. 19 . Prima di partire

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.19 . Prima di partire .

Il cielo era nero, un enorme, smisurato soffitto grondante di pece; né stelle, né luna a puntellarne i margini, solo cumuli-nembi, densi e grandiosi, scuri portatori di pioggia violenta e lampi. Il mare, specchio perfetto del cielo, era gonfio e arrabbiato: brontolava, come un vecchio in disaccordo con il suo interlocutore, rispondendo, con i moti delle sue onde spumose, agli urli del vento.
- La burrasca si avvicina. - annunciò, richiudendosi alle spalle la porta della loro camera, - Temo che il lavoro certosino che hai fatto in questi giorni in giardino, sarà spazzato via in pochi minuti di tempesta! - osservò, guardandola dispiaciuto.

Ella sedeva sullo sgabello davanti alla toletta, i capelli raccolti in una lunga coda, che le scorreva lungo la spalla, nascondendole un seno, fino ad accoccolarsi sul ventre; la camicia da notte di seta le scopriva la schiena nivea, mettendo in risalto gli anelli della colonna vertebrale, fino all'osso sacro, coperto da un nodo di organza bianco. L'immagine del viso si rifletteva nello specchio ovale, illuminato solo da un lato dalla luce tremula del candeliere: le ciocche ondulate dei capelli si accendevano di bagliori rossi e dorati, come foglie d'autunno, le gote si coloravano di riflessi intermittenti e gli occhi erano spilli, con il capo di zaffiro lucente.
- Poco male ... - rispose, con una smorfia della bocca, mentre si pettinava con una spazzola d'argento cesellato, - Avrò di che impegnarmi, per il tempo in cui starai via. - mugugnò, con una nota di disappunto nella voce.
Eìos le si avvicinò, fermandosi in piedi alle sue spalle e, continuando a guardarle gli occhi riflessi nello specchio, spiegò: - Due settimane sono lunghe ... saranno lunghe anche per me, lontano da questa casa. Ma non potevo negarmi alla richiesta di mio padre di sostituirmi a lui nella trattativa per la vendita di quelle sue terre. La provincia di Agharr è lontana e il tragitto difficoltoso e stancante per un uomo della sua età. Io stesso sarò costretto a diverse soste ... - precisò, facendola voltare ed inginocchiandosi davanti a lei.
- Mi mancherai ... - gli sussurrò, con un mezzo sorriso triste, poggiando i palmi aperti delle mani sul dorso di quelle di lui, che le carezzavano le cosce.
- E tu mancherai a me ... - la rassicurò, divaricandole leggermente le gambe, per poter avvicinare il più possibile il proprio corpo al suo. La baciò con la delicatezza che era solito dedicarle: per prima la bocca, come se su di essa giacesse il balsamo che avrebbe alleviato la mancanza l'una dell'altro; proseguì giù per il mento e poi lungo la gola, lasciando tracce umide del proprio passaggio e piccoli morsi pungenti; risalì, a ritroso, per l'unica, sola via conosciuta, con baci sanatori, quasi fosse, al contempo, carnefice e salvatore della sua stessa vittima. I denti affondavano leggeri nella trama sottile della pelle, mentre la lingua e le labbra ne chetavano il sottile dolore, lasciandosi dietro morbida carne arrossata e sospiri di assenso.
Lasciò infine libertà alle proprie mani, perché, indipendenti, risalissero contro corrente, sulle cosce tese e gravate dal loro peso insistente. Esse raggiunsero i fianchi; i pollici indugiarono sulle ossa iliache, cercandone le prominenze sporgenti sotto la carne, mentre le altre dita affondarono nelle rotondità, appena pronunciate delle natiche.
La tempesta si avvicinava con tutta la sua furia molesta: i lampi tagliavano le nubi dense e nere, tuffandosi nel mare tormentato e scosso da onde spumose; i tuoni inseguivano i loro predecessori elettrici, con la propria voce roca e allarmante, mentre il vento sgusciava tra i rami e sotto le imposte serrate.
Piovevano gocce fredde di acqua quasi cristallizzata, pesanti come piccole noci, strappate al ramo ancora nel mallo. Tutto si muoveva frenetico fuori: ciascun elemento della natura lottava con tutti gli altri, in uno scompiglio che travolgeva ogni spicchio di terra intorno.
Ma dentro la loro stanza, sebbene un'altra burrasca imperversasse con ancora più furia, ogni gesto, ogni respiro, ogni sussulto si susseguivano in un'armonia perfetta e coinvolgente, come le note su di uno spartito.
- Donami, ogni cosa di te. - la pregò, come un credente sull'inginocchiatoio, - Dammi tutto di te ... - insistette, le parole mescolate ai baci, le dita a frugare tra le pieghe delle vesti, alla ricerca della pelle ancora celata.
Ella non parlava, come se l'aria, che entrava ed usciva affannosa attraverso la gola, le impedisse di farlo, anche se una frotta di parole confuse le si accalcavano nel cervello. Sfiancata dal desiderio, annuì, lasciando che al gesto si accompagnasse un sì flebile e frammentato dai suoi stessi canini, che affondavano nelle labbra.
Il gesto ed il monosillabo furono sufficienti, anzi, furono come la corda salvifica che si lancia all'uomo caduto in mare: le mani risalirono lungo i fianchi, scontrandosi con le costole che sporgevano ad ogni contrazione del respiro di lei; si fermarono sotto i seni, racchiudendone la base nell'incavo tra pollice ed indice, finché la bocca venne loro in soccorso. Prese possesso di uno di essi e, attraverso la stoffa sottile, segnò un percorso lentissimo, come una spirale, dalla base alla punta. La trama del tessuto si impregnò di saliva, rendendosi trasparente, come una pellicola, ultimo baluardo prima dell'assalto finale. L'altro seno cadde prigioniero della sua mano, che lo circondò e ne contenne l'intera sua rotondità, fino a che le punte insoddisfatte delle dita ne cercarono abili il vertice.
I polpastrelli ne assaporarono il turgore dei nervi, mentre irradiavano l'intero seno con sottilissime scariche, guizzanti come serpenti elettrici.
Il ventre di lei si sciolse, burro accanto ad una fiamma, e la costrinse ad affondargli le dita tra i capelli nerissimi, accompagnando i suoi movimenti. Chinò gli occhi sul proprio petto e ammirò le dita di lui, mentre cambiavano forma al suo corpo, così come si lavora la creta morbida e malleabile. Il viso le si infiammò, non di imbarazzo o pudicizia, solo di purissimo piacere, che le rimescolò il sangue, colorandole la pelle, e spingendola sull'orlo invitante di un abisso.
La tempesta, intanto, era ferma e rumorosa sopra le loro teste, lanciava, alla ricerca del proprio sfogo, uno dopo l'altro, lampi e tuoni, come fossero dadi su di un tappeto.
Le labbra abbandonarono il seno ed ella rabbrividì per il vuoto che esse avevano lasciato, come chi, all'improvviso, incontra il freddo invernale a piedi nudi e senza vesti. Giunte sul ventre teso, la lingua corteggiò l'ombelico; le mani cercarono l'orlo della camicia, ne accompagnarono la seta fino alla vita, lasciando inguine e cosce nude e tremanti alla propria mercé. Poi le dita affondarono nella carne delle natiche, spingendo l'intero suo corpo sul bordo dello sgabello, le divaricarono le gambe ed egli riprese a baciarne la pelle: le ginocchia, l'interno delle cosce, dove le membra si ammorbidivano, fino a che il suo percorso giunse al limite di esse, al traguardo seducente che la propria bocca non aveva ancora doppiato.
Fu la risalita attraverso il greto del fiume alla ricerca della foce; fu entrare nel luogo sacro da cui esce la vita.
Un languore molle le prese ogni senso, già dilaniato dai baci e dalle carezze senza scrupoli; ella strinse con le mani i bordi dello sgabello su cui sedeva, quasi le fosse necessario un appiglio in quella caduta a precipizio verso quel piacere denso, che non assomigliava a nulla di già provato, e si lanciò.
Un tuono rombò fuori dalle imposte, nell'istante esatto in cui ella toccò il fondo; coprì i suoi respiri spezzati, mentre la scarica elettrica della burrasca, che cominciava a dissipare la propria furia, sembrò percorrerle ogni nervo, dal centro esatto del corpo, fino alla radice dei capelli, come fosse la sua carne conduttrice di quella energia strabiliante e calda.
Le mani di lui la sostennero, stringendola per i fianchi, aiutandola nella risalita; il corpo le si insinuò veloce tra le gambe, affinché il torace aderisse al petto confuso di lei; la sua bocca soffiò nell'altra il respiro che sembrava mancarle e la lingua rinfrescò le labbra, arse dai respiri concitati. Ella gli cadde così tra le braccia, spossata, ancora stordita e umida del proprio desiderio.
La strinse forte, avvolgendola con le braccia, affinché la tensione scemasse in onde sempre più piccole, come i cerchi concentrici che si allargano sulla superficie dell'acqua all'affondo di un sasso; e continuò a stringerla, mentre dentro di lei e fuori da quella stanza, la tempesta si allontanava ripristinando quiete e silenzio. Ella si adagiò nelle braccia che l'avevano travolta e che ora la sorreggevano; affondò il viso nell'incavo del suo collo, le mani sulle spalle e tutto il peso del proprio corpo affidato a quello di lui.
Il frutto maturato nel mallo spesso della noce.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora