. 41 . Desiderio

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. 41 . Desiderio

Il bancone di legno scuro del piccolo emporio occupava gran parte della parete.
Su di esso, bocce di squisiti frutti canditi e coloratissime caramelle; piccoli barattoli smaltati pieni di spezie profumate. Sul pavimento, accanto ai vetri lucidi della piccola vetrina, sacchi di iuta aperti contenevano farina bianca e semi di farro, riso e grano saraceno, orzo perlato e lenticchie rosse, mentre nell'angolo opposto, uno sull'altro, ne giacevano altri stracolmi di chicchi di caffè, il cui aroma robusto si diffondeva in tutto il locale sovrastando ogni altro profumo.
Sulla parete opposta alla porta d'ingresso, scaffali dalle mensole imbarcate ospitavano pezze di stoffa di fogge diverse e dal soffitto pendeva un bastone, come un lampadario scintillante di gocce di vetro, al quale erano sospesi nastri per capelli.
Sabra si soffermò a osservarne uno in particolare: era di seta cangiante blu chiaro, morbido al tatto, come appurò facendolo scorrere sotto il polpastrello dell'indice destro.
- Permettetemi di farvene dono - la sorprese una voce alle sue spalle, dall'uscio del negozio.
Sabra non si era neanche accorta del tintinnio della campanella sulla porta, che suonava ogni qual volta un nuovo avventore entrava.
Conosceva bene quella voce, sapeva a chi apparteneva. Era dell'uomo che le aveva detto addio trai baci e carezze, una delle ultime notti d'estate.
- Non mi occorre. - rispose, ferma di spalle, allontanando di scatto le dita dal nastro.
- Insisto. - replicò, portatosi di fianco a lei e poggiando l'anca destra al banco di legno massiccio su cui si srotolavano le stoffe per tagliarle. - E' dello stesso colore acquamarina dei vostri occhi, vi donerebbe intricato nelle chiome fulve. - aggiunse, lisciando la stoffa lucente del nastro.
- Vi intendete anche di spille e fermagli e dei pizzi per orlare le gonne delle signore? - lo beccò, con un tono acido che le serviva a mascherare la sorpresa.
- Vi stupireste delle cose di cui m'intendo. - sussurrò, quasi al suo orecchio.
- Mi avete già sufficientemente stupita tornando ... - lo pizzicò ancora.
- Credevate che non l'avrei fatto? -
- Il vostro, non fu un addio? -
- Il mio fu un saluto senza promesse, non un addio ... - le fece notare.
La voce dell'arabo era strana, lievemente roca, senza alcuna inflessione emotiva, come se quell'incontro straordinario non avesse intaccato la calma serafica del carattere e questo, per una come Sabra, dall'indole estremamente flessibile ai colpi del proprio cuore, era destabilizzante.
Ma l'orgoglio e il desiderio di mostrarsi distante e serena, come sembrava essere lui, le suggerirono le parole.
- Sono promessa. - si divincolò.
- E non lo eravate anche allora? - la provocò.
- Sì, lo ero, ma a differenza di allora ... oggi accetto la decisione di mio padre. E' saggia e previdente. -
- Non vi credo! - alitò sensuale al lobo dell'orecchio, prima di sparire, silenzioso, così come era apparso.

***************

Da quando Eìos era tornato nella casa sulla spiaggia, la camera che il dottor Elmisk aveva riservato loro al ritorno era rimasta solo a lui. Era piuttosto ampia, con un bel camino e un grande letto e vi si accedeva attraverso una porta finestra che si affacciava su di una rampa di scale di pietra.
Ravvivò il fuoco, che ricominciò a scoppiettare, tolse la camicia e immerse le mani nell'acqua gelata del catino. Se la gettò sul viso e sul collo, tra i capelli neri e cortissimi. Le gocce scesero fredde e trasparenti sulla pelle di cioccolato, ravvivandola, così come egli poco prima aveva fatto col fuoco. Alcune solcarono la schiena, tra le scapole, lungo la colonna vertebrale, come lungo il letto di un fiume, arrivarono all'osso sacro e si infransero sulla stoffa dei calzoni che ancora indossava; altre scesero lungo le braccia, seguendo il percorso delle vene o tra i pettorali, insinuandosi nell'ombelico fino alla cintura slacciata.
Era già sera da un pezzo ormai, quando, ancora a petto nudo, si decise a chiudere gli scuri.
Fuori un vento gelido prendeva piede, si gonfiava insistendo sulle imposte, quasi cercasse una fessura nella quale insinuarsi, mentre la luce era fioca e veniva dai lampioni della strada, come bagliori lontani di vecchie stelle.
Sabra era lì, sul ballatoio, oltre i vetri, tremava per il freddo e forse per la paura dell'azzardo. Il calore interno del corpo si disperdeva in una nuvola di fiato condensato, la punta del naso infreddolita e arrossata, come i polpastrelli poggiati sulla superficie trasparente, e gli occhi spauriti e ancora più celesti.
Avrebbe dovuto correre ad aprirle, farla entrare a riscaldarsi, tenersela stretta tra le braccia come la notte in cui le aveva detto addio.
Invece rimase immobile, un brivido sottile ad accapponargli la pelle, come se l'acqua gelida del catino ancora gli scorresse lungo la spina dorsale, ferito da quegli occhi e dalle labbra chiuse che sembravano nascondere milioni di domande.
Ritornò con la mente alla mattina, quando l'aveva incontrata.
Non era stato un caso, ma il frutto di una ricerca attenta e silenziosa. Non aveva chiesto di lei, per non crearle imbarazzi, ma aveva fatto ricorso ai ricordi di quella giornata in cui l'aveva seguita tra i rumori del mercato, in mezzo ad una folla che incoscientemente aveva fatto da spettatore di una ricerca molto più intima di quello che egli stesso immaginava.
E poi nell'emporio, quando l'aveva raggiunta, l'odore del caffè e della vaniglia nella trama della pelle, il suo anello ancora al dito, lo avevano messo di colpo di nuovo di fronte a sé stesso, ai suoi sentimenti, a quello strano desiderio quasi doloroso che gli pizzicava cuore e mani.
Senza rendersene conto, la mente smise di pensare, di colpo, come la fiamma di una candela smorzata dal vento.
Il cervello si fermò e il corpo si prese l'autonomia necessaria a compiere qualche passo per aprirle l'anta e farla entrare.
Insieme a Sabra entrarono freddo e confusione; desiderio ed eccitazione, paura e impeto.
Slacciò il pesante mantello di lana cotta, che la nascondeva dalla testa ai piedi; esso si afflosciò sul pavimento, come il pallone di una mongolfiera giunta alla fine del suo viaggio, scoprendone il corpo infreddolito e immobile. Le prese le mani per avvicinarla a sè; gli occhi fermi e sicuri, ancorati a quelli di lei e il respiro corto e sbandato, folle e senza freni, intonato all'altro, mentre percorreva la piccola distanza all'indietro, fino al letto.
Quando i polpacci ne toccarono la sponda, prese a slacciarle il nastro che le chiudeva il corpetto del vestito, dal collo al ventre, fino a che il cotone candido della sottoveste comparve tra i lembi aperti. L'abito scivolò rivelando le clavicole, le braccia, e liberando l'effluvio immacolato, dolce ed eccitante della pelle nuda.
Sabra rimaneva silenziosa e immobile, tanto che nella semioscurità appariva come una statua di bronzo rilucente. Ma i respiri ansiosi, il calore della pelle, il leggero tremore delle labbra piene, di contro, la rendevano viva e attraente, accendendo in lui il desiderio di toccarla.
Le portò la mano destra sul viso, sfiorando con la punta del medio la fronte, con l'indice e l'anulare le palpebre, che si chiusero assecondandone il passaggio, e con il palmo aperto seguì la linea del naso, fino a che tutte le dita incontrarono le labbra. Le schiusero leggermente, saggiandone la consistenza morbida, scoprendo che la propria bocca ne conservava ancora un ricordo preciso, e continuarono a scivolare sul mento, lungo la linea del collo per fermarsi sullo sterno.
Il battito accelerato del cuore gli rintoccò nel palmo della mano, gli occhi di entrambi, come di comune accordo, puntarono sulle dita ancora ferme, quasi non sapessero cosa aspettarsi dai loro stessi corpi, fino a che esse presero a sciogliere il nastro di raso blu che serrava la scollatura della sottoveste.
L'indumento le si aprì sul petto, assecondandone le forme, rivelando centimetri di pelle ambrata e sconosciuta; il palmo della mano riprese la sua lenta discesa tra l'incavo dei seni, separando i lembi della stoffa trasparente, come la prua di una nave che fende la superficie dell'acqua.
Le spalline ricaderro sugli omeri, poi scivolarono lungo le braccia, fino a liberale completamente il busto, lasciandolo nudo ed esposto. La pelle dei seni si ricoprì di increspature leggere, come dune del deserto sfiorate dal vento; l'eccitazione e la paura ne irrigidirono le punte rosee e i muscoli del ventre morbido si tesero sotto i polpastrelli ruvidi, facendola tremare impercettibilmente, quando essi giunsero all'altezza dell'ombelico.
Sfilarono abilmente il fiocco che le stringeva in vita le culottes, che si afflosciarono al suolo, raccogliendosi intorno alle caviglie.
Era completamente nuda, nessuno l'aveva mai vista così da che era diventata donna, neanche sua madre. Eppure in quel momento, davanti a quell'uomo, se ne stava immobile con indosso solo la pelle, lasciandosi guardare come se l'avesse fatto mille volte, come se non conoscesse pudore o imbarazzo, come una sfacciata, avvenente femmina consumata.
In realtà ciò che la consumava era l'attesa, la lentezza dei gesti di lui, i suoi occhi che la toccavano con dita invisibili, in luoghi del proprio corpo che erano sempre rimasti nascosti dagli abiti, dall'ignoranza, dall'incoscienza di sè e dei propri desideri.
Betel, di contro, continuava a guardarla, come se vedesse per la prima volta le curve morbide e attraenti di una donna nuda; come se pelle e fianchi, seni e mani, cosce e bocca fossero le coste vergini e inesplorate di una terra nuova. Tutti i suoi nervi e i muscoli erano tesi fino allo spasmo, le vene e le arterie pulsavano feroci sangue come lava, che gli invadeva il cuore, il cervello e gli faceva sfrigolare la punta delle dita.
Erano desiderio e passione, impastati di paura, di indecisione, di rovelli cocenti e dolore, che lo inibivano e, al contempo, gli impedivano di fermarsi.
Ma quando la scia dei suoi occhi ebbe percorso l'intero corpo di lei dalle caviglie forti, alle ginocchia, su per la setosa peluria delle cosce e intorno al ventre; quando ebbero circumnavigato i seni generosi e le punte aguzze, il collo e il mento, fino agli occhi acquamarina spalancati e frementi, egli si rese conto che ciò che provava era qualcosa di indipendente dalla volontà, dai limiti morali o dall'indole; era innaturale, sovrumano, incontrollabile.
Davanti a sè aveva una creatura fatata e sconosciuta, qualcosa che aveva sempre desiderato senza averne coscienza. Qualcosa che voleva, nonostante sentisse che non era giusto in quel momento e a quella maniera.
Improvvisamente, si sentì inghiottito dall'amore, mentre il desiderio si impadroniva della carne e dei pensieri. Non pensò più a nulla di ciò che esisteva intorno, nè a ciò che ancora rimaneva alle sue spalle o a cosa sarebbe venuto dopo. Si concentrò soltanto sul riverbero del corpo di Sabra che gli si consegnava, morbido ed accogliente.
Sedette sulla sponda del letto, le strinse i fianchi, aiutandola a liberarsi degli indumenti ancora aggrovigliati intorno alle caviglie; l'avvicinò a sé, la fronte affondò sul torace, sotto l'ombra dei seni, e la punta del naso inspirò il profumo eccitante della pelle intorno all'ombelico.
Lo circondò di baci piccoli, piccoli e a ogni schiocco sommesso la sentì fremere e increspare il respiro.
Sabra rimase ancora un po' ferma, lasciandosi conquistare da quel languore nuovo che le invadeva i ventre e i pensieri, fino a che un grumo le si sciolse nelle viscere, colò giù ad impregnare la trama vellutata delle cosce strette e poi si espanse nell'aria, come vapore verso l'alto.
Betel se ne riempì le narici, lasciandosi conquistare dal consenso agrodolce che il corpo di lei gli accordava, mescolandolo nei polmoni a quello che la propria pelle emanava in accordo.
Ma la mossa successiva inaspettatamente, inspiegabilmente fu di Sabra.
Istintivamente gli sedette a cavalcioni sulle cosce, le gambe strette ai lati del suo bacino, il petto aderente a quello di lui e le braccia intorno alla circonferenza ampia delle spalle. I seni si infransero contro il petto, la pelle delicata delle cosce fregò sulle cuciture ruvide dei calzoni che lui ancora indossava, ma ella non se ne dette pena, intenta com'era ad avvicinarsi a lui più che poteva.
Sentì i muscoli di lui scaldarsi al tocco, tendersi e modellarsi al contatto, le mani afferrarle i fianchi per avvicinarla ancora e poi scendere sulle natiche per stringerla nella stessa morsa in cui ella lo rinchiudeva.
Betel percepì la necessità del proprio membro, ancora costretto nei calzoni, di espandersi, di gonfiarsi; sentì urgente la necessità di mostrarsi completamente senza filtri, senza inibizioni, così come ella stessa aveva fatto.
Senza una parola, come se non ce ne fosse alcun bisogno, la sollevò per adagiadarla sulle lenzuola, e quando fu in piedi si liberò dei calzoni.
Rimase così davanti a lei, per il tempo necessario affinchè Sabra si abituasse al corpo nudo di un uomo, alla sua bellezza, alla diversità complementare al proprio di donna.
E poi la raggiunse sul letto; le offrì la mano perché tornasse sulle sue cosce, in quella posizione intima che permetteva a lui di stringersela addosso e a lei di condurre il gioco, secondo i propri tempi e la propria inesperienza.
Fu così dentro di lei, nell'anfratto caldo del suo ventre liquido, lentamente, portandosi dietro una fiamma sottile di candela che le ferì dolcemente la carne, che le infiammò le viscere, fino a che divenne delirio, richiesta, fame.
Il ritmo divenne melodioso e armonico, due strumenti perfettamente accordati: la bocca di lui si avvicinava alle sue labbra, mentre le invadeva il corpo; se ne allontanava quando l'onda dell'affondo si ritirava, mentre la scia umida e vischiosa della linfa di lei preparava il varco in cui tuffarsi ancora.
Danzarono così senza parole, solo con i suoni strozzati dei desideri, nel frastuono dei respiri concitati, nello schiocco dei baci e nel fruscio delle lenzuola scompigliate; nell'odore acre della cera consumata, del sudore, delle loro essenze liquide, delle loro anime congiunte.

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Ben trovate!
Con questo capitolo ho voluto dare un coronamento alla storia tra Betel e Sabra e lasciare ancora un po' in sospeso le ultime vicende della storia.
Spero di leggere i vostri commenti e di ricevere i vostri voti!
Un bacio e alla prossima.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora