. 2 . La verità
- Eìos, amico ... - lo salutò con slancio Miran, avvicinandosi dal fondo della corte.
Ariela tremò nel sentirne la voce, mentre gli occhi invadenti dello sconosciuto rimanevano ancorati ai propri.
Dunque, si conoscevano.
Un groppo le dilaniò la trachea, una inquietudine finissima la destabilizzò e le labbra, mute, recitarono una preghiera, come una bimba al suo angelo custode prima di consegnarsi al sonno.
- Sono anni, amico mio, che non mi compiaccio della tua presenza nella mia casa ... - continuò, rivelando una conoscenza vecchia e consolidata.
- Io sono sempre stato qui! - gli rispose Eìos, scostante.
- E' vero ... - lo assecondò, l'altro con garbo, evidentemente avvezzo al suo carattere ispido. - Ma conosci mia madre e le sue velleità ... Ha preteso che conducessi i miei studi nella capitale: solo le migliori scuole del regno per il degno erede di mio padre! - giustificò la sua assenza.
Eìos trasalì nell'udire quelle parole, le dita ruvide sbiancarono, provate dallo sforzo, per la stretta sull'elsa del pugnale che portava al fianco, ed il viso si sporcò di una smorfia indefinibile per il suo interlocutore .
- Vi siete già conosciuti? - chiese poi Miran, rivolgendosi ad entrambi.
- Sì. - rispose, continuando a guardarla, mentre Ariela annuiva solamente, interdetta dalla scoperta della loro amicizia.
- Ma, ti prego, accompagnami in casa: è mio desiderio che tu conosca anche la mia sposa. - lo invitò.
Nell'attimo prima di abbandonare quelli di Ariela, un malsano intento si palesò negli occhi di Eìos, fumo denso a coprire una fonte di luce; seguì Miran, che gli faceva strada, procedendo verso l'interno della dimora, rivolgendole la schiena dritta del soldato alla guerra.
Ariela li seguì, veloce più di quanto le sue gambe tremolanti potessero fare, con il cervello alla ricerca dell'eventuale rimedio da adottare per impedire a quell'uomo di ripetere le offese.
Sebbene non le ritenesse che ingiurie infamanti, temeva che sull'onore di Miran sarebbero franate come un costone di roccia eroso dalla pioggia, un'onta estinguibile solo col sangue. Il pensiero di uno scontro mortale tra i due le attorcigliò le viscere e le strinse il respiro.
Pregò ancora la Vergine che quel folle tenesse in corpo le parole che poco prima l'avevano oltraggiata, mentre involontariamente, nel frastuono del suo petto in subbuglio, un piccolo, sedizioso dubbio si espandeva come una macchia d'olio.Giunsero nella sala padronale, dove la ricchezza della casata di Miran, traspariva da ogni arredo: cesellati argenti ornavano mobili di fattura e legni pregiati; le pareti erano arricchite con affreschi dai colori densi ed armoniosi e broccati finissimi tappezzavano ampi divani.
Uno di questi, posto al centro della grande stanza, ospitava tre donne.
Le due più avanti negli anni ricamavano sapientemente teli di mussola bianca, mentre la più giovane, setosa pelle olivastra e capelli scuri raccolti sulla nuca, agitava pigramente un ventaglio, più per scacciare la noia, che per rinfrescarsi dall'aria tiepida del pomeriggio.
- Signore ... - richiamò la loro attenzione il giovane, distogliendole dalle loro occupazioni. - La nostra casa accoglie un ospite inatteso. Questo gentiluomo è Eìos. Madre, ricordate il protetto del dottor Elmisk? - chiese, rivolgendosi alla donna che gli sedeva di fronte.
Era piuttosto bella, nonostante il viso fosse già intaccato dagli anni, aveva carnagione ed occhi chiari, come Miran, ed il suo fisico era asciutto e discreto, anche se sacrificato in un abito da lutto che non le rendeva giustizia.