. 22 . Nessuno tranne una

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. 22 . Nessuno tranne una

Bussò talmente forte, che gli assi del portone scricchiolarono sotto l'irruenza dei colpi vibrati e continuò finché un servitore, ancora mezzo addormentato, giunse ad aprirgli.
- Cosa volete a quest'ora? - farfugliò, brusco, stropicciandosi gli occhi, con una mano e reggendo, con l'altra, un mozzicone di candela.
- Il dottore, chiamate il dottor Elmisk! - rispose Betel, con tono di urgenza, facendosi strada nel piccolo studiolo medico, immerso ancora nelle tenebre della notte.
Il servitore accese il candeliere sullo scrittoio, illuminando la stanza e permettendo a Betel di orientarsi tra gli arredi; dopodiché, scomparve dietro la porta che conduceva all'alloggio del dottore, bofonchiando e lamentandosi per il fatto che, nonostante fosse un medico, Elmisk fosse troppo il là con gli anni per essere tirato giù dal letto nel cuore della notte e che, una buona volta, i suoi pazienti avrebbero fatto bene a rivolgersi al medico giovane e fresco di studi, già istruito per sostituirlo.
Betel sfilò il mantello blu come la notte, la pashmina, che gli fasciava il collo, lasciandoli cadere su di una seggiola; slacciò la giubba e sedette sull'altra. La gola era arsa e la testa martellava per la stanchezza e la preoccupazione, così poggiò i gomiti sul ripiano dello scrittoio e rilassò il capo tra le mani, socchiudendo le palpebre pesanti.
Elmisk percorse il corridoio, che dalla sua camera portava allo studiolo, trafelato, ancora le dita nodose ad allacciare i bottoni della camicia e i polsini aperti, che lasciavano in vista gli avambracci ruvidi. Ripassò mentalmente i volti dei suoi pazienti, le malattie, le cure che aveva prescritto loro, nel tentativo di capire, prima di vederlo, chi potesse essersi trovato in tale emergenza da correre da lui a quell'ora della notte.
Quando, però, si trovò davanti la schiena curva di Betel, con la testa tra le mani e il viso nascosto, ebbe un sussulto.
Gli si avvicinò con una velocità insolita per un uomo della sua età, ma tipica di un medico solerte e, ancor più, di un padre preoccupato.
- Betel? - lo richiamò, poggiandogli, amorevolmente, una mano sulla spalla contratta, - Cos'hai? Stai bene, figliolo? - continuò con urgenza.
- Sto bene. Sto bene, dottore. - lo rassicurò l'uomo, tirando su gli occhi.
- Eìos? - insistette il vecchio, investito da un bruciante presentimento.
- Non abbiate timore. Egli è in salute! - rispose subito, perché l'altro non temesse il peggio, - Però è alla gendarmeria. - cominciò a raccontare, cercando, mentre parlava di raccogliere le idee ed essere il più esaustivo possibile. - C'erano dei soldati alla porta di nord- ovest. Non so come facessero a sapere quando saremmo arrivati, ma erano lì per lui, dottore. Per Eìos! -
Elmisk afferrò una delle seggiole, che teneva per i pazienti, e sedette di fianco al giovane, poiché l'apprensione e lo spavento, che lo avevano investito, gli procuravano una instabilità nelle gambe e nel respiro, che non riusciva a dominare.
- L'hanno indotto a seguirli, da solo e senza dare spiegazioni ... - riprese, dopo aver colmato un bicchiere di acqua fresca, dalla brocca che il vecchio teneva sullo scrittoio e averne bevuto avidamente, - ... prima di essere scortato dal drappello, mi ha chiesto di cercare voi, perché sapeste quanto è accaduto. - terminò espirando, sollevato di avere un alleato in quella circostanza così spinosa.
- Forse un accertamento o uno scambio di persona ... - azzardò, più per rasserenarsi che per reale convinzione.
- Non lo credo ... e neanche vostro figlio! -
- Dunque ... andiamo alla gendarmeria per sincerarcene! - disse sollevandosi.Infilò la giacca e calzò il cappello, afferrò il bastone e, insieme, lasciarono lo studio.
La caserma della gendarmeria, situata dall'altro capo della città, era dislocata in una antica fortezza.
La sua posizione era stata strategicamente studiata per assicurare alla città una vedetta contro eventuali assalti provenienti dal mare. Col passare degli anni e con gli accordi di pace con le popolazioni limitrofe, era divenuta sede della guardia cittadina e della prigione.
Vi si giungeva dall'entroterra, per un'unica via carraia, che si snodava lungo il fianco di un monte, vasta riserva di caccia, e lungo campi seminati a grani e a biade.
Un silenzio solenne permeò lo spirito del dottor Elmisk, che perdendosi nella visione placida dei lontani pascoli e dei buoi aggiogati dagli aratri, per un istante soltanto dimenticò la pesantezza dei pensieri e la preoccupazione per la sorte del figlio.
Solo quando costeggiò l'uliveto e scorse le tegole rossastre dei tetti bassi delle piccole case contadine, confuse tra arbusti e siepi, l'inquietudine l'assalì bruscamente, come l'agguato di un infido nemico.
La fortezza si stagliava fiera in mezzo al mare, appollaiata su di un masso di roccia, senza staccarsi dalla superficie dell'acqua, come un mitologico mostro marino. Una nicchia tra i cespugli introduceva alla strada d'accesso, che a sua volta conduceva ad un pontile di legno che la ancorava alla terra ferma.
Furono necessari diversi minuti perché l'ufficiale di piantone ritornasse con un lasciapassare per consentire loro un colloquio col comandante.
Lungo il pontile, Betel camminava alle sue spalle, come un custode silenzioso, e il suo respiro regolare e l'imponenza del corpo, fungevano da sedativo per l'angustiato umore del vecchio, che se fosse stato solo, in un frangente avverso come quello, si sarebbe, di certo, sentito perduto.
La guardia li introdusse nell'ufficio, dove il comandante Kuvee sedeva, braccia conserte poggiate su di una scombinata marea di scartoffie.
- Dottor Elmisk! - lo accolse con una nota di falsa gentilezza nella voce, - Qual buon vento vi porta qui e a così tarda ora? - chiese, ancora più affettato.
- Sono qui per mio figlio: Eìos. - chiarì, nonostante fosse palese che il militare ne conoscesse già le motivazioni.
- Vostro ... figlio? - sottolineò, - Siete un uomo degno di grande stima, dottore: chiunque in città direbbe di voi solo bene! Non dovreste confondere la vostra reputazione limpida e generosa con quella di un bandito ... - gli suggerì, mellifluo, mentre inforcava i suoi occhialini tondi.
I muscoli, già tesi, di Betel vibrarono, come se una lieve scarica di elettricità vi fosse passata attraverso: era un uomo pacato e riflessivo, ma le accuse non gli aggradavano, a maggior ragione, se erano infondate.
- Egli è mio figlio! - sottolineò, con impeto e determinazione.
- Come volete ... - lo schernì, allargando teatralmente le braccia in segno di resa.
- Dunque, perché lo trattenete? - insistette, sempre più impaziente.
- Ve l'ho detto: perché è un bandito! - ripeté, indurendo sguardo e voce.
Si sollevò e, mani dietro la schiena, misurando a grandi passi la stanza, spiegò: - Abbiamo perquisito la sua nave e ... vi abbiamo trovato diverse casse di liquori introdotte di contrabbando. Ora, dottore, voi sapete che il contrabbando è un reato, vero? - chiese retorico, - Dunque: vostro figlio è un bandito! - concluse, come il giudice dal suo scranno.
Elmisk si irrigidì: Eìos era tornato pochi mesi prima, proprio da una spedizione illecita, dunque, era plausibile che fosse perseguito proprio per quel reato.
Betel, di contro, storse il naso, come quando le narici avvertono un odore che non ci piace, ma che non riescono a definire.
Comunque, tacque, rimanendo in attesa.
- Posso vederlo? - chiese il medico, scoraggiato.
- No! - rispose secco il comandante, tornando a sedere allo scrittoio.
- Non sono così a digiuno di legge da non sapere che qualunque detenuto ha il diritto di ricevere visite. - insistette.
- Da un parente legittimo o da un avvocato! E voi, caro dottore, non siete né l'uno, né l'altro! - sentenziò, mal celando un sorrisetto soddisfatto.
- E sia, comandante Kuvee! Domani avrete o l'uno o l'altro! -
Quell'incontro aveva esacerbato l'animo di entrambi, ma mentre Elmisk malediceva l'avventatezza di Eìos e la superficialità con cui si era tuffato nei flutti pericolosi dell'illecito, Betel continuava a rimuginare sull'arresto, sull'atteggiamento quasi divertito di Kuvee, che gli era apparso più che di un tutore dell'ordine, quello di uno che aveva finalmente ottenuto una piena soddisfazione.
- E' un complotto! - disse improvvisamente, richiamando l'attenzione del vecchio. - Il Leviathan è all'ancora da mesi, perché la perquisizione è avvenuta solo ora? Quale uomo con un po' di sale in zucca, avrebbe lasciato il corpo del reato, nell'esatto luogo in cui un gendarme l'avrebbe cercato? - insinuò, per instillare un ragionevole dubbio che avvalorasse la propria tesi. - Vostro figlio non è uno sprovveduto, una testa calda, in talune situazioni, ne convengo, ma non è uno sprovveduto! - ripeté, guadagnandosi la curiosità del suo interlocutore. - Infatti, il carico di liquori fu lasciato nella baia di Deikakri, dove il committente della spedizione era già ad attenderlo: nel porto della città, la nave attraccò con, nella stiva, merce comune, con tanto di licenza commerciale! Dunque, è solo una montatura per incastrare Eìos ... - manifestò le sue conclusioni.
Elmisk rifletté: Eìos aveva, certo, diversi nemici e se li era guadagnati tutti con la sfrontatezza, l'irriverenza e col suo senso di giustizia che gli impediva di chiudere gli occhi davanti ai soprusi. L'idea, quindi, del complotto, partorita da Betel, aveva un solido fondamento.
Questa possibilità, però, non migliorava la condizione di Eìos, al contrario la inaspriva: chiunque avesse ordito la trama sottile di quel tranello, doveva provare un odio violento e una sete di vendetta spropositata nei suoi confronti, oltre a poter contare su conoscenze sordide, tanto danaro per corrompere e una motivazione più che valida.
Il primo sospetto corse a Miran.
Dopo la sua incursione nella casa di Eìos, le minacce violente e mortali che aveva manifestato ad Ariela, egli era il primo indiziato.
Ma Elmisk conosceva il giovane fin da ragazzino: la sua indole era sempre stata serena e il rispetto per il prossimo profondo; non poteva il dolore per le menzogne scoperte averlo tramutato in un subdolo cospiratore che ordisce nell'ombra. Certo, avrebbe preteso soddisfazione per l'oltraggio subito, ma guardando il rivale negli occhi, in un duello corretto e mai pugnalandolo vigliaccamente alla schiena.
Escluso Miran, nessuno possedeva, in tutta la regione, danaro sufficiente a comprare il comandante della gendarmeria, i soldati e le prove da produrre per sostenere l'accusa.
Nessuno, tranne una.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora