. 33 . A casa prima dell'uragano
Dopo una mezz'ora buona di galoppo forsennato, Sabra dovette ricredersi sul giudizio affrettato che aveva formulato montando a cavallo: cavalcare è scomodo e stancante.
Probabilmente, con sella e finimenti avrebbe potuto essere meno disagevole, ma a quel modo, a pelo, le gonne aggrovigliate, i piedi penzoloni, le natiche e le cosce che le dolevano per lo sforzo di stringere i fianchi del cavallo e non essere disarcionata, era stata una vera, insopportabile tortura, tanto che quando giunsero alla casa di Eìos, fu per la giovane una liberazione.
Betel strattonò il crine dell'animale, che sbuffò e compì un mezzo giro su sé stesso; le strinse le mani, affinché ella, finalmente, aprisse gli occhi che, per tutto il tragitto, aveva tenuti strizzati, un po' per paura, un po' per proteggerli dal vento. Sabra sciolse la stretta, consentendogli di smontare.
Con una agilità che ella, rigida e impacciata, invidiò disperatamente, l'arabo scavalcò la testa dell'animale con la gamba destra, e, scivolandogli sul fianco, atterrò al suolo, con una leggerezza che strideva con il peso di un corpo massiccio come il suo.
Il cavallo di Eìos se ne stava placido, nel giardino della casa, segno che egli vi fosse giunto sano e salvo e questo permise al cuore di Betel di rallentare i battiti accelerati per l'apprensione.
Si voltò verso Sabra e, allungando le braccia, la invitò implicitamente a smontare. L'afferrò per la vita ed ella gli poggiò le mani sugli avambracci, affidandosi completamente: di nuovo, percepì una sensazione di leggerezza, che le pervase le membra stanche e le permise di rilassarsi, quando i piedi toccarono il suolo ed ella si ritrovò rassicurata dalle braccia di lui e dal suo profumo.
- Aspettatemi qui ... - le disse, sciogliendo il contatto, - Vado ad accertarmi che sia tutto a posto e dopo vi riaccompagno a casa. - aggiunse e, con una smorfia simile ad un sorriso, liberò dai capelli della giovane alcune piccole foglie che vi si erano incastrate durante la corsa.
Sabra lo guardò allontanarsi, elegante e composto e per nulla provato dalla lunga cavalcata che, invece, per lei era stata un'impresa, dopo di che si osservò a sua volta.
Gli orli delle sottane erano lacerati in più punti, a causa dei rami degli arbusti in cui si erano impigliati durante la corsa; i capelli, sfuggiti al ricovero del cappuccio del mantello, erano intricati, come i piccoli rami e la paglia che gli uccelli lavorano per i nidi; arruffati e selvaggi sulle spalle e sulle guance, che a loro volta dovevano essere rosse, come le ciliegie mature, tanto le sentiva accaldate. Gli occhi pizzicavano, sebbene li avesse tenuti serrati, come i bambini sulle altalene, col vuoto e il pieno nello stomaco.
Passò i palmi aperti delle mani arrossate sulle pieghe delle vesti modeste; estrasse dalla tasca un nastro di cotone sgualcito e sfilacciato alle punte; infilò le dita magre e forti tra le fulve ciocche ribelli, come fossero i denti di un pettine, e li districò alla buona, tirandoli via dal viso e costringendoli in una coda voluminosa, sperando di aver assunto un aspetto quantomeno dignitoso.
Betel comparve dopo diversi minuti, tra le luci fievoli delle fiaccole che illuminavano il vialetto del giardino: l'ombra del suo corpo si allungava tremolante sulla ghiaia e sui cespugli di ortensie e passiflora odorosa, gigantesca e imponente, come quella dei monti al calar del sole, che proiettano la propria sagoma al suolo; l'orlo del lungo mantello ne assecondava i passi, aprendosi e chiudendosi al ritmo di moderate falcate, mentre la fisionomia del viso si delineava in una espressione corrucciata e pensosa, che non lasciava presagire nulla di buono.
- Direi che così va decisamente meglio! - ammiccò, appena fu a un palmo da lei, con un sorriso storto, che però non dissipava l'ombra evidente della preoccupazione.
- Cosa? - replicò Sabra distratta, tutta concentrata sulla curva imperfetta della bocca di lui e sulle piccole rughe che ne segnavano la fronte.
Betel allargò il sorriso e, nel buio della notte, i denti spuntarono bianchi, tra la carne delle labbra. Poi, con un cenno, indicò i capelli sommariamente legati: le ciocche più corte rimanevano libere, ricadevano lungo la linea sottile del collo e le ornavano il viso fanciullesco e rotondo; quelle più lunghe, invece, sfuggivano al nodo del laccio improvvisato, arrotolandosi su se stesse, come trucioli di legno scuro, nella bottega di un falegname.
Sabra le portò dietro le orecchie, alzando il mento, per coprire l'imbarazzo evidente che provava per non essere riuscita, nonostante gli sforzi, a rendersi presentabile.
- Non badate ai miei capelli: sono liberi, come i miei pensieri, dunque vanno dove vogliono! - rispose con una punta di orgoglio, - Ditemi, piuttosto, cosa è accaduto al capitano. - insistette.
Betel sorrise con maggiore trasporto: l'accostamento, che la ragazza aveva usato per sé, era perfetto e calzante come non mai: tutto in lei era indomito, libero e senza briglie, come l'aria. Questo aspetto così impetuoso e singolare del suo carattere, nonostante la propria indole serafica e quasi distaccata, gli stuzzicava i sensi, proprio come il venticello primaverile che accende pensieri e desideri assopiti.
- Siete troppo curiosa. - replicò, indisponendola.
- Me lo avete già fatto notare, ma la mia curiosità è come la sete: si placa soltanto con acqua purissima. Dunque, rispondete! -
- Come volete! - si rassegnò, - Vi racconterò mentre vi riporto a casa. - concluse, superandola e avviandosi verso il cancello del giardino.
Sabra sorrise, compiaciuta e soddisfatta di se stessa, ma, quando vide Betel accanto al suo cavallo, tutta l'euforia si dissolse, come il vapore dell'acqua che bolle, scoperchiata la pentola. Montare di nuovo su quell'animale le fece incurvare gli angoli della bocca all'in giù e sgonfiare il petto in un sospiro scocciato, tipico di chi si appresta a fare qualcosa che lo disturba.
Betel, intanto, lisciava il pelo del suo stallone, la criniera, il collo robusto e nerboruto e quello, manso, cercava le mani del padrone, strofinava il muso nel palmo aperto, scuoteva la testa ad ogni carezza, pestando, con lo zoccolo di una zampa, il suolo, in attesa di essere montato di nuovo. Sabra osservò i gesti lenti e misurati dell'uomo e provò ad imitarli, scorrendo la mano sul fianco; il pelo ispido le punse la pelle, ma la strana sensazione di placida tranquillità dell'animale la contagiò, rassicurandola per l'imminente cavalcata.
L'arabo la guardò impegnarsi in quel gesto palesemente incerto, quasi timoroso, e, ricordando le mani di lei strette intorno alla propria vita, quasi temesse di essere sbalzata dalla groppa del puledro, e intuendo che ella non avrebbe mai confessato le proprie paure, le propose: - Artaq è stanco. Facciamo il percorso a piedi, volete? -
Sabra, come era prevedibile, annuì sollevata e si affiancò al suo accompagnatore.
- Dunque? - lo interrogò, quando, dopo poco, la sua curiosità reclamò le risposte che le aveva promesso.
- Suo fratello ... lo ha sfidato a duello ed Eìos ha accettato. - riassunse, laconico.
La giovane aggrottò la fronte insoddisfatta di una risposta così scarna e, con un cenno delle mani, lo esortò a continuare.
- Lo ha minacciato di togliergli il nome e, con esso, tutto ciò che possiede, non lasciandogli alcuna possibilità di tirarsi indietro. - aggiunse, inspirando, e Sabra percepì chiaramente l'apprensione di lui per l'amico.
- Dicono che il capitano sia particolarmente abile con le armi ... -
- Lo è davvero: possiede una mira infallibile, una concentrazione invidiabile e il sangue freddo necessario. Ma ... - fece una pausa, - ... anche di Miran lodano l'attitudine alle armi e, anche se il duello sarà al primo sangue, l'esito di uno scontro frontale rimane incerto fino alla fine. -
Sabra non riuscì ad articolare alcuna parola e Betel percepì solo il suo respiro farsi più incerto e concitato, al pari del proprio, che gli scuoteva il torace.
Ella non conosceva bene Eìos, di lui sapeva solo quello che raccontava la gente e ciò che ne diceva suo fratello e, la maggior parte delle volte, le versioni non coincidevano.
Si mormorava che fosse un bandito, che avesse sfidato le regole comuni e le leggi in innumerevoli occasioni, facendola sempre franca; lo dipingevano come uno scaltro e arrogante, senza nome e senza Dio, ma a Ratho aveva insegnato ad andare per mare, senza mai trascinarlo in avventure illegali; gli aveva affidato la propria casa durante i suoi viaggi; gli aveva dato un lavoro ben pagato, consentendogli di sostenere la propria famiglia e preoccuparsi finanche della dote per quel matrimonio che ella tanto disdegnava. Se a questo si aggiungevano l'amore, il rispetto e la fiducia che persone oneste e benvolute, come il dottor Elmisk e Ariela, nutrivano per lui incondizionatamente, il giudizio non poteva che essere benevolo, in barba a quello di tutti i "sepolcri imbiancati" che lo condannavano.
- Quando? - chiese, rivolgendo lo sguardo sul profilo di lui, imperscrutabile, come quello di una statua greca, mentre egli continuava a camminare e se la lasciava alle spalle.
L'arabo, in risposta, scrollò le spalle e accelerò il passo, come se la conversazione fosse così scomoda, da fargli desiderare di arrivare prima possibile alla meta, pur di non sostenerla. Ma Sabra, come era prevedibile, non si arrese alla sua reticenza; si fermò a pochi passi da lui e, con nella testa mille altre domande, sempre più apprensive, come quando si ha a cuore la sorte di un amico, incalzò: - Voi sarete uno dei suoi padrini? -
Egli annuì, arrestò la sua fuga e reclinò la testa all'indietro; l'osso del collo scricchiolò, come un ramo spezzato, e il fiato uscì a fatica, aggrappandosi alle parole.
- Io, insieme con il dottor Elmisk. -
Sabra colse nel tono della voce, nelle spalle rigide, nei respiri grevi, le sue preoccupazioni e l'ansia di poter solo assistere allo scontro, di dover essere impotente testimone alla resa del suo amico al proprio destino.
- Siete preoccupato ... - mormorò, rincorrendolo.
Betel si voltò a guardarla e, ai propri occhi, la luce diffusa della notte, il piccolo chiarore di stelle lontane la fecero sembrare più piccola, quasi una bambina. Per un istante, l'immagine delle ciocche di capelli, che si muovevano al vento sottile della brezza, si arrotolavano su sé stesse e si distendevano, come se seguissero un ritmo musicale silenzioso, confuso tra il respiro e il fruscio delle fronde, ne acquietarono il fragore insopportabile dei propri tormenti.
Ma, quando i suoi occhi inciamparono sulla curva delle labbra morbide, sul collo sottile, sulle clavicole scoperte che affondavano nei seni, a quell'immagine acquietante se ne sostituì un'altra, sensuale e travolgente, che lo annegò nuovamente in un vortice di pensieri ancora più assordanti e vividi.
Sabra era bella, di una bellezza avvincente: avvenente, come una donna fatta, e seducente, come una fanciulla, ancora incosciente del richiamo delle proprie forme.
Betel si rese conto di subire, suo malgrado, quel richiamo: talvolta, senza neanche rendersene conto, lo sedava, nascondendolo dentro una inspiegabile insofferenza per la presenza di lei; talvolta lo assecondava, come in quel momento, mentre permetteva ai propri occhi di percorrere una strada infinita sulla pelle di lei, dalle sopracciglia, alla mandibola; dagli zigomi, al mento; dalla punta del naso, allo sterno; dalle clavicole, all'orlo della scollatura dell'abito che indossava.
- Ve ne date pena? - le chiese, ormai vittima consapevole dell'effetto inequivocabile che ella gli provocava.
- Ne siete sorpreso? - replicò, cercando di nascondere allo sguardo insistente di lui, i propri occhi, che si erano fatti liquidi per l'imbarazzo.
- Affatto! - la rassicurò e aggiunse: - E' da voi. -
Sabra notò l'inconsueta dolcezza con cui le parlava e, allo stesso tempo, l'enigmatica insistenza con cui ne scrutava i movimenti e i respiri, quasi fosse deciso a provocarle disagio, dunque, con un mezzo sorriso, costatò: - Stasera siete gentile ... -
- Sì, stasera lo sono! - si limitò a risponderle, come se la baraonda tra cuore e cervello fosse di intralcio alle parole.
- Sarà, di certo, perché siete stanco e turbato per la vita del capitano, per il duello ... - lo canzonò, cercando inutilmente di difendersi dallo strano assedio che le minacciava il respiro.
- ... E per voi ... - la interruppe, serissimo.
Sabra arricciò il naso, incerta, stralunata, come se le parole fossero state pronunciate in una lingua straniera e il senso di quella frase aggiungesse confusione al suo scompiglio.
- Sono io adesso, ad aver sorpreso voi? - egli chiese, passandosi le dita sulle palpebre e spegnendo, per un attimo, l'insistenza con la quale la guardava. - Non date peso a ciò che ho detto. - ritrattò, immediatamente dopo, rendendosi conto di aver detto più di quanto egli stesso volesse, - Avete ragione: sono stanco e turbato; il mio amico rischia la vita, io sono un ricercato ... e talvolta l'apprensione annebbia il cervello e rimescola le parole. - aggiunse e, voltandole le spalle per riprendere il cammino, concluse: - Vi riporto a casa. -
- Non siete corretto, Betel: insinuate nel mio cuore speranze e desideri e, in un battito di ciglia, mi sommergete di dubbi e sconforto ... - lo rimproverò, inchiodandogli i passi al suolo.
- Speranze e desideri, dite? - ripeté, rivolgendole il viso, - Nel vostro cuore ... per me? - insistette.
Sapeva di piacerle, era troppo avvezzo alle cose della vita, per non accorgersi che Sabra avesse un debole per lui. Forse anche per questo, oltre che per tutelare sé stesso, aveva mantenuto, incosciamente, una distanza forzata.
Eppure, la rivelazione, così spontanea e diretta, della propria attrazione per lui, lo destabilizzò e, per un attimo, lo fece sentire un naufrago, in balia di desideri giusti e sbagliati insieme, che, come le onde nella tempesta, si mescolano e scontrano tra loro.
- Non dovrebbero essere, desideri e speranze, dedicati tutti al vostro promesso? - la provocò, abbandonandosi alla necessità di fare chiarezza in sé stesso e anche in lei.
- Non sono promessa! - urlò pestando i piedi, come una bambina.
- Ed egli lo sa, vostro padre lo sa? - insistette.
Sabra divenne ancora più attraente, mentre le guance si arrossavano; le mani si stringevano a pugno e il petto si gonfiava di respiro affannoso.
- Io sono padrona della mia sorte: io scelgo a chi promettere la mia vita ... - replicò ferma, decisa e libera. - E voi, siete altrettanto libero? - insinuò, travolta da un moto di rabbia.
- Non ho legami, né vincoli: sono ciò che avete davanti. - replicò, allargando le braccia ed enfatizzando l'affermazioine.
- Dunque, perché vi nascondete? -
- Io non mi nascondo, Sabra, io vi proteggo: dalla vostra frenesia incosciente e dalla mia! Se vi dicessi chiaramente ciò che volete sentire, dopo cosa accadrebbe? Correste da vostro padre a ribadire la vostra indipendenza? - incalzò.
- Prima aspetterei un bacio da voi. - confessò, sfacciata e imbarazzata allo stesso tempo, mordendosi il labbro e maltrattandosi le vesti.
Betel socchiuse gli occhi, espirando, sorpreso e confuso, impotente davanti allo slancio di quelle parole: baciarla era una eventualità che non si era mai trovato a considerare, pur sorprendendosi spesso a guardarle la bocca così carnosa e invitante.
- Che diavolo sapete, voi, di baci? Siete una ragazzina. -
- Se ho l'età per essere promessa, ho anche l'età per essere baciata! - replicò.
Betel rise, mentre il petto sussultava per quell'invito, che solo in quel momento si rese conto di aver desiderato ogni volta che se l'era trovata accanto. Comprese che quella ragazza, che lo guardava con gli occhi intensi e pieni di un'ingenuità conturbante, metteva a dura prova la propria capacità di affrontare le pulsioni, l'intrigo dei sensi e dei sentimenti, con lucidità e padronanza di sé, così come era sempre riuscito a fare.
Eppure, per dimenticare e mandare all'inferno ciò in cui crediamo, talvolta, bastano un battito di ciglia, il colore della pelle, il profumo, il respiro, le mani e un'offerta generosa.
- Voi mi manderete fuori di senno! - le sussurrò, allungando la punta delle dita verso la sua guancia, senza, però, toccarla, - Mi condurrete all'inferno e sulla strada ... smarrirete anche voi stessa. - l'avvertì, lasciando la mano sospesa a mezz'aria, in attesa.
- Chi vi dice che non sia quella la via che salverà entrambi? - insistette, sperando che l'assedio stesse per risolversi in una resa.
- Nessuno, ma io non rischierò comunque. -
- Non deciderete anche per me. -
- Sabra, vi prego, datemi requie ... almeno per stanotte. - la supplicò, gli occhi stanchi e finalmente le dita libere di disegnarle il contorno della bocca.
- E sia! Ma sappiate che non sono il tipo di donna che si arrende. - lo minacciò, assecondando la carezza.
- Non ho alcun dubbio! - le sorrise e riprese a camminare.*************
Le prime luci dell'alba si affacciavano sulla linea dell'orizzonte, tingendo la superficie del mare di un colore liquido e tremolante, che si propagava fino alla riva, come lungo un sentiero, che avrebbe portato il giorno anche sulla rena fangosa e fredda della riva.
La bruma si dissipava lentamente in scie vaporose attraversate dalla luce crescente; i contorni degli alberi, delle rocce sulla scogliera a picco, si delineavano sempre con maggiore precisione e il mare emanava il proprio odore con più intensità, nei punti in cui la massa di umidità lo avvolgeva ancora.
Non aveva chiuso occhio Betel, in parte per l'assedio velenoso dei pensieri dovuti al duello imminente, in parte per la morbidezza delle labbra che Sabra aveva offerto alle sue dita.
Così, quando il giaciglio era divenuto troppo scomodo per le coltri che, per i continui movimenti, lo avevano imprigionato, si era levato; si era recato nelle cucine e si era preparato un infuso caldo e ritemprante e poi si era accomodato sui gradini del piccolo patio sul quale le stanze da letto affacciavano.
Eìos lo trovò così, seduto con i gomiti sulle ginocchia, la tazza bollente tra le mani scure e il pesante mantello a coprirgli l'intero corpo. Neanche il padrone di casa aveva dormito molto, nonostante le braccia e il corpo caldo della sua sposa lo avessero accompagnato per tutto il tempo.
Ma la dolcezza delle sue membra, la delicatezza della carne e le carezze amorevoli, non erano state sufficienti ad allentare tensioni e preoccupazioni, pur intaccandone gli spigoli appuntiti che lo tormentavano.
- E' uno degli spettacoli più avvincenti che la natura possa offrire. - lo salutò, riferendosi al sole nascente.
- Buongiorno. - rispose l'arabo, guardandolo mentre gli si accomodava accanto.
- Notte insonne anche per te, vedo. - constatò Eìos, assumendo la stessa posizione dell'altro. - Ti dai troppa pena, amico mio. -
- Troppa pena, dici? - chiese retorico.
- Il duello andrà come la sorte vuole ... darsi pena non ne cambierà l'esito. -
Betel abbozzò un sorriso: non era, quella di Eìos, spavalda incoscienza, né superficiale considerazione del pericolo. Era soltanto il tentativo fraterno e attento di non affliggere il cuore di chi amava, con le proprie decisioni e le conseguenze cui andava incontro.
Aveva sempre usato la stessa strategia: sminuire il pericolo, dimostrarsi più forte e impavido, per rassicurare chi gli stava intorno. Ma Betel lo conosceva da sempre, lo leggeva come un libro aperto, ne percepiva il tremito interiore dal respiro, ne annusava la paura, come gli animali il pericolo.
- Lascerò il paese, con Ariela. Salperò a bordo dell'Argo, la notte stessa del duello. Non voglio che tutto ciò che posseggo finisca nella mani di qualche sciacallo, qualora Miran perseverasse nel suo intento di togliermi il nome, dunque, ho disposto che diventi proprietà di mio padre.
Tutto, tranne questa casa e il Leviathan, che invece diverranno tuoi. So che ne avrai cura, come avrei fatto io stesso. E, per finire, il dottor Elmisk pagherà la tua cauzione e tu sarai di nuovo libero. -
- Pago da me i miei debiti! - lo avvertì con orgoglio.
- Non questa volta. -
- Perché? - insistette.
- Perché te lo devo. - rispose, alludendo alle innumerevoli occasioni in cui lo aveva cavato d'impaccio e non ultima all'essersi fatto arrestare pur di aiutarlo ad evadere.
- Io sono in debito con te, ricordi? - controbatté, riferendosi all'occasione in cui si erano conosciuti.
- Non ho mai avanzato crediti nei tuoi confronti e, comunque, se pure debito ci fosse stato, esso sarebbe, a conti fatti, ampiamente saldato. -
- Pari e patta, dunque! -
- Vedo che hai compreso che è inutile che ti affanni, giacché ho già deciso. - terminò, senza possibilità di appello.
Betel sospirò, rassegnato, gli offrì la tazza che stringeva tra le mani, continuando a puntare lo sguardo sull'orizzonte, che ormai portava il marchio del neo nato giorno.
Eìos se la portò al viso; il fumo caldo dell'infuso danzò vaporoso sui suoi lineamenti, sulle palpebre serrate, fino alle rughe della fronte, mentre il profumo delle erbe e del miele gli riempivano le narici.
- Finisce qui, dunque, il nostro viaggio insieme. - constatò, Betel, rabbrividendo e stringendosi ancora di più nella spessa lana del mantello.
- Nessun viaggio finisce, amico, non fino a che rimarrà terra da calpestare. -