
- Non siete così vecchio, siete solo stanco della vita tribolata che avete vissuto a causa della vostra professione, della perdita dei vostri affetti e ... a causa mia. Ma vi giuro, padre, che queste sono le ultime sofferenze che patirete per me. Quando tutto sarà risolto, non accetterò più provocazioni ... Facciano ciò che vogliono del nome e della rispettabilità, si prendano pure tutto, mi lascino solo la mia vita e l'occasione di vivere serenamente! -
- Con Ariela? - chiese, quasi timidamente.
- Che sapete di lei? - ribatté.
Per tutti i mesi che le era stato lontano, non aveva voluto neanche che Elmisk scrivesse il suo nome nelle lettere che si scambiavano. Sapere di lei, della vita che conduceva, della rabbia o della delusione, della sofferenza o dell'odio che forse provava per essere stata abbandonata l'avrebbero ferito reiteratamente, sarebbero stata una piaga e, come per un malato, l'avrebbero indotto a cercare la cura.
E per Eìos la cura era la cagione stessa della propria malattia: la distanza da Ariela.
- Esce piuttosto raramente, solo per la messa del mattino e la spesa al mercato. L'ho incontrata una decina di giorni fa all'uscita della messa, il giorno dell'Immacolata. Era pallida e di poche parole. -
- Non vi chiese ... non vi ha mai chiesto di me? -
Il vecchio scosse la testa, poi appoggiò il mento sulle mani strette intorno al pomolo del suo bel bastone di legno di rosa e con un sospiro aggiunse: - Cosa credevi, che piagnucolasse come una donnetta sedotta e abbandonata? Tua moglie è una donna forte e schiva, dignitosa anche nella sofferenza. -
Sì, Ariela era forte abbastanza da sobbarcarsi con dignità quella sofferenza che a lui, di contro, attorcigliava membra e pensieri. Non era vero ciò che le aveva sputato addosso per guadagnarsi la fuga: tra i due, paradossalmente, la più forte era lei, nonostante sembrasse fragile e indifesa, nonostante avesse avuto una vita tranquilla e senza grandi vicissitudini. La più forte era lei perché sapeva accettare ciò che veniva, perché affrontava ogni scompiglio, ogni avversità con lucidità e con la consapevolezza di aver dato tutta sé stessa.
Eìos invece, si infervorava, si stancava, annaspava e dibatteva mani e gambe come un naufrago che sta annegando e invece di galleggiare sostenuto dall'acqua, aspettando che le forze ritornino, va a fondo come trascinato da un'ancora.
- E voi non avrete di certo creduto che io avrei rinunciato a lei? Perché credete che abbia fatto tutto questo: fuggire; mettere tutto nelle mani di un avvocato; seguire lentamente le vie legali per uscire da questo groviglio e poi tornare? Non certo per vedere la mia fedina penale immacolata! Io sono un bandito, padre, sarò sempre un bandito, per quelli come Miran e sua madre, per Kuvee e per tutti gli onesti bugiardi, io resterò comunque un bandito. Sarei potuto rimanere dove sono stato finora, con l’accusa di contrabbando sulla testa o una condanna a vita, per quello che conta. E’ per lei che sono tornato, solo perché l’amo e una vita senza non la voglio; senza di lei non voglio libertà, né fiato … - infilò le parole una dopo l’altra senza respirare, come se le avesse tenute dentro per troppo tempo, rischiando di esserne soffocato.
- Non sarà impresa semplice, figlio mio! Ariela è orgogliosa e fiera e tu l’hai ferita: non accetterà il tuo ritorno solo perché ti ama. – lo mise in guardia.
- Lo so! Ma io sono testardo e non sono abituato a perdere, soprattutto se ne va della mia sopravvivenza! – replicò, con negli occhi la scintilla della fida alle avversità.
- Ti ci vorranno tutte le energie che possiedi per quest’impresa. – sorrise il vecchio, che aveva già colto tutta la forza incosciente che si generava nel figlio ogni qualvolta la sorte lo sfidava.
Più difficile l’impresa più grandi le risorse, più ardua la risalita, più grande l’impegno.
– Sarete stanchi. - disse, sollevandosi e guardando prima l’uno e poi l’altro, con premura paterna, - La vostra stanza è pronta: lenzuola pulite, coperte calde e … – aggiunse, facendo loro strada verso il piano nobile della sua piccola casa, - … una finestra sul mare d’inverno. – terminò come se sapesse quanto il fragore, l’odore e l’immensità dell’oceano fossero mancati durante l’esilio.
- Non mi avevate detto che avremmo dormito insieme. – finse disappunto Eìos, storcendo la bocca.
- Non fare lo schizzinoso, sono la compagnia notturna ideale: non russo, non parlo nel sonno e soprattutto occupo poco spazio! – ribatté Betel, sghignazzando alle sue spalle.
- Con quella stazza? E comunque, se proprio dobbiamo … - gli resse il gioco, - Non montarti la testa: letti separati! –