. 16 . Rivelarsi
L'ennesimo rintocco della pendola del grande orologio risuonò cupo, accompagnando uno sbadiglio tanto annoiato e stanco, che ella non ebbe neanche voglia di nasconderlo con la mano.
Sedeva, ancora in camicia da notte, al centro del grande letto; le lenzuola accartocciate sul pavimento, accanto ad uno dei guanciali, scalciato via per avere più spazio; l'altro dietro la schiena, per stare più comoda e le mani nelle mani a giocherellare con la vera nuziale, dietro la quale un vistoso diamante bianco, occupava gran parte della falange.
- Amor mio ... - la salutò Miran, entrando nella grande stanza.
Le pesanti tende oscuranti della notte erano accostate ai lati delle finestre e le imposte erano semichiuse, per lasciare penetrare lame di luce che, a malapena, assicuravano il chiarore sufficiente a muoversi senza inciampi.
- Mi hanno riferito che non hai fatto colazione stamani e ti trovo ad ora di pranzo, ancora in camicia, in una camera buia ... Non ti senti bene, forse? - le chiese con premura e seriamente preoccupato, avvicinandosi al letto sfatto.
- Mi meraviglio che ti sia preoccupato della mia assenza stamani, e che sia venuto ad informarti della mia salute! Ultimamente non mi degni di alcuna attenzione ... - gli rispose distaccata e fredda, per rincarare il peso del rimprovero.
- Nubia, le tue parole mi offendono e mi rattristano! - le rispose, con un tono pacato e dolce, ma, al contempo, risoluto quanto necessario per sottolineare l'iniquità delle sue accuse. - Sai quanto amore io ti porti e quanto desiderio abbia di starti vicino. - insistette, perché comprendesse i pesi e le responsabilità che lo sfiancavano. - Ma, amor mio, sai anche che sono il padrone di enormi possedimenti, che obblighi impegnativi occupano i miei pensieri quotidianamente. - continuò, prendendo una delle mani tra le proprie, mentre la donna gliela concedeva mollemente e rimaneva con gli occhi rivolti verso un punto lontano della stanza. - Sai che il raccolto è vicino; che gli uomini a cui affido il controllo dei braccianti sono pochi e comunque abbisognano, a loro volta, della mia costante presenza. Sai che la contabilità della tenuta prevede una meticolosa attenzione, l'acquisto delle merci, i ... - provò a giustificarsi.
- Ed io sola dovrei pagarne il prezzo in solitudine e trascuratezza? - lo interruppe, ritirando la mano, quasi il solo contatto col suo sposo, improvvisamente, la repellesse. - Avresti dovuto chiedere a tuo fratello di tenere fede all'impegno preso quando arrivò alla tenuta! In fondo le terre, per le quali tanto ti affanni, sono sue per metà ... - sputò acidamente un risentimento che, forse, era più per Eìos, che per il suo interlocutore.
- Eìos, di ciò che poteva essere suo, ha preteso solo il nome ... - ribadì con la voce amareggiata di colui che non accetta le decisioni che altri prende, ma che gravano sul proprio cuore. - E comunque, egli non è né colpevole della trascuratezza di cui mi accusi, né sarebbe stato, se fosse rimasto, sostituto assoluto per i miei impegni di padrone. - sentenziò, con rammarico.
- Non mi importa della tenuta, dei braccianti o delle messi! Non mi importa dei tuoi impegni di padrone, ma di quelli dello sposo ... - lo rimproverò, - Sono sola in questa grande casa; nessuno con cui discorrere; nessuna gioviale distrazione o una qualunque scarna possibilità di distrarmi, per riempire tua assenza. Solo terre e terre, lontane dal mondo civile; servi ignoranti ed inutili; un caldo asfissiante e l'odore nauseabondo della pula del grano mietuto! - rincarò la dose, ingrata verso quella ricchezza smisurata che le permetteva di indossare vestiti di seta e gioielli, tanto preziosi da generare l'invidia di qualunque nobildonna del regno.Miran percepì uno sdegno incomprensibile in quelle parole e ne rimase deluso: pur essendo un uomo ricco fin dalla nascita, pur avendo un cognome nobile e rispettato, che gli aveva assicurato privilegi ed onori, aveva sempre saputo che la ricchezza è un fiume che va ingrossato dagli affluenti generosi della fatica e dell'impegno costanti, perché non si prosciughi in un letto arido. La scoperta che la propria sposa fosse una donna superficiale e viziata, che sapeva solo possedere, senza preoccuparsi della fonte della propria ricchezza; sentire, in quelle parole, solo un risentimento per la propria assenza e non, anche, rispetto ed ammirazione per la propria solerzia, per il lavoro impegnativo che egli sopportava per garantirle tanto agio, gli ferì il cuore innamorato.
Ma, invece di lasciare che la delusione per quella scoperta gli aprisse la mente dinnanzi alla vera indole di Nubia, il petto gli si animò di un intento più fruttuoso per il proprio amore: il desiderio di compiacerla, di darle ogni cosa quella piccola bocca rossa, di cui aveva continuamente fame, potesse chiedere.
- Cosa vuoi, anima mia? Cosa ti restituirebbe quel sorriso che mi ha tolto il respiro dall'istante in cui ti ho veduta, dunque? - le chiese, le mani di nuovo a stringere quella di lei, il viso proteso verso il collo dal profumo incantatore ed il respiro in una preghiera sommessa.
Nubia non si ritrasse: ciò che conosceva più di tutte era la strategia della conquista della mente di un uomo attraverso l'incanto languido del proprio corpo. Lasciò che le labbra di Miran le adulassero la pelle del collo e delle guance, intrecciò le dita con quelle di lui ed gli avvicinò i seni generosi al petto.
- Voglio te ... - sussurrò al suo orecchio, - Voglio che ogni tuo pensiero mi appartenga, voglio le tue mani e le attenzioni soltanto per me, come la notte che mi hai fatto donna ... - proseguì, abbandonandosi su di lui.
- Sai che ogni cosa di me è tua ... - la rassicurò con la voce rotta dal desiderio, - ... che, anche quando sono altrove, la mia mente è completamente succuba del tuo corpo, dei baci, delle parole, che mi sussurri all'orecchio e che mi infiammano senza scampo ... - concluse, con devozione assoluta per quella carne così morbida.
- Dunque ... - lo incalzò, prendendogli la mano e portandosela su uno dei seni, - ... mi darai ciò che chiedo, amore mio? - chiese, insinuando le dita di una mano tra i bottoni della camicia, a cercare la pelle del petto, mentre con l'altra stringeva le dita di lui, perché le torturassero il seno che lo aveva indotto a sfiorare.
- Ogni cosa ... - si arrese, baciandola con foga, - Tutto ... - concluse, senza più né volontà, né forza alcuna di sottrarsi all'impeto incontrollabile del proprio desiderio.