. 17 . Il diavolo e l'acqua santa

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. 17 . Il diavolo e l'acqua santa

- Quante volte dovrò rammentartelo, Saurion? Il tuo compito esclusivo è quello di controllare il lavoro dei braccianti, tutto ciò che riguarda l'acquisto, la vendita, i rapporti con mercanti e creditori, non è affar tuo! - urlò, battendo entrambi i palmi delle mani sulla scrivania, imbrattata di scartoffie, e facendo tintinnare lievemente i piccoli prismi di cristallo che pendevano dal lume sul ripiano.
- Ma signore ... - mugugnò il vecchio servitore, - ... ho lavorato per questa casa, fin dagli anni in cui vostro padre, che Dio l'abbia in gloria, ne guidava le sorti e, negli anni in cui la vostra signora madre ne ha fatto le veci, sono stato fedele e attento amministratore dei vostri beni, come fossero miei ... - si giustificò l'uomo, ormai spodestato dalla carica di cui aveva goduto per decenni.
- Non dubito della fedeltà che hai sempre manifestato per la mia famiglia; tantomeno della solerzia con la quale hai servito mio padre prima, mia madre poi. Ma l'amministrazione di possedimenti così vasti abbisogna di uomini colti e preparati: l'esperienza o saper fare di conto non sono titoli sufficienti. Continua a servirmi come meglio sai fare: preoccupati che i braccianti eseguano i lavori nei campi a cui sono assegnati. A tutto il resto penso io, ché sono il padrone! - lo zittì, ritornando a sedere composto dietro la scrivania disordinata.
L'uomo chinò il capo, in segno di rassegnata accettazione dei nuovi compiti assegnatigli, con una smorfia che però rivelava un acre fastidio per quel ragazzino che d'un tratto gonfiava il petto di competenza e superiori capacità, e, fatta la dovuta riverenza, si avviò, spalle e capo chini, verso la porta dello studio.
- Saurion ... - lo richiamò Miran, quando fu sull'uscio, - Riponi quel frustino: i miei braccianti sono uomini, non bestie da domare! - gli fece notare, disgustato dai metodi schiavisti di cui gli avevano riferito.
- Come volete, padrone! - lo riverì, mordendosi il labbro, e, uscendo, incrociò Leria che, invece, stava per fare visita a suo figlio. La donna gli riservò uno sguardo indecifrabile, un misto tra l'approvazione delle raccomandazioni, che aveva sentito urlare da suo figlio, e la rassicurazione che prima o poi, in un modo o nell'altro, ciascuno avrebbe riaconquistato i propri ruoli, rimescolando nuovamente la gerarchia che Miran aveva rivoluzionata.
- Madre. - la invitò, con la gentilezza che gli era propria e che, per un attimo, di fronte al suo rozzo interlocutore, sembrava aver smarrito.
- Perché tanta veemenza nella discussione? Saurion è, forse, venuto meno ai propri doveri? - si informò, richiudendo la porta alle sue spalle.
- No, madre, ma fatica a ricordarsi quali siano i compiti che gli ho assegnato! - sospirò, sollevandosi per avvicinarla e baciarle amorevolmente la mano. - Volevo parlarvi, vi prego sedete. - le chiese, poggiando le mani sullo schienale della sedia. - Domattina partirò per la città: Nubia desidera trascorrere un po' di tempo accanto a sua madre. - le spiegò, ritornando al proprio posto.
- Miran, la tenuta non può essere abbandonata a sé stessa, non in questo particolare periodo dell'anno. La mietitura del grano è imminente, la preparazione delle vigne per la vendemmia settembrina e ... - cominciò ad elencare velocemente, come se avesse fretta di enumerare tutti gli impegni a cui far fronte e temesse, al contempo, di dimenticarne qualcuno nella foga.
- Non ho detto che rimarrò lì con lei, ho solo detto che l'accompagnerò ... - la frenò.
- Di male in peggio, figlio mio! - esclamò, portandosi la mano alla bocca, come se Miran avesse pronunciato una bestemmia. - E' sconveniente e inappropriato che una novella sposa, soggiorni, in compagnia della sola servitù, così lontana dal proprio consorte. - gli fece notare, rinfrescando, col ventaglio, le guance arrossate, per l'avventatezza del figlio e dalla collera per la sfrontatezza della nuora.
- Alloggerà presso sua madre e io la raggiungerò ogni qual volta gli impegni qui alla tenuta me lo consentiranno. - cercò di convincerla, con calma, sapendo che certamente ella non avrebbe approvato.
- Fai ciò che ritieni giusto, figlio, ma non lasciarla troppo sola: una giovane donna ha bisogno del proprio marito accanto, così come lo sposo della propria donna! - elargì, rassegnata, il suo consiglio, colorandolo di saggezza materna. - Quando vedrai Asmha porgile i miei saluti ... - lo esortò, sollevandosi e avviandosi verso l'uscita.
- Non mancherò, madre. - la rassicurò, accompagnandola con lo sguardo, fino a che ella non sparì oltre la porta.
Nubia aveva passato il segno, come una sciocca ragazzina che si fa giuoco dei precetti del genitore. Aveva sfidato Leria, senza neanche sapere di che pasta fosse fatta e che ella non avesse mai tollerato, in tutta la vita, disubbidienza e insubordinazione, da alcuno.
Ma non l'avrebbe avuta vinta, non fino a che ella avesse avuto in corpo un solo respiro!
Scese le scale che, dallo studio di Miran, portavano al salotto, rabbiosa come un cane idrofobo, meditando uno stratagemma appropriato, perché la sua nuora svergognata non realizzasse il proposito di sgusciare fuori al proprio controllo, quando Saurion le si parò davanti.
Era un uomo piuttosto alto e corpulento, le mani tozze del bracciante, che era stato da ragazzo, stringevano nervosamente il frustino che portava sempre alla cintola, perché, diceva, che i servi vanno incitati al lavoro col sapore del sangue nella bocca, poiché sono infingardi e pigri e, come gli asini, che puntano le zampe perché non hanno voglia di portare la propria soma, vanno frustati e costretti. L'aveva imparato a proprie spese, quando, quasi bambino, aveva cominciato a lavorare i campi per un padrone. Ma, da quando non aveva dovuto più lavorare la terra per campare, poiché, ubbidendo cecamente, si era conquistata la fiducia del suo superiore, egli incitava i suoi sottoposti, così come avevano incitato lui e, affinché i braccianti ricordassero che anche tra i reietti e i miserabili vigono le gerarchie,usava la frusta sulla schiena, per farsi rispettare, come fosse l'unica lingua che essi potessero comprendere.
- Cosa vuoi? - gli chiese, scostante e concentrata sul proprio intento di contrastare Nubia.
- Vostro figlio, signora ... - rispose, con il capo chino, perché ella non scambiasse il proprio sfogo per mancanza di rispetto, - Vostro figlio non vuole più che io occupi il posto che voi, per tanti anni, mi avete offerto onorandomi. - spiegò.
- Egli è il padrone adesso, Saurion. - gli fece notare.
- Ma io ... - insistette l'uomo, alzando lo sguardo su di lei, ma mantenendo la giusta referenza alla propria padrona, - ... io vi ho servito con solerzia, con discrezione e con fedeltà, signora! Ho eseguito per voi ogni ordine impartitomi, qualunque ordine, sempre e comunque con la stessa devozione! - sottolineò.
- Ho memoria di ciò che hai fatto per me, in questi anni! - precisò, abbassando la voce di un tono, come se qualcuno potesse venire a conoscenza di un segreto solo loro, - Ma non posso intercedere per te in alcun modo, poiché mio figlio è dalla parte della ragione: tu non possiedi né le competenze, né l'istruzione necessarie ai compiti che competono ad un amministratore. - continuò, guardandosi intorno con circospezione, - Però ... tu continua a servirmi, continua a servire me! - gli disse, quasi fosse un'offerta che non si può rifiutare, - Io non dimentico chi mi è fedele! - promise.
- Avrò di nuovo il mio ruolo, dunque? - azzardò l'uomo con un lampo soddisfazione per la rassicurazione ricevuta.
- Avrai ciò che meriti, ma solo se saprai obbedire senza chiedere mai. - precisò.
- Sono qui per servirvi, padrona, non avete che da chiedere. - fu la sua risposta servile e interessata.
- A tempo debito. Ora lasciami andare, ho delle faccende urgenti da sbrigare. - lo licenziò.
Un giorno o l'altro la fedele subordinazione di quell'uomo le avrebbe fatto comodo, come in passato; il silenzio servile, che le aveva sempre assicurato, le sarebbe venuto ancora in soccorso. Leria ne era certa, così ripose, in un cantuccio della propria mente, la possibilità di usufruirne ancora, così come si fa con un oggetto inutile che, al momento, ci ingombra le tasche, ma che in un giorno oscuro tornerà vantaggioso, e si dedicò a ciò che le stava a più a cuore: l'onore di suo figlio.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora