. 33 . A casa prima dell'uragano (parte prima)

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. 33 . A casa prima dell'uragano ( parte prima )

Bussò un paio di volte, prima di percepire il rumore gracchiante dell'asse usato per sprangarla dall'interno, mentre veniva sfilata dai sostegni. La porta sgangherata della catapecchia cigolò e strisciò sul malandato pavimento e quando fu completamente spalancata, Betel fece capolino nello spiraglio luminoso che si creò.
Le fievoli luci delle candele, che provenivano dalla stanza, ne illuminavano le spalle, disegnandone i contorni e facendolo sembrare ancora più imponente, come fosse un grosso orso ritto sulle zampe posteriori.
- Che ci fate voi qui? - le chiese, scostante, come se il suo arrivo inaspettato l'avesse infastidito.
Una punta del suo carattere orgoglioso le fece storcere le labbra, indispettita per quell'accoglienza, e la costrinse ad ignorare volutamente gli occhi del suo interlocutore, mentre gli passava accanto e si avvicinava a Eìos, che se ne stava seduto davanti al fuoco scoppiettante, il mento appoggiato sulla spalliera della seggiola e un'aria vaga e annoiata.
- Buonasera, capitano. - lo salutò, accompagnando alla voce un cenno del capo. - Le provviste ... - si limitò a rispondere, sollevando il grosso cesto che reggeva con entrambe le mani.
- Intendevo, perché voi e non vostro fratello? - aggiunse l'arabo e, avvicinatosi a lei, le sgravò il peso dalle braccia, che sembravano provate, e lo poggiò sul tavolo.
Sabra tenne ancora la bocca chiusa, come una bambina a cui è stato fatto uno sbarbo che ripaga con un dispettoso silenzio, e, continuando a guardare solo Eìos, cavò dalla tasca del mantello una lettera, per poi aggiungere: - E per questa ... -
Eìos l'afferrò, un mezzo sorriso storto e la speranza che fosse di Ariela. Ma appena notò il sigillo di cera lacca, con cui era stata chiusa, l'espressione del viso si tinse di delusione nel constatare che invece apparteneva a suo padre; ne strappò con foga i lembi e si apprestò a leggerla. Gli occhi scorsero velocissimi lungo i righi, affamati delle parole che ad essi erano state affidate; ad ogni lettera, la ruga sulla fronte si inspessiva e gli angoli della bocca si indurivano; quando ne ebbe terminata la lettura, egli si sollevò di scatto, come se un pungolo invisibile gli avesse infilzato la carne. Con un gesto di stizza, accartocciò il foglio e lo gettò nel fuoco vorace del camino, quasi le fiamme, oltre alla carta, ne potessero mangiare anche il contenuto dolente. Indossò il pugnale, che portava sempre alla cintola; infilò la rivoltella già carica nei calzoni e senza un cenno agli altri, si avviò alla porta.
- Eìos? - lo chiamò l'amico, confuso e preoccupato.
- Torno a casa. - furono le sole parole che ottenne in risposta, mentre lasciava la stanza e balzava sul proprio cavallo, senza né sella, né finimenti.
Betel, indossato il suo mantello, lo seguì, la stessa apprensione dell'amico, la stessa velocità, lo stesso impeto, mentre montava a cavallo.
- Sapete cavalcare a pelo? - chiese a Sabra, che lo guardava stralunata sulla soglia, trattenendo con le mani le gonne e scoprendo impudicamente le caviglie. Senza attendere la risposta, la invitò, con un cenno del capo, ad avvicinarsi all'animale e le tese il braccio per aiutarla a salire.
Ella sbatté le palpebre un paio di volte: l'unico animale che avesse mai cavalcato era il suo piccolo, lento mulo, ma confessarlo avrebbe minato la sua reputazione di coraggiosa e impavida fanciulla, pronta a qualunque folle avventura. Per non parlare del fatto che, di certo, Betel sarebbe stato capace di lasciarla lì, sola in mezzo al bosco, pur di darsi all'inseguimento dell'amico; della curiosità spropositata che aveva di sapere cosa avesse causato nel capitano tanta premura e per finire la fatica di dover tornare a casa a piedi, così come era venuta.
Gli afferrò l'avambraccio, le dita affondarono tra le pieghe della tunica scura, trovarono i muscoli impegnati nella presa e, sotto, scorsero le vene accentuate dallo sforzo.
Si sentì leggera, come fatta d'aria nel breve balzo necessario a lasciare il suolo e montare sulla groppa del cavallo. Il proprio torace urtò la schiena dell'uomo ed ella provò imbarazzo per tanta vicinanza bruciante e sconosciuta, tanto che rimase per qualche istante con le braccia allargate in un semicerchio concentrico intorno al busto del suo cavaliere, come se attendesse un qualche permesso a trovar loro il giusto posto.
Betel ne avvertì l'esitazione dal respiro incerto, dalla posizione stagnante, storcendo le labbra in un accenno di sorriso; le prese le mani, scoprendone le dita ghiacciate, come se il calore del sangue le avesse abbandonate per correre tutto alle guance, e se le portò intorno al torace, sovrapponendovi le proprie in una stretta rassicurante.
- Tenetevi forte a me. - la esortò, con una voce, per Sabra, strana e indecifrabile, - Non vorrei correre il rischio di perdervi per strada! - ironizzò, sfilando dall'abbraccio la mano destra, per afferrare la criniera del cavallo, ma lasciando l'altra saldamente incastrata a quelle di lei.
Sabra strinse più che poteva e accomodò la guancia sulla schiena di lui. Il calore del corpo, nonostante il pesante mantello, le giunse sulla pelle, come i raggi di sole che sbucano dalle radure delle nubi nei giorni piovosi, facendo luce. D'un tratto stranamente cavalcare come un'amazzone non le sembrò più tanto scomodo, come aveva immaginato, tantomeno sconveniente.
Ciò che la imbarazzava era piuttosto il formicolio che le ardeva la pelle, dai palmi delle mani strette in quella di lui, alla guancia aderente alla schiena; dal petto increspato, a qualunque altra parte del corpo che aderiva all'altro.
Una sensazione nuova le si agitava in corpo: si dibatteva e si acquietava, folle come la corsa, che li portava all'inseguimento, e placida, come il respiro che allargava e stringeva polmoni e cuore.

In nome del sangue, in nome dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora