. 28 . Una effimera tregua
Le ore sembravano scorrere lentamente, stillavano come le gocce di pioggia sui vetri, una a rincorrere l'altra, lungo un tragitto irregolare.
Da quando Ariela ed Elmisk avevano lasciato il rifugio, Eìos si era sentito sperso, come quei marinai che in mezzo al mare in tempesta non riescono vedere la loro stella. La propria fragilità si era palesata tutta in un istante, quello in cui ella era uscita dalla stanza, con gli occhi pieni di lacrime.
Nei giorni precedenti, Elmisk aveva sparso la voce in città che sarebbe partito per la provincia vicina, con lo scopo di incontrare un legale che si assumesse il patrocinio del suo protetto. Aveva preparato la carrozza e i bagagli; poi nel pomeriggio precedente all'evasione, aveva raggiunto la casa sulla spiaggia, e, con Ariela al proprio fianco, si era assicurato che i soldati di guardia alla porta della città annotassero il loro passaggio sul registro su cui appuntavano ingressi e uscite di stranieri e residenti.
Poi la carrozza era stata lasciata presso un nascondiglio di fortuna e, sellati i cavalli, i due avevano raggiunto il rifugio, cavalcando. La loro permanenza in quel luogo sarebbe dovuta durare il tempo necessario ad assicurarsi del buon esito dell'evasione e della buona salute dei fuggiaschi. Le ferite di Eìos e l'intervento medico, invece, li avevano costretti a trattenersi. Ma, quando l'emergenza era rientrata, il momento del commiato era giunto.
Per non destare sospetti e rendere credibile il loro alibi, infatti, era necessario lasciare il rifugio, anche se Ariela, più di Elmisk, si era mostrata recalcitrante ad abbandonare il suo sposo ancora ferito nelle sole mani di Betel, che per quanto affidabili, non erano certo quelle di un medico.
Erano trascorse le prime ore di una sera agrodolce, altalenante tra il pensiero finissimo dei momenti trascorsi insieme e quelli pungenti della sua mancanza. Eìos aveva continuato a rimuginare su quanto quella donna, all'apparenza così fragile, fosse stata capace di una forza tale da assicurargli la salvezza, non solo del corpo ferito, ma, in un senso più profondo, quella dell'anima. Senza neanche rendersene conto, egli aveva affidato nelle sue mani, tra le sue dita, una parte di sé stesso: la più piccola parte di sé, quella che aveva nascosto al mondo da sempre e che ella aveva trovato senza alcun affanno. Ariela aveva portato con sé, fuori da quelle mura traballanti, l'animo del bambino rintanato dietro la corazza del soldato, che teme il buio e la notte; la parte che fingeva di essere grande; che si era illusa di essere forte e di poter guidare la propria esistenza attraverso mari scompigliati e urli del vento.
Questa rivelazione avrebbe dovuto farlo sentire esposto e vulnerabile. Invece, al contrario, lo irrobustiva; gli calcificava le ossa, come un alimento sano e corroborante, e gli nutriva il cuore, rassicurandolo, come accade attraverso i baci e le carezze.
Cercò di assumere una posizione più confortevole, di sgranchire le dita dei piedi, che per la lunga immobilità, sembravano appartenere ad altre gambe; stiracchiò i muscoli delle braccia, allungandoli verso l'alto, provocando uno scricchiolio di ossa, come quelle dei vecchi, sempre a riposo, e mugolò insofferente per quella convalescenza necessaria, ma che non riusciva già più a sopportare.
- Sta' fermo! - lo riprese l'amico, attizzando il fuoco che andava spegnendosi, - Il dottor Elmisk si è raccomandato che ti muovessi il meno possibile. -
- Non sopporto più di stare fermo ... - replicò, tendendo anche il collo e le fasce muscolari della schiena.
- Domani, magari, ti metterai a sedere ... ma, per stanotte, sta' fermo, o tua moglie mi farà a fette! - lo pregò, con gli occhi fuori dalle orbite, fingendosi spaventato. Ariela, infatti, prima di lasciare il rifugio, l'aveva preso in disparte; gli aveva elencato le cose che suo marito avrebbe potuto fare e quelle che, di contro, gli erano proibite; si era raccomandata che fosse ben nutrito tutti i giorni e che prendesse un bagno, non appena le sue condizioni lo avessero permesso, infine, che le prescrizioni mediche del dottor Elmisk fossero eseguite alla lettera, il tutto condito con un tono perentorio di voce e lo sguardo truce, che Betel non era abituato a vedere negli occhi di una donna.
- Ti ha ordinato anche di radermi? - lo prese in giro, ritornando con la mente alla voce della propria donna, così fresca e chiara, mentre si colorava di forza nel dare ordini ad un uomo grosso il doppio di lei.
- Ridi? In verità mi ha anche chiesto di lavarti ... - stette al gioco, ridendo a sua volta.
Eìos si agitò nel letto, un po' imbarazzato all'idea che potesse essere l'amico ad accudirlo in certe pratiche così intime; portò le mani aperte a coprirsi gli occhi e parte della faccia, come i bambini che hanno vergogna, e schioccò la lingua sul palato.
- La barba basterà ... - rassicurò entrambi, mentre alla voce di Ariela si aggiungevano le immagini vivide della loro stanza da bagno; della vasca di porcellana, sufficientemente ampia da contenere due persone; i vapori dell'acqua caldissima che si fondevano con i sali e il corpo bianco e morbido di lei, allacciato al proprio, sotto una coltre sfrigolante di schiuma candida.
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