. 31 . Quando viene il buio
Le prime luci dell'imbrunire calavano lente, come polvere nera che si posa sulle foglie, sui rami, sulla terra imbevuta di umida brina, annerendola di caligine spessa e densa. Anche il cielo si scuriva, riempiendosi delle ombre cangianti della luce solare che attraversava l'ovatta delle nubi.
Nel camino, il fuoco era già acceso; sulla fiamma rosolavano, infilzate da uno spiedo, le carni bianche di una lepre, cacciata quella mattina, mentre la luce di una candela illuminava solo in parte la stanza. Eìos stava ritto in piedi nell’angolo opposto al giaciglio, il torso scoperto, le bende candide a fasciargli l'addome e un telo di lino su di una spalla.
Il viso, riflesso in una scheggia di specchio, era cosparso di sapone, come fosse quello di un vecchio dalla barba bianca, e lasciava spiccare il verde ambrato delle iridi e le labbra scure e serrate.
- Che diavolo ci fai in piedi? - lo interrogò sorpreso Betel, quando, appena rientrato, trovò il letto sfatto e vuoto, per la prima volta dopo settimane.
Eìos rimase di spalle e, senza distogliere gli occhi dalla propria immagine, sventolò la lama scintillante e affilata di un rasoio.
- Perché, cos'ha che non va come ti rado io? - insistette, fingendosi offeso per essere stato sollevato da una delle sue incombenze.
- Oh, nulla, Figaro! – lo canzonò e, tendendo la pelle di una guancia con la punta delle dita e lasciando scivolare la lama nel sapone, come la prua di una imbarcazione tra le onde spumose, aggiunse: - E’ solo che da oggi mi rado da me! Oltre al fatto che, appena cala il buio, andrò in città. -
- Neanche per sogno! – rispose l’altro, disapprovando col capo, - Le ferite oramai stanno rimarginando, ma ti occorre ancora assoluto riposo. Montare a cavallo, significherebbe correre il rischio che le suture cedano per lo sforzo. – gli fece notare.
- Sto meglio, le suture terranno e … - replicò, - … ho bisogno di vedere mia moglie! – aggiunse, con un poco di imbarazzo nella voce.
- D’accordo! Vado a sellare i cavalli. – acconsentì.
Sapeva che Eìos aveva la testa così dura, che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea, neanche la probabilità, per altro molto alta, che il suo corpo, ancora in bilico, potesse risentirne. Per di più, si era reso conto che la mancanza di sua moglie ne rallentava la guarigione, quasi fosse una medicina, o addirittura una pozione magica, studiata apposta per lui e per il suo corpo malandato.
- Non ho bisogno della balia. – replicò, dopo aver schiarito la voce, arrochita per l’imbarazzo della confessione, - A meno che … anche tu non abbia qualche faccenda da sbrigare in città! – alluse, per cavarsi d’impaccio.
- Non so di cosa parli. – rispose l’arabo, avviandosi alla porta e caricandosi sugli avambracci i finimenti per sellare gli animali.
- Ti prego … non farmi ridere o finirò col tagliarmi la gola! – scherzò, mentre immergeva la lama del rasoio nell’acqua del catino per ripulirla dei residui di sapone e peli. – Mi sono accorto di come ti guardava l'altra sera, quando è venuta con Ratho. – riprese, riferendosi a Sabra, mentre l'altro sembrava cadere dalle nuvole, - E di come la guardavi tu, mentre il ragazzo raccontava della sua epica impresa. – aggiunse, fissando il suo riflesso allo specchio.
Betel inspirò, colto in flagrante, come i bambini scoperti con le dita sporche di marmellata. I muscoli del torace, già sotto sforzo per il peso dei finimenti, si irrigidirono, trattenendo l'aria nei polmoni, come per concedersi il tempo necessario a elaborare una valida risposta. Poi, quando l'apnea forzata lo costrinse a espirare, assieme ad essa espulse anche le parole.
- E' bella, indubbiamente bella! Ma è anche un barile di polvere da sparo, pronta a prendere fuoco alla minima scintilla. - commentò, tornando sui suoi passi e lasciando cadere la sella sul ripiano del tavolo. - Insomma, quante ragazzine si sarebbero lanciate in una impresa come quella ... - cercò di argomentare - ... senza neanche soffermarsi sulle conseguenze di un eventuale fallimento! -
- ... Una innamorata? - azzardò, facendo spallucce.
- Ti prego ... - rispose, come se avesse appena sentito che il mare può essere svuotato con un secchio. - Non ci siamo incontrati che poche volte e ... e poi, basta così poco per innamorarsi? - ironizzò, aggrottando le sopracciglia.
Eìos ne scrutò l'espressione, indeciso se classificarla come scettica o di scherno. Passò nuovamente la lama sulla pelle, poi nell'acqua, poi ancora sul telo che gli copriva l'omero, asciugandola, perché fosse rilucente e pronta al passaggio successivo.
- Non saprei ... - rispose, voltandosi a guardare l'amico, - So cosa è bastato a me. - aggiunse, tornando a radersi con meticolosa prudenza.
Betel sbuffò: la conversazione era spinosa e inconsueta per due come loro, sempre schivi introversi e che, pur avendo condiviso difficoltà o sacrifici, speranze e desideri, avevano sempre ripiegato su parole scarne ed esplicativi sottintesi.
Alla difficoltà caratteriale di esprimersi, di esternare sentimenti, dubbi o pulsioni, si aggiungeva quell'aria saccente di Eìos, che sembrava detenere la chiave per comprendere l'altro, proprio lui che li aveva sempre ignorati, seppellendoli sotto il sarcasmo, il cinismo e una finta superficialità.
Eìos, dal proprio canto, non si attribuiva l'esperienza che Betel mal sopportava: egli stesso aveva dovuto combattere dentro di sé una lotta serrata, tra la convinzione che l'amore non esista, se non per gli stolti e i sognatori, e quella che chi lo professa non sia altro che un bugiardo capace di riempire il vuoto con le parole.
Aveva dovuto incontrare Ariela per arrendersi senza condizioni; per consegnarsi disarmato al quel legame che aveva messo radici profonde in un suolo arido e refrattario.
Sorrise, alzò il mento verso l'alto e poggiò la lama sulla gola; la fece scorrere a ritroso delicatamente, come la carezza di un'amante e, quando il suo percorso terminò sul mento, liberando dal sapone un sentiero di pelle liscia e morbida, schiarì la voce e aggiunse: - A me, è bastato un profumo: la scia di acqua e rose che le ammanta la pelle ... l'effluvio di primavera. - concluse, gli occhi chiusi e il viso ormai completamente rasato, ancora umido e rilucente alla fiamma della candela.
Betel sorrise, l'odore della pelle di Sabra non lo ricordava affatto, ma gli occhi di fiamme azzurre e il piglio serio che prendeva quando faceva valere le proprie ragioni, anche se erano campate in aria e senza giustificazioni, erano impressi nei ricordi delle poche volte in cui l'aveva incontrata, al pari dei graffi selvatici e delle percosse per liberarsi.
- Cerca di sbrigarti, se vuoi trascorrere la notte con tua moglie. - gli mise fretta, sottraendo di proposito peso a quella conversazione inconsueta e, sperava, anche unica. - L'alba arriva sempre prima, quando il buio è più dolce! – sentenziò come un vecchio saggio, varcando la soglia del rifugio, col peso della sella sugli avambracci e sui pensieri, ingarbugliati fili di sentimenti sconosciuti e scalpitanti, come il proprio cavallo, che lo attendeva euforico per l'imminente corsa al galoppo.