. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni

54 7 0
                                    

. 36 . Di piani, di fughe e di abbandoni  

Su di una spianatoia di legno, al centro di una fontana di farina candida, come il lago salato nel mezzo di un atollo tropicale, ruppe le uova e aggiunse il sale. Con dita esperte, cominciò a mescolare lentamente, mentre l’impasto grumoso via, via si distendeva e diventava, sotto quelle carezze, sempre più liscio e compatto.
Quando ebbe modellato un panetto, lo avvolse in un telo candido e umido e lo lasciò a riposare, mentre si dedicava alla preparazione di altre pietanze.
Il grembiule che indossava era imbrattato di farina, così come la guancia destra e la punta del naso; un ricciolo ribelle fuoriusciva dalla fascia che portava sulla fonte per trattenere la chioma, così che ella, non potendo usare le mani, lo scacciava dal viso con sbuffi continui.
Quando il tempo di riposo per l’impasto fu terminato, prese a tirare la sfoglia col matterello, fino a renderla sottile e ruvida; l’arrotolò su sé stessa e la tagliò in tante fettine che poi srotolò immediatamente e ripose sul ripiano infarinato.
Era così concentrata sul lavoro, che non si era neanche accorta di aver avuto uno spettatore per tutto il tempo.
Betel se ne stava appoggiato con una spalla allo stipite della porta della cucina; le mani conserte, le gambe incrociate e una espressione divertita e curiosa sulla faccia scura.
L’aveva guardata in silenzio, l’espressione attenta, il movimento e la pressione delle dita e dei palmi delle mani a lavorare l’impasto; le braccia e il collo dalla pelle ambrata, che spiccavano sotto il candore delle fasce del grembiule e le guance arruffate, come quelle di una bambina che si arrabatta ad aiutare la mamma.
Si era gustato lo spettacolo e riempito gli occhi dei gesti, della carne delle labbra rosse, come i coralli, degli occhi azzurri e limpidi, che le ciglia nere imprigionavano ed esaltavano, come i bagliori delle pietre preziose incastonate nel metallo.
Sabra tirò su gli occhi dal tegame di rame, nel quale sobbolliva un profumato ragù di lepre, e, con il mestolo di legno ancora a mezz’aria, incrociò quelli di lui.
- Così, siete anche capace di cucinare! – esclamò fintamente sorpreso.
Sabra lo guardò stranita, così imbarazzata per essere stata osservata senza accorgersene, che una delle sue risposte affilate le rimase intrappolata in gola; ripose l’utensile in bilico sul bordo del tegame e, con i palmi aperti delle mani, spolverò il grembiule dalla farina, accomodò il ricciolo dietro l’orecchio e, sperando di non mostrarsi impreparata a quella visita, tirò su il mento.
- State bene? – si affrettò a domandare. Per tutta la mattinata, da quando Ratho era tornato, con la camicia bruciacchiata, le bende sulle nocche delle dita escoriate e i calzoni strappati sulle ginocchia, non aveva fatto altro che pensare all’incendio, al pericolo che suo fratello aveva corso e a lui che, gettandosi tra le fiamme, lo aveva salvato.
Lo osservò con attenzione: non recava segni visibili di bruciature o ferite; le vesti erano pulite e profumate, il viso sereno, sebbene segni di stanchezza si annidassero nelle rughe intorno agli occhi e sulla fronte corrucciata.
Betel annuì e sorrise in risposta all'interesse di lei. L'attenzione con cui si accorse di essere guardato gli gonfiò il petto e un gorgo gli si aprì nello stomaco, come l'acquolina che ti solletica il palato quando hai fame.
Non erano i profumi del cibo che si consumava sul fuoco, però.
Era tutt'altra cosa, sebbene assomigliasse molto alla fame.
Era una specie dimenticata di desiderio, di quelli che infettano il cervello e poi contagiano viscere, membra, muscoli e lingua: era una voglia innominabile di carne e labbra; di respiri confusi e mani intrecciate; di silenzi divinatori e di baci. Gli sovvenne alla mente la notte in cui Sabra gli aveva chiesto, nella sua maniera particolare, un bacio ed egli glielo aveva negato, frenato da scrupoli, insicurezze e retaggi, e la lingua si mosse, si dibatté nella bocca, come i canarini imprigionati nella gabbia che sbattono le ali. Si pentì di non avere concesso, a lei e di più a sé stesso, quello squarcio di libertà, quell'impulso che nel tempo aveva imparato a domare.
In verità, certi impulsi non si domano, come non si spegne la necessità di riempirsi i polmoni di aria, l'assenza della quale ci impedisce di vivere. Certi istinti si ammansiscono, si addomesticano, come si fa con le belve. La parte razionale di noi li custodisce e crede di gestirli, ma essi, proprio come le belve cresciute in cattività, fiutano le debolezze e, quando mai ce lo aspetteremmo, escono dalle gabbie e si sfamano, liberi.
Betel deglutì, quando comprese che i suoi pensieri si erano spinti troppo al largo, emise un sospiro greve e raccolse i brandelli di lucidità rimastagli, per chiederle ciò che si era riproposto.
- Ho bisogno di voi. - disse, scostandosi dallo stipite e avvicinandosi al grande tavolo, su quale la pasta appena fatta riposava coperta da un canovaccio. - Eìos è determinato a lasciare la città, ma per evitare che qualcuno glielo impedisca ancora, è necessario che tutti credano che salperà a bordo dell'altra sua nave, tra tre notti esatte. In realtà, egli partirà la notte di domani, a cavallo e con sua moglie. - cominciò, - Affinché nessuno nutra dubbi sui progetti di Eìos, qualcuno farà provviste tra i banchi del mercato cittadino, senza preoccuparsi di nascondere chi sia il committente e le vettovaglie, nonché gli abiti necessari ad un lungo viaggio, saranno imbarcati sul Leviathan. -
- E volete che lo faccia io? - domandò leggermente perplessa.
Betel annuì e poi precisò: - Voi e vostro fratello. E, perché non corriate rischi, io vi seguirò e vi terrò d'occhio. -
- Io non ho paura. - gli fece notare.
- Lo so: è per questo che l'ho chiesto a voi! - le sorrise e nello stomaco si riaprirono di nuovo il vuoto e la fame.
- Voi, piuttosto, dovreste essere più prudente ... siete ricercato e non è un mistero per alcuno la vostra amicizia col capitano. -
- Sono grande e grosso, Sabra: so badare a me stesso. E ... comunque da stamane, sono un uomo libero. - sorrise ancora, - La cauzione per la mia fuga è stata pagata; tra qualche mese il reato sarà cancellato dal casellario giudiziario e nessuna accusa macchierà più la mia reputazione.-
Un'ombra offuscò il cristallo negli occhi di Sabra, le si strinse il cuore all'idea che Betel fosse un uomo libero.
Dal momento in cui Eìos fosse partito, nulla lo avrebbe più tenuto legato a quel luogo, giacché solo per Eìos era rimasto fino a quel momento.
Di lui sapeva che aveva viaggiato, che veniva da un posto lontano, diverso, dove le parole hanno altri suoni, gli uomini adorano un Dio con un altro nome e dove probabilmente aveva lasciato una famiglia e pezzi di cuore. Cosa avrebbe potuto impedirgli di tornarvi o, se da quel luogo fosse fuggito, cercarne un altro e poi un altro ancora, fino a quando non avesse trovato quello in cui mettere radici?
Si scoprì egoista: avrebbe dovuto essere felice che un uomo innocente si fosse ripresa la propria libertà, invece l'idea le oppresse il respiro e gli occhi punsero inspiegabilmente; una tristezza desolante la costrinse a distogliere lo sguardo da quelli di lui, insistenti, neri e infiniti, come lo spazio siderale in cui la sua stella splendeva.
- Lo farò ... – rispose con slancio, imponendo a sé stessa di credere che avesse accettato per Eìos, verso il quale nutriva stima e riconoscenza, e per il fascino verso le imprese avventurose, alle quali la propria indole non sapeva sottrarsi. In verità, in cuor suo, ella sapeva di aver accettato solo per Betel.
L’uomo annuì, manifestando la propria riconoscenza e, voltandole le spalle per lasciare la cucina, aggiunse: - Vi lascio al vostro lavoro: non vorrei che a causa mia, la vostra famiglia rimanesse a digiuno … -
Sabra percepì un tono divertito nella frase pronunciata e, nonostante egli le rivolgesse la schiena, ne immaginò il volto sorridente. Ormai aveva capito quanto gli piacesse provocare le sue risposte dispettose, così come a lei piaceva da morire stare al gioco.
Nessuno dei due se ne era ancora reso conto, ma quel gioco a rincorrersi, a punzecchiarsi era un corteggiamento mascherato e giocoso; un cercarsi continuo, uno scoprirsi e ritrarsi per mettere a nudo l’altro. 

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora