. 44 . Di culle, di baci e di bocciuoli di rose
Era già quasi primavera.
Nonostante fossero ancora nel mese di maggio, la rigogliosa stagione prorompeva in ogni angolo verso cui l'occhio guardasse.
Alberi carichi di fronde verdi scintillavano al riverbero del sole; canti armoniosi di piccoli passeri solleticavano l'aria tersa e frizzante e siepi grondanti di fiori e profumi affollavano i bordi del giardino, esaltandosi dei voli leggeri delle farfalle.
Il gorgoglio della piccola fontana faceva da controcanto alla sua voce dolce e sussurrata, mentre intonava una vecchia ninna nanna.
Sotto un tiglio argentato, una culla in vimini dondolava, come una barchetta sulla superficie placida di un lago. Onde candide di merletti e trine ne adornavano i bordi e un velo di tulle dai piccoli impercettibili ricami rosa la ricopriva, proteggendola da insetti e fronde.
Ariela sedeva accanto ad essa. La schiena era reclinata sul cesto intrecciato di vimini e onde di capelli biondi, come cascate di miele e grano, scendevano lungo le spalle.
Petali di rose e foglie le ricadevano in grembo, odorose e leggere, mentre il loro profumo si diffondeva in tutto il giadino, mescolandosi ed esaltando quello di lei.
Le carezzò il capo, lasciando che le dita scure si intricassero nel crine e la pelle sottile della cute gli rinfrancasse i polpastrelli ruvidi.
- Si è appena addormentata. - gli fece notare, rivolgendogli i suoi begli occhi di colomba.
Eìos sporse i propri verso l'interno della culla: il faccino tondo di Rua era incorniciato dalle manine strette in piccoli pugni; i ciuffi di capelli neri spuntavano da una cuffietta e la bocca rosa, come il bocciuolo di un fiore, colorava l'incarnato niveo.
- Allora vieni qui. - la esortò, tirandosela tra le braccia.
Ariela si accoccolò sul suo petto profumato di mare e del cuoio delle briglie del suo cavallo, gli strinse le braccia intorno al busto e tirò su il viso e la bocca nella muta richiesta di un bacio.
Eìos sorrise, le strinse la vita, resa più morbida e dolce dalla maternità, e le rubò il fiato con le labbra calde e la lingua insistente, come se le loro bocche fossero state separate da secoli e non solo da poche ore.
Aveva atteso di stringerla per l'intera giornata, e ora al crepuscolo, mentre le ombre tenui della sera si insinuavano lente tra le fronde, avvertiva lo stesso desiderio sotto la pelle calda di lei e se ne beava.
I mesi che avevano seguito il processo e il riconoscimento della propria innocenza erano trascorsi lenti e leggeri con un unico pensiero, quello della gravidanza e della buona salute di sua moglie e del suo seme.
Per ore intere, durante il giorno o la notte, si era occupato solo di guardare il suo ventre crescere, i seni rigonfiarsi e i lineamenti, prima spigolosi, rimpolparsi, come i frutti, che crescono, gravando sempre più con il loro peso sui rami.
La pace con Miran era venuta quel giorno della vigilia di Natale e, sebbene i fili intricati delle loro vicissitudini recassero ancora nodi dolorosi, il tempo delle ostilità era finito.
Non sarebbero stati fratelli per ancora molto tempo, forse non lo sarebbero mai stati per davvero, perché gli intrighi li avevano separati come due lembi di terra dal maremoto. Ma le assi di un ponte erano state lanciate tra le due rive dal gesto altruista di Eìos e il tempo e la verità rivelata avrebbero lavorato per loro.
La sua vita aveva spiegato le vele per tratte più sicure, dove i venti soffiano dolci e non fanno paura, e l'avevano portato ad essere padre, pronto ad amare, come lui stesso non era stato mai amato.