. 29 . 7° 24' 25''
Il greto del ruscello sembrava un nastro intessuto di fili d'argento, l'acqua scivolava, infrangendosi sugli spigoli emersi dei sassi; si riduceva in piccole frange di schiuma che subito si disperdevano trascinate dalla corrente. Il rumore che produceva era sommesso e lento e si arricchiva degli altri piccoli suoni del bosco: fruscii di serpi tra le foglie arricciate e richiami di uccelli notturni, come le note su di uno spartito. La luna sembrava una gigantesca lanterna di cartone, dentro la quale una luce fluorescente di candela si moltiplicava, fino ad illuminare i tratti della radura, dove i rami intricati e le folte chiome non coprivano il suolo.
Betel sedeva sulle rocce levigate che definivano la sponda del ruscello, le gambe divaricate, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e una mano a reggere l'angolo di un fazzoletto bianco, immerso solo in parte nell'acqua. Galleggiava trascinato dalla corrente, assumendo la foggia di deformate figure geometriche.
Sabra si fermò davanti a lui, qualche passo più a valle, le mani in grembo a torturare le cuticole delle dita fini, ma imbrattate di fatica.
- Mi dispiace ... - si scusò, quando il fazzoletto gocciolante giunse a lenire la guancia graffiata, per poi ricadere, colorato di rosa, nell'acqua gelida.
L'arabo scrollò le spalle, incurvate in una piega morbida e convessa, come la superficie liscia di uno scudo, quasi non gli importasse granché né delle scuse, né dell'aggressione di poco prima.
- Vi ho chiesto scusa! - insisté.
- Vi ho sentita ... - replicò, il viso fisso sulla superficie dell'acqua.
- Certo, se voi non mi aveste afferrato come un sacco ... - cercò di giustificarsi, - ... io non vi avrei colpito ... o graffiato o ... - si interruppe imbarazzata, quando gli occhi di lui si arrampicarono sulla propria figura, dai piedi fino al viso.
Erano tanto neri da sembrare pece e così i capelli, come ali di corvo dai riflessi bluastri. Il viso spigoloso dai tratti ben definiti, si fregiava di una espressione austera e di una bocca grande dalle labbra carnose e scure.
- Siete incredibile ... - commentò, scuotendo il capo, - Pedinate vostro fratello di notte, per un tragitto sconosciuto e pieno di pericoli e lo accusate di essere sconsiderato; vi appostate dietro il tronco di un albero, come se doveste sortire un agguato e vi lamentate perché vi ho colto alle spalle e, per finire, mi infliggete graffi e percosse e ne date a me la colpa, come se fossi io l'aggressore! -
- Io ... volevo solo essere certa che mio fratello non si mettesse nei guai! -
- Voi siete solo curiosa ... e la curiosità quando è spinta troppo, spesso e volentieri ci porta addosso qualche malanno°. - citò con supponenza.
- Non sono curiosa! E comunque, se foste più aperto e intelligente sapreste che la curiosità è una delle forme del coraggio femminile°°. - replicò, con un'altra citazione, tanto per mostrarsi all'altezza.
- Uh ... bella e colta! - ironizzò, ma Sabra non colse affatto la vena pungente dell'affermazione, né badò all'aggettivo che celebrava la propria istruzione. Udì soltanto la parola che si era sentita ripetere centinaia di volte e che ella aveva sempre percepito più come lo svilimento delle proprie capacità intellettive, che come un vero pregio.
"La bellezza è un dono di natura, l'istruzione è una scelta", pensava.
Sedette su di un altro masso levigato, di fronte a Betel, il viso chiazzato sulle gote e un calore innaturale per una notte fredda come quella, cercando l'argomento adatto per replicare e scoprendosi a corto di parole, proprio lei che di esse faceva sfoggio, come le altre fanciulle dei capellini e delle scollature di pizzo.
- Il mio nome è Sabra ... - arrangiò l'inizio di quel discorso faticoso.
- Nessun nome vi sarebbe stato più confacente! Con tutte le spine che avete ... - commentò.
- Siete maleducato! - replicò piccata e fece per sollevarsi.
Betel sorrise e, senza abbandonare la sua posizione, aggiunse: - Era un complimento! So che è il nome di una pianta capace di sopravvivere in un ambiente ostile e dai frutti spinosi che nascondono, però, una polpa dolce e gradevole. - spiegò, mentre ella si accomodava alla bell'e meglio di fronte a lui.
- Il mio è Betelgeuse. -
- Oh ... - esclamò, come i bambini che si prendono gioco dei coetanei per un qualche difetto.
L'arabo si sollevò e le offrì la mano per aiutarla a mettersi in piedi a sua volta. La pelle scura e levigata, come il legno dell'ebano, contrastava con le unghie bianche dall'attaccatura profonda, e si anneriva maggiormente nelle grinze delle nocche sulle dita. La sua figura decisa e le spalle larghe le erano sembrate ancora più imponenti visti dal basso, ma, anche quando furono entrambi in piedi, l'una di fronte all'altro, Sabra si sentì una bambina davanti a un gigante.
- Seguitemi, vi mostro una cosa. - la precedette, percorrendo la sponda fino al punto in cui i fitti rami intricati degli alberi si diradavano, lasciando uno squarcio aperto su di un cielo nerissimo e stellato.
- Vedete lì, dove punta il mio dito? Quel grappolo di stelle costituisce la costellazione di Orione. - spiegò, indicando, in successione, prima le tre al centro, perfettamente allineate; poi le quattro più luminose disposte nei vertici di un rettangolo immaginario, per fermarsi, infine, su quella in alto alla sua sinistra.
Erano tutte estremamente luminose e brillanti di un'intensa luce blu e calda, tranne l'ultima che, al contrario, splendeva di una rossa e pulsante.
- Quella è Betelgeuse. - aggiunse, tenendo fisso l'indice sull'astro, - La seconda più luminosa della costellazione. Mio padre ha scelto per me il suo nome. - terminò.
Sabra mantenne lo sguardo fisso verso le migliaia di luci che illuminavano la notte: il bagliore unico di quella, che aveva ispirato il nome del suo interlocutore, spiccava come una fiamma ardente in mezzo alle luci di piccolissime lucciole in uno sterminato campo di grano.
- Perché a voi il nome della seconda stella e non della prima? - chiese, incuriosita.
Betel sorrise alla domanda che anche egli stesso si era posto nell'ingenuità di bambino e cui aveva dato una risposta solo divenuto adulto.
- Poiché, in questa vita, si può anche essere secondi di qualcuno, ciò che conta è rimanere comunque unici! - le rispose, rivolgendole lo sguardo prima e tutta la sua figura poi.
- Dunque, è per questo che avete aiutato il capitano nella fuga? Perché siete il suo secondo? - incalzò.
- E' una delle spiegazioni! - replicò vago, ma con un bel sorriso. - Tornate dentro adesso, tra qualche ora sarà l'alba ed è bene che riposiate un poco prima di mettervi in marcia per ritornare in città.-