. 8 . Confronti

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. 8 . Confronti

Il salottino che divideva le due stanze in cui alloggiavano Ariela e la madre era in leggera penombra.
Le tende di organza bianca danzavano al vento leggero del pomeriggio inoltrato, la luce intensa del sole, ancora caldo, penetrava attraverso le persiane leggermente accostate conferendo alla stanza un'aura densa e vaporosa che induceva alla concentrazione ed al silenzio.Asmha sedeva sul divanetto posto al centro della stanza, occupata nel ricamo, e Nubia era in piedi nel suo ricco abito scarlatto, intenta a rimirare la propria figura allo specchio. Ariela, infine, sedeva su di una poltroncina, accanto alla porta finestra, reggendo tra le mani un libro dalla consunta copertina di pelle.
Ciocche leggere di capelli biondi, come campi disseminati di grano, le sfioravano il viso assorto. Leggeva e rileggeva la stessa pagina da diversi minuti, senza riuscire ad acquisirne il senso, tanto la propria mente si perdeva continuamente in ingarbugliati pensieri.
Era passato poco più di un giorno dalla mattina in cui aveva incontrato Eìos nel giardino e si era ferita.
Le sovvenne l'immagine della propria mano in quella di lui; l'attenzione meticolosa che egli aveva profuso nel prestarle soccorso; il sorriso che le aveva riservato nel raccomandarle di medicarsi ed, infine, i suoi occhi che la scrutavano curiosi, come se in lei cercassero qualcosa che neanche ella stessa sapeva di possedere.
Erano così ingarbugliati i propri pensieri, che abbisognava di qualcuno con cui parlarne, per districarli. Le poche amiche, con le quali aveva intessuto relazioni da fanciulla, erano ormai tutte sposate e le rare visite che si scambiavano erano di pura cortesia.
A sua madre, di certo, non avrebbe mai avuto l'ardire di confidare quello strano movimento dei suoi pensieri e Nubia, pur essendo sua sorella, l'avrebbe sicuramente irrisa, come aveva sempre fatto fin da bambina, burlandosi della sua timidezza, del rispetto delle regole e dei precetti morali e cristiani, che pure erano stati insegnati ad entrambe.
Eppure a qualcuno avrebbe voluto ardentemente parlare di quello sconosciuto animale che se ne stava acquattato nel centro esatto dello stomaco, pronto a mordicchiarne e a solleticarne le pareti quando a lui pensava.- Dov'è tuo marito? - chiese, con malagrazia, Leria entrando improvvisamente nella stanza e riscuotendola dai propri pensieri.
- Con Caled: è uscito stamane e non è ancora rientrato. - le rispose Nubia, distrattamente, senza spostare gli occhi dal grande specchio ovale.
- Sgualdrina! - l'apostrofò, avvicinandosi a passo di marcia verso di lei.
- Ma ... Leria! - la richiamò Asmha, offesa ed interdetta dall'accusa gratuita che la donna aveva rivolto alla figlia.
- Zitta, tu! - la freddò, con gli occhi inchiodati sulla giovane, visibilmente scossa. - Lurida cagna, come hai potuto? Come hai potuto accettare la proposta di matrimonio di mio figlio, dopo esserti data a quell'uomo? - tuonò con la voce stridula, sferzandole il viso con il ventaglio chiuso che stringeva saldamente tra le mani.
- Madre ... - supplicò, in un'implicita richiesta di ausilio, lenendo, con il palmo della mano fresca, il bruciore della guancia dolente.
- Leria non ti permetto ... - si intromise Asmha, interponendo il proprio corpo a scudo di quello della figlia.
- Tu non mi permetti? - la irrise, - Tua figlia, tua figlia ha giaciuto con quel ... quel pusillanime! - soffiò, come una fiera pronta ad attaccare.
- No, che dite ... che dite ... - cantilenò, la voce tremula tra i singhiozzi. - Non capisco a chi vi riferiate: non ho avuto altri che Miran, lo giuro! - si difese, guardando prima l'una, poi l'altra donna, - Madre, credetemi - insistette.
- Osi negarlo, maledetta. Come sei riuscita ad ingannarlo, come sei riuscita a farti credere immacolata, quando avevi già aperto il tuo ventre ad un altro? - continuò, senza esigere veramente una risposta, mentre il diavolo le si agitava in corpo, iniettandole gli occhi di sangue avvelenato.
- Chi ti ha riferito una simile infamia? - domandò Asmha, perorando la causa della figlia.
- La mia serva. - rispose secca, senza dare altre spiegazioni e continuando a fissare Nubia.
- Non è vero, non è vero, madre. Almeno voi cedetemi: è una bugia - piagnucolò, piegandosi in due e stringendosi le braccia intorno al ventre, come per contenere un dolore lancinante alla bocca dello stomaco.- Sfacciata! Noelia ti ha finanche udito chiedergli di riprendere la vostra relazione, facendoti giuoco di tuo marito, sotto il suo stesso tetto! -
Asmha si accasciò sul divano, portandosi le mani alla bocca, umiliata e stravolta, gli occhi pieni di lacrime amarissime ed il corpo scosso da singulti frenetici.
Ariela, che era rimasta impietrita per tutto il tempo, le si precipitò accanto, stringendole la mano per sostenerla.
D'un tratto si sentiva profondamente in colpa per non aver rivelato quel segreto quando ne era venuta a conoscenza. Di certo avrebbe avuto la premura di usare parole accorte e pacate con la madre, che soffriva di cuore.
Guardò sua sorella, le mani a coprirsi il viso segnato dalle lacrime, il corpo spossato da una sofferenza che si ripercuoteva nel proprio, come una eco dolorosa, e ne ebbe pietà.
Tutta la vita erano state distanti, sole nella stessa dimora: ciascuna col proprio carattere, ognuna con i propri desideri diversissimi e contrastanti, entrambe, probabilmente, con lo stesso bisogno di essere amate.
Le sovvenne l'amara constatazione che se, in qualche modo, fossero riuscite a farsi l'una più vicina all'altra, nel corso degli anni, se avessero scovato un filo comune tra i tanti che le separavano, forse i propri consigli avrebbero reso Nubia più avveduta e quieta e lei stessa più aperta e fiduciosa del mondo.
- Quel guitto è il figlio che il mio defunto marito ebbe da una spudorata, prima del nostro sposalizio, e tu ... gli hai reso l'opportunità di costringermi a riconoscerlo. Per colpa tua, un bastardo porterà lo stesso nome di mio figlio! - continuò, battendo i pugni stretti sul tavolino.
Leria inspirò per rilasciare il livore che le si addensava malefico nel petto e, con voce innaturalmente calma, terminò: - Da questo istante, tu... - disse, puntando l'indice verso Nubia, - ... non hai più alcun diritto: ti è vietato uscire dalle tue stanze, se non in compagnia del tuo sposo o sotto la mia sorveglianza; ti è negato rivolgermi la parola, se non è strettamente necessario, e, più di tutto, ti è negato conferire con quell'uomo per qualunque motivo. E bada, bugiarda e meretrice, non osare contravvenire a queste regole o, ti giuro, che mi vendicherò con tale accanimento su di te e sulla tua sciagurata famiglia, che non troverete luogo al mondo in cui nascondervi. - terminò, solenne ed in removibile, come il giudice che infligge la condanna a morte.
Livida in volto, ancora scossa da fremiti irregolari, senza neanche rivolgere alle altre donne i propri occhi, uscì dalla stanza, come una folata di vento gelido e mortale, lasciandosi alle spalle solo il rumore dei singhiozzi e della vergogna.
- Figlia mia ... - soffiò con la voce rotta, Asmha. - Perché? - chiese sconsolata.
- E' una menzogna, vi dico, perché non volete darmi credito? - insistette stizzita, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare. - Mi odia, quella donna mi detesta e detesta voi, madre, giacché non ci reputa all'altezza del suo nome. Sapete anche voi che ha acconsentito al mio matrimonio solo perché Miran mi ama e, vilmente, non ha osato contraddirlo. Ed ora ... si serve di una bieca menzogna per sottomettermi ed umiliarci tutte! -
- Non è una menzogna, e tu continui a negare, persino adesso che sei stata smascherata. - intervenne Ariela, che nonostante la pena, non riusciva più a sopportare le sue bugie.
Si rivolse poi alla madre, alla quale teneva ancora amorevolmente la mano.
- Vi chiedo perdono, madre, poiché io sapevo, fin dal giorno in cui quell'uomo giunse alla tenuta. - confessò, gli occhi lucidi di pentimento per l'omissione. - Fu egli stesso a confidarmelo, come una belva ferita e furiosa, pronta a vendicarsi. - le spiegò, affranta.
- Perché non me lo hai riferito ... - le chiese la madre, provata anche da quel tradimento.
Ariela scosse le spalle, e le rivolse gli occhi. - Intendevo risparmiarvi codesto dolore, tanto più che pareva che quell'uomo volesse tenere per sé quel segreto ... - terminò.
Nubia la guardò, l'espressione di dolore e sconforto lasciò spazio alla cattiveria ed alla rabbia.
- E voi dareste credito alle ingiurie infamanti di uno sconosciuto che tutti additano come un bandito e non a me, vostra carne, cresciuta sotto la vostra guida? - si difese, tormentandosi le vesti.- Figlia mia, io do credito alle parole di tua sorella ... - la corresse, senza più dubbi davanti all'innegabile.
- Vi scongiuro, non credetele: Ariela è invidiosa di me, del mio matrimonio fortunato. Per questo mi ingiuria. - insistette, con malevolenza.
- Nubia! ... - la richiamò la madre.
- Io non provo invidia per la tua sorte ... e dico il vero. Entrambe lo sappiamo. - si intromise Ariela, decisa e fiera. - La punizione che Leria ti ha inflitta è solo la conseguenza della tua sciagurata condotta. Prega, Nubia, piuttosto che accusare ingiustamente tutti tranne che te stessa. Prega, perché quell'uomo si accontenti di ciò che ha ottenuto ... - le consigliò, nessun astio a colorare le parole, nessuna rabbia nel tono, altresì pacato ed amichevole.
Raccolse dalla poltrona sulla quale era stata seduta, il suo vecchio libro, lasciò uno sguardo delicato alla madre ancora stravolta, ed uscì dalla stanza alla ricerca della propria pace.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora